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lunedì 11 novembre 2013

Cassazione: Chi pedina la "ex" rischia una condanna per molestie I comportamenti petulanti che opprimono l'ex partner, anche senza sfociare in forme minacciose o violente, non ammettono giustificazione. Confermata la condanna per un 72enne che, dopo la separazione, seguiva metodicamente la donna




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Chi pedina la "ex" rischia una condanna per molestie
I comportamenti
petulanti che opprimono l'ex partner, anche senza sfociare in forme
minacciose o violente, non ammettono giustificazione. Confermata la
condanna per un 72enne che, dopo la separazione, seguiva metodicamente
la donna
Cass. pen. Sez. I, (ud. 22-11-2007) 15-01-2008, n. 2113


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:



ha
pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) R.S.,
N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 07/03/2006 TRIBUNALE di SCIACCA;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA
la relazione fatta dal Consigliere

Udito il
Procuratore Generale in persona del  che ha
concluso per la inammissibilità del ricorso.


--------------------------------------------------------------------------------
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 7
marzo 2006 il Tribunale di Sciacca ha dichiarato R.S. colpevole della
contravvenzione all'art. 660 c.p., commessa ai danni di S.C., in
(OMISSIS), e lo ha condannato alla pena di Euro 300,00 di ammenda,
oltre che al risarcimento dei danni morali in favore della persona
offesa, costituitasi parte civile, liquidati in complessivi Euro
500,00.

Il Tribunale ha ritenuto provata la tesi accusatoria, per cui
il R. aveva molestato la S. seguendola con la propria autovettura per
motivi biasimevoli, sulla base dell'esame della persona offesa e dei
testi S.G. e B.G., rispettivamente figlio e moglie separata del R.,
della cui attendibilità non si poteva dubitare, posto che non avevano
neppure intentato azioni giudiziarie per tale fatto. Attraverso l'esame
di tali testi, non smentiti ed anzi sostanzialmente confortati dalle
dichiarazioni del teste a difesa L.C., era emerso, secondo la
ricostruzione del Tribunale, che il R. aveva seguito con la macchina la
ex moglie e quindi anche la cognata di costei, S. C., che la
accompagnava alla guida della propria autovettura, in più occasioni e
fino all'episodio del (OMISSIS) nel corso del quale la persona offesa
aveva avuto l'impressione che il R. volesse addirittura farla finire
fuori strada.

La difesa dell'imputato ha proposto ricorso per
Cassazione contro la sentenza e contro la ordinanza del Tribunale in
data 14.6.2005, che aveva già rigettato le stesse eccezioni,
lamentando: la citazione a giudizio era nulla in quanto l'imputato era
stato informato del processo soltanto in data 24.2.2005, con la
richiesta della rinnovazione della citazione a giudizio, non avendo mai
ricevuto la notifica nè della richiesta di proroga delle indagini in
data 1.3.2003 nè dell'avviso di conclusione delle indagini in data
16.10.2003; la notificazione della richiesta di citazione a giudizio
era avvenuta quando era già maturato il termine triennale di
prescrizione rispetto alla iniziale data di commissione del reato,
contestato inizialmente fino al 21.9.2001; anche volendo considerare,
peraltro, come data di commissione del reato quella del (OMISSIS),
secondo la contestazione suppletiva eseguita dal P.M. all'udienza del
14.6.2005, il reato era già prescritto al momento della contestazione;
la motivazione della sentenza era contraddittoria poichè i testi non
avevano parlato di episodi precedenti a quello del (OMISSIS) ed anche
con riferimento all'episodio del (OMISSIS) avevano riferito che
l'imputato era fermo con la propria autovettura lungo la strada per cui
transitava la S..

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha
concluso per la inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione
Il
ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, con cui il ricorrente
deduce la nullità della citazione a giudizio per omessa notificazione
sia della richiesta di proroga delle indagini che dell'avviso di
conclusioni delle indagini, il Tribunale, con la ordinanza in data
14.6.2005, ha già rilevato che le notificazioni dei suddetti atti erano
ritualmente avvenute nel domicilio eletto presso il difensore, per cui
la impugnazione della ordinanza che non contesta la motivazione della
stessa si appalesa generica e, come tale, inammissibile. La mancanza di
specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la
sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e
quelle poste a fondamento della impugnazione, questa non potendo
ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio
di specificità conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett.
c, all'inammissibilità (v., per tutte, Cass. 18.9.1997, Ahmetovic, rv.
210157).

Il secondo motivo è ugualmente manifestamente infondato.

A
norma dell'art. 160 c.p., comma 2, il corso della prescrizione è
interrotto dal decreto di citazione diretta a giudizio di cui all'art.
552 c.p.p., con decorrenza dal momento in cui l'atto è perfezionato con
la sottoscrizione del Pubblico Ministero e non già dalla data della sua
notificazione, come assume il ricorrente (v.

Cass. Sez. Un. 16 marzo
1994, Munaro; Cass. Sez. Un. 18 dicembre 1998, Boschetti). E' infatti
il momento della emissione di uno degli atti interruttivi che dimostra
l'interesse dello Stato di perseguire colui che viene indicato come
responsabile e non anche il momento in cui tale atto viene a conoscenza
dell'interessato, che può essere anche successivo e dipendere da
fattori estranei alla volontà del Pubblico Ministero di perseguire
l'indagato, cosi come avviene anche per la sentenza o per il decreto di
condanna in cui rileva ugualmente, ai fini interruttivi, la data di
emissione dell'atto e non quella, eventualmente successiva, in cui
l'atto viene portato a conoscenza dell'imputato. Ne consegue che,
poichè il decreto di citazione è stato nella specie emesso il
2.11.2003, non era a quella data ancora decorso il termine triennale di
prescrizione (art. 157 c.p., comma 1, n. 5, nella formulazione
previgente alla modifica legislativa di cui alla L. 5 dicembre 2005, n.
251, art. 6, applicabile nella specie perchè più favorevole
all'imputato, in virtù della disposizione transitoria di cui alla
citata legge, art. 10) neppure con riguardo alla iniziale contestazione
concernenti fatti commessi fino al (OMISSIS), poi estesi fino al
(OMISSIS).

Il termine di prescrizione non è poi decorso neppure
successivamente tenuto conto dei successivi atti interruttivi e delle
sospensioni del processo.

Quanto poi al lamentato vizio di motivazione
della sentenza, questo, anche dopo la novella legislativa dell'art. 606
c.p.p., lett. e, contenuta nella L. 20 febbraio 2006, n. 46, può essere
denunciato nel giudizio di legittimità o nel caso di inesistenza (cui
correttamente si equipara la mera apparenza) di un apparato
argomentativo a sostegno della decisione impugnata, ovvero nel caso di
manifesta illogicità emergente dal testo dalla decisione stessa o con
riguardo ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi
di gravame (e quindi non riconducibile ad una diversa interpretazione
del quadro probatorio, in chiave di logica alternativa di quello
esistente).

Nessuna di tale due ipotesi ricorre nel caso in esame.

Il
giudice di merito, ai fini della ricostruzione dei fatti consistenti in
ripetuti ed insistenti episodi di inseguimento in macchina, fino
all'ultimo del (OMISSIS) (che si era rivelato più grave dei precedenti
in quanto la vittima aveva intuito che l'imputato voleva passare
addirittura alle vie di fatto, buttandola fuori strada per costringerla
a fermarsi), si è basato su ben tre testimonianze ritenute attendibili
in quanto disinteressate e concordanti, oltre che sulla individuazione
di una causale che giustificava le molestie per motivi di rivalsa che
coinvolgevano la ex moglie che lo aveva lasciato e che veniva
"scortata" dalla cognata e quindi su un apparato argomentativo
complesso che non ha trascurato alcuna emergenza processuale. E tale
conclusione non è sindacabile in sede di legittimità perchè aderente ai
principi di diritto ed inoltre sorretta da logica e puntuale
motivazione, saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio.

In ogni caso, di fronte a tale apparato argomentativo completo e
sostenuto da logica ineccepibile che ha portato ad attribuire
all'imputato la condotta sanzionata sulla base di univoci e convergenti
elementi oggettivi, la difesa si limita a ribadire la tesi già
sostenuta nel giudizio di merito in chiave di logica alternativa alla
ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, seguendo quindi
un procedimento che non è consentito nel presente giudizio.

Il ricorso
deve essere pertanto respinto perchè infondato sotto tutti i profili
addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese.

P.Q.M.
Rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2007.

Depositato in
Cancelleria il 15 gennaio 2008



 

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