Translate

giovedì 24 ottobre 2013

Cassazione: Ente responsabile se l'illecito del dipendente segue alla mancanza di direttive "preventive" dei superiori. Il caso di un carabiniere che uccise un collega "giocando" con la pistola. Confermata per il ministero della Difesa la condanna al risarcimento in solido con il responsabile: direttive carenti sulla custodia delle armi a fine servizio




Nuova pagina 1

RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. III, 17-01-2008, n.
864


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.
ri Magistrati:



ha
pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO
DELLA DIFESA, domiciliato a ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli
Uffici dell'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo difende;

-
ricorrente -

contro

M.G. E C.M.P., elettivamente domiciliati a ROMA
VIA MONTESANTO 10, presso lo studio dell'avv.
 che li difende, giusta delega in atti;

- controricorrente
-

e contro

....

- intimati -

avverso la sentenza n.
425/03 della Corte d'Appello di MILANO, Sezione Seconda Civile, emessa
il 22/01/03, depositata il 14/02/03, R.G. 2450/00;

udita la relazione
della causa svolta nella Pubblica udienza del 24/10/07 dal Consigliere


udito il P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott.  che ha concluso per il
rigetto del ricorso.


--------------------------------------------------------------------------------
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Nell'impugnata decisione
lo svolgimento del processo è esposto come segue.

"Con atto di
citazione in data 13/07/1995 ... e ..., genitori e
sorelle d...., convenivano davanti al Tribunale di Milano .... ed il
Ministero della Difesa per sentirli condannare al risarcimento dei
danni subiti per la morte del proprio congiunto, carabiniere
ausiliario, morte causata da un colpo di arma da fuoco sparato
imprudentemente dal ..., pure carabiniere ausiliario.

I convenuti si
costituivano eccependo la incompetenza per territorio del Giudice
adito, essendo territorialmente competente il Tribunale di Reggio
Calabria atteso che il fatto dannoso era avvenuto a (OMISSIS); nel
merito, contestavano la loro responsabilità in ordine a quanto
accaduto; il Ministero svolgeva in subordine domanda di manleva nei
confronti del ...

In esito alla prova orale assunta ed alla consulenza
medico - legale espletata sulla persona della C., il Tribunale, con
sentenza in data 01/12/1999-21/02/2000, condannava i convenuti al
pagamento della somma complessiva di L. 325.903.414 oltre accessori e
respingeva la domanda di manleva avanzata dal Ministero della Difesa.

.. presentavano tempestivo gravame avverso tale
pronuncia per sentirla parzialmente riformare; si costituiva soltanto
il Ministero della Difesa, che svolgeva appello incidentale.....

La
Corte d'Appello di Milano, con sentenza 22.1 - 14.2.2003,
definitivamente pronunciando, decideva come segue:

"1) in parziale
riforma della sentenza emessa in data 02/12/1999- 21/02/2000 dal
Tribunale di Milano, condanna gli appellati in solido a versare a C.M.
... le somme di L. 100.000.000, pari ad Euro
51.645,68, in favore di ciascun genitore e di L. 50.000.000, pari ad
Euro 25.822,84, in favore di ciascuna sorella, con gli interessi legali
dal fatto;

2) conferma nel resto la sentenza appellata;

3) condanna
gli appellati in solido a rimborsare agli appellanti principali le
spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 11.078,00".

Contro questa decisione ha proposto ricorso per Cassazione il Ministero
della Difesa.

... hanno resistito con controricorso.

Motivi
della decisione
I motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto
connessi.

Con il primo motivo il ricorrente Ministero denuncia
"violazione e falsa applicazione dell'art. 28 cost. e dell'art. 2049 c.
c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" esponendo doglianze che possono essere
sintetizzate come segue. La sentenza impugnata ha fatto cattiva
applicazione dei principi e delle norme applicabili in materia di
responsabilità dello Stato per il fatto dei propri dipendenti. La Corte
di Cassazione ha affermato che l'attività del dipendente costituisce
fonte di responsabilità diretta per la P.A., quando tale attività sia
volta a conseguire fini istituzionali e si svolga nell'ambito delle
attribuzioni dell'ufficio o del servizio al quale il dipendente è
addetto. Pertanto deve escludersi che l'uso improprio di un'arma
costituisca attività svolta nell'ambito del servizio affidato o per il
raggiungimento di finalità istituzionali dell'Amministrazione.

Se,
infatti, il dipendente è lo strumento attraverso il quale
l'Amministrazione si muove, quel dipendente deve agire secondo gli
scopi che essa si propone; in mancanza di tale circostanza il
comportamento di tale agente non può in alcun modo essere riferito alla
P.A.. Nella specie, è chiaro che il T. agì per uno scopo, quello di
"giocare" col collega per indurlo a partecipare alla partita di
pallavolo, assolutamente personale ed estranea ai fini istituzionali
dell'Arma cui apparteneva. E' quindi sicuramente reciso il nesso
organico che consentirebbe di estendere la sua responsabilità civile
allo Stato, e delle conseguenze del suo gesto deve rispondere soltanto
lui.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) - violazione e falsa applicazione
degli artt. 2043 e 2049 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" esponendo censura
che vanno riassunte nel modo seguente. Nella sentenza si legge, come
unica giustificazione della declaratoria di responsabilità dello Stato,
la considerazione che l'Amministrazione non avrebbe dimostrato di avere
impartito adeguate disposizioni in materia di custodia ed uso delle
armi e di necessità di scaricarle a fine servizio, e soprattutto che
"non era previsto nemmeno l'obbligo di deposito della pistola in
armeria una volta terminati i turni di servizio". Tale osservazione,
tratta dalla testimonianza di uno dei carabinieri presenti al fatto,
appare invero inconferente ai fini del decidere. Non può, innanzi
tutto, il Giudice stabilire, sostituendosi all'Amministrazione, che
l'Arma dei Carabinieri deve disporre che i suoi appartenenti depongano
le armi al termine dell'orario di servizio e che non debbano, invece,
tenerle con sè anche dopo. Si tratta di valutazioni e regolamenti che
soltanto l'Amministrazione può fare, in ragione del suo incontestabile
diritto di autodeterminarsi e darsi l'organizzazione che ritiene
migliore. La Corte di merito sembra voler attribuire la responsabilità
alla P.A. a titolo di culpa in vigilando ex art. 2049 c.c.; ma la P.A.
risponde a titolo di responsabilità diretta per i comportamenti
illeciti dei propri dipendenti ex art. 2043 c.c., essendovi identità e
non diversità di soggetti, e pertanto, per definizione, deve ritenersi
escluso ogni riferimento alla responsabilità indiretta ex art. 2049 c.
c. e segg..

La Corte d'Appello ha in realtà trascurato di esaminare
con approfondimento anche l'ipotesi di responsabilità indiretta; e non
ha tenuto presente che, in questa come in qualsiasi fattispecie di
causalità omissiva, la responsabilità per culpa in vigilando dei
superiori gerarchici del carabiniere potrebbe essere affermata solo se
ed in quanto vengano individuate determinate specifiche attività
funzionali per essi possibili e doverose, e venga accertato che
l'omissione di tali interventi abbia costituito condizione
eziologicamente rilevante dell'evento, nel senso che ove l'intervento
fosse stato compiuto l'evento non si sarebbe verificato; pertanto non
si può parlare genericamente di culpa in vigilando dei superiori
gerarchici senza specificare cosa essi potessero e dovessero fare - e
non abbiano fatto - che fosse idoneo a prevenire l'illecita condotta
del T..

I due motivi sopra riassunti non possono essere accolti.

La
Corte d'Appello di Milano ha esposto sul punto la seguente motivazione.

"...Come correttamente sottolineato in prime cure, risulta pure
provata la responsabilità del Ministero della Difesa, individuata
nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado nel fatto di "non
aver vigilato sull'uso delle armi e sulla disciplina dei militi": nel
caso in oggetto non solo l'Amministrazione non ha dimostrato di avere
dato adeguate direttive ed istruzioni in ordine agli adempimenti
riguardanti la custodia e l'uso delle armi alla fine del servizio,
particolarmente in ordine alla necessità di scaricare l'arma, ma
risulta anzi che non era previsto nemmeno l'obbligo di deposito della
pistola in armeria una volta terminati i turni di servizio (c.f.r.
dichiarazione del Maino al Pubblico Ministero). Ne consegue la
infondatezza della domanda di manleva formulata
dall'Amministrazione...".

E' dunque palese che il Giudice di secondo
grado ha affermato la responsabilità diretta della P.A. per il
comportamento illecito dei superiori gerarchici del carabiniere
consistito nel non aver dato le opportune direttive ed istruzioni
(indicate nel brano ora riportato) vigilando poi (il punto non è
espresso palesemente ma è chiaramente implicito) sulla loro
applicazione.

Conseguentemente la responsabilità in questione è
(nell'assunto del Giudice di secondo grado) responsabilità diretta
della P.A. per una condotta di detti dipendenti (superiori gerarchici
del carabiniere) che indubbiamente rientrava in pieno nelle
attribuzioni loro proprie, essendo essi certamente chiamati ad
organizzare al meglio le attività dei militari subordinati nell'ambito
dei fini istituzionali dell'Arma.

E' appena il caso di aggiungere che
il rilievo secondo cui si trattava "...di valutazioni e regolamenti che
soltanto l'Amministrazione può fare, in ragione del suo incontestabile
diritto di autodeterminarsi e darsi l'organizzazione che ritiene
migliore..." non solo non vale ad escludere la responsabilità in
questione, ma afferma una situazione di discrezionalità della P.A. che
costituisce invece proprio il fondamento della responsabilità medesima,
per violazione delle regole di comune prudenza.

Infatti (premesso in
linea generale che i superiori gerarchici di soggetti che debbono usare
armi nel normale esercizio del loro lavoro, violano le regole stesse se
non emanano direttive volte a scongiurare incidenti o se tali direttive
non sono adeguate) nella fattispecie, se detti superiori si fossero
trovati vincolati da norme di legge sul punto e se avessero a queste
obbedito non sarebbe stata configurabile una loro colpa. Invece proprio
la circostanza che avevano tra l'altro il compito di disciplinare
l'attività della truppa con le opportune direttive (anche in tema di
cautela, e prevenzione di sinistri, nell'uso delle armi da fuoco),
vigilando poi sulla loro applicazione, costituisce il fondamento
essenziale della responsabilità in questione.

Va dunque enunciato il
seguente principio di diritto: Nel caso che un dipendente della
Pubblica Amministrazione abbia commesso un atto illecito e si accerti
che ciò è avvenuto in quanto i superiori gerarchici del dipendente
stesso hanno omesso di emanare le direttive opportune per prevenire la
commissione, da parte dei lavoratori ad essi subordinati, di atti come
quello predetto (vigilando poi sull'applicazione delle direttive
medesime), vi è responsabilità diretta della P.A. per il comportamento
omissivo di detti superiori, sussistendo sia la riferibilità di tale
atto alla stessa P.A. (una volta assodato che nella fattispecie
concreta la predetta emanazione rientrava tra i compiti di chi aveva
funzioni dirigenziali nella struttura amministrativa in questione), sia
l'esistenza di un rapporto di causalità tra il comportamento omissivo
di detti superiori e l'evento dannoso (una volta assodato che nella
fattispecie concreta senza l'omissione in questione non vi sarebbe
stato l'atto illecito del dipendente subordinato direttamente
produttivo del danno) in base al principio secondo cui causa causae est
causa causati.

Sulla base di quanto sopra esposto si deve concludere
che la motivazione contenuta nell'impugnata sentenza (che nella
sostanza ha applicato detto principio) è del tutto immune dai vizi
denunciati.

Il ricorso va quindi respinto.

Le spese seguono la
soccombenza e vengono liquidate in favore di M.G. e C.M.P. come in
dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte
ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di
Cassazione liquidate in Euro 4.000,00 (Euro quattromila) per onorario
oltre Euro 100,00 (Euro cento) per spese vive ed oltre spese generali
ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2007.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2008


 

Nessun commento: