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lunedì 11 novembre 2013

Cassazione: Telelaser - Centro abitato - Limiti di velocità




(Cass. Civ., Sez. II, 6 novembre 2006, n. 23622)

Svolgimento del processo

@@@ @@@ propose opposizione innanzi al giudice di pace di Torino avverso il verbale di contravvenzione elevato nei suoi confronti il (OMISSIS) dalla Polizia Municipale per l'infrazione di cui all'art. 142 C.d.S., comma 9 per avere egli superato di oltre 40 Km/h il limite di velocità stabilito con ordinanza Dirigenziale del 30.01.01, La violazione venne accertata a mezzo di apparecchio TELELASER ed fu immediatamente contestata al contravventore.
Il giudice di pace, con sentenza del 20.12.2002, ha rigettato l'opposizione avendo ritenuto che il limite di velocità era stato legittimamente imposto è che il rilevamento della velocità eccessiva, con l'attribuzione al veicolo del contravventore, erano correttamente avvenuti.
Avverso la sentenza del giudice di pace il C. ricorre per cassazione con due motivi. Il Comune di Torino resiste con controricorso.
All'udienza del 15.2. 32006 questa Corte ha disposto l'acquisizione dello Statuto adottato dalla Città di (OMISSIS).

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 6, 7 e 142 C.d.S.; D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, commi 3 e 4 e art. 107 nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4 sul rilievo che, come disposto dai commi 5, 6 e 7 dell'art. 6 C.d.S. deve individuarsi nel sindaco l'organo legittimato ad emettere le ordinanze di cui all'art. 4 e che l'art. 7, comma 9 assegna a diverso organo di governo la competenza a delimitare le aree pedonali e le zona a traffico limitato. La mancata inclusione delle ordinanze in tema di viabilità tra gli atti esplicitamente demandati ai dirigenti ed elencati nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 non è casuale ed il legislatore del 1992 (codice della strada) era già conscio della delimitazione dei compiti assegnati ai dirigenti con la precedente L. n. 142 del 1990, il cui contenuto è stato ricalcato dal D.Lgs. n. 267 del 2000. In definitiva, il limite di velocità sul tratto di strade percorso dal ricorrente, imposto dal Dirigente comunale invece che dal Sindaco, quale Organo di governo, era da considerarsi illegittimo ed il relativo provvedimento doveva essere disapplicato dal giudice di merito. La censura non è fondata.
1. a Lo Statuto della Città di (OMISSIS) non reca norme specifiche sulle competenze dei Dirigenti comunali e rimanda alle disposizioni di L.(artt. 40 e 65).
1. b La normativa di riferimento è, nella specie, quella dell'art. 142 C.d.S., nel quale si prevede che gli "enti proprietari delle strade", senza ulteriori specificazioni, possono fissare i limiti minimi e massimi di velocità. Ma è pur vero che l'art. 7 C.d.S. assegna al Sindaco il potere di emettere, ordinanza per stabilire, tra l'altro, obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente relativi alla circolazione sulle strade comunali.
1. c Si deve, tuttavia, necessariamente premettere che gli artt. 4, 5, 6, 7 e 142 C.d.S. sono entrati in vigore ben prima che il D.Lgs. n. 29 del 1993 (ora trasfuso nel Decreto 30 marzo 2001, n. 165 e, segnatamente, art. 4), e il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Il sistema normativo testè citato ha introdotto nel governo degli enti locali, il fondamentale principio (già recepito nella L. 8 giugno 1990, n. 142) della netta separazione tra la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica (spettante ai dirigenti) ed i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo (spettanti agli organi di governo), individuando gli atti di competenza dei dirigenti, e riservando agli organi politici la fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l'attività di gestione, senza, peraltro, la necessità di alcuna previa approvazione di apposita disciplina statutaria e regolamentare, stante - come si è ritenuto da condivisibile giurisprudenza amministrativa (ex aliis: T.A.R. Campania Napoli, Sez. 7^, 02/11/2005, n. 18229) - il carattere immediatamente precettivo e non programmatico della normativa in esame.
1. c In tale prospettiva, non può esservi dubbio che competa ai dirigenti la disciplina della circolazione stradale che nei suoi aspetti concreti, assume ad oggetto l'adozione di sole specifiche misure di limitazione della circolazione veicolare per determinate esigenze e viene attuata con provvedimenti a contenuto limitativo o inibitorio, adottati in presenza di ragioni contingenti e, come tali, non necessariamente collocabili in ambito programmatico ma piuttosto ancorabili ai profili tecnico-gestionali dell'amministrazione.
Competerà, invece, gli organi deliberanti dell'ente, nell'ambito del potere di indirizzo e controllo politico-amministrativo, la disciplina del traffico attuata a mezzo di atti normativi e di indirizzo a contenuto programmatolo e recanti la previsione e la delimitazione di intere zone e la configurazione di un sistema generale della circolazione e dell'assetto del territorio con riferimento al traffico veicolare e pedonale nel territorio comunale.
In definiva rientrano nelle competenze dirigenziali i provvedimenti che - pur dovendosi adeguare agli eventuali atti normativi e di indirizzo generale emanati dagli organi di governo e ferma restando l'attività di vigilanza e verifica successiva riservata a tali organi, secondo il disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4 - siano diretti a regolamentare gli aspetti particolari della circolazione su singole strade del centro abitato (nella specie: il limite di velocità su una determinata strada), a nulla rilevando, in contrario, che il combinato disposto di cui agli art. 6 e 7 C.d.S., precedentemente emanato, attribuisca al sindaco la regolamentazione della circolazione nei centri abitati e che i provvedimenti in questione non risultino specificamente tra quelli enumerati dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, comma 3, attesa la natura meramente esemplificativa dell'elenco contenuto in tale disposizione, come emerge chiaramente dal testo di questa, che espressamente dichiara di segnalare solo alcuni atti "in particolare".
Del resto, il D.Lgs. n. 267 del 2002, art. 107 comma 5 stabilisce che a decorrere dalla sua entrata in vigore "le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo 1^ del titolo 3^ l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50 comma 3 e dall'art. 54" (ipotesi nella specie non ricorrenti).
2. Col secondo mezzo il ricorrente denunzia violazione a falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., art. 2700 c.c. art. 142 C.d.S., D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, L. n. 689 del 1981, art. 23 comma 12 nonchè insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.
L'apparecchio Telelaser, impiegato nel caso concreto, misura la velocità a distanza di oltre trecento metri dalla postazione dell'operatore e l'attribuzione della velocità rilevata dall'apparecchio al veicolo del presunto contravventore è frutto di un apprezzamento personale del verbalizzante in quanto lo strumento non è in grado di fissare e documentare quale sia il veicolo puntato. Nella specie, peraltro, era emerso dalla prova il mancato controllo del mirino dell'apparecchio di tal che la carenza ben poteva essersi sommata all'errore umano rendendo, nel complesso, inattendibile il rilevamento ed il verbale.
Neppure tale censura è fondata.
2. a Secondo la giurisprudenza assolutamente costante di questa Corte, deve ritenersi non solo legittimo ma anche attendibile, ai fini della prova del fatto contestato, il rilevamento della velocità effettuato a mezzo di apparecchiature elettroniche debitamente omologate che fissano la velocità dei veicoli in un dato momento, pur senza un rilevamento fotografico del veicolo, che viene supplito dalla diretta osservazione dei verbalizzanti e dal valore di prova privilegiata del verbale da essi redatto, da cui può essere derivata l'attribuzione della velocità rilevata dall'apparecchio al veicolo del contravventore (Cass. nn. 5873, 10106, 21360, 21408, 21241/2004; 943, 1234, 4785, 8232, 8675/2005).
2. b E' principio ancora una volta costantemente affermato da questa Corte che, il verbale di accertamento dell'infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonchè riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti. Non può essere, invece, attribuita la fede privilegiata soltanto ai giudizi valutativi oppure alla menzione di quelle circostanze relative ai fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale che possono risolversi in suoi apprezzamenti personali, perchè mediati attraverso l'occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo.
Riaffermando tale principio, questa Corte (Cass. civ. Sez. 1^, 03/12/2002, n. 17106) ha, tuttavia, ritenuto che il rilevamento del numero di targa di un autoveicolo non implica alcuna attività di valutazione o di elaborazione da parte dell'agente accertatore e che, se dagli atti di causa non emergono sufficienti elementi per ipotizzare un errore materiale di verbalizzanti, deve attribuirsi pieno valore probatorio al verbale da essi redatto.
2. c Nel caso di specie il giudice di pace ha esplicitamente e correttamente ricondotto sul piano della prova il problema delle identificazione del veicolo puntato - e successivamente fermato per la contestazione immediata - ed ha ritenuto, con proprio apprezzamento, la coincidenza tra i due veicoli (puntato e fermato), avendo valutato attentamente le deposizioni dei verbalizzanti e le circostanze del caso concreto. Simile apprezzamento di fatto, rientrando nei poteri esclusivi demandati al giudice di merito, non merita censure in questa sede essendo immune da vizi logici.
2. d Il giudice di pace non ha mancato di rilevare - ed il rilievo è assorbente ai fini della inammissibilità della relativa censura contenuta nel ricorso odierno - che i vizi (peraltro non dimostrati) dell'apparecchio, denunziati genericamente nell'atto di opposizione, erano stati esposti solo in sede di discussione.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese, liquidate come nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 600,00 di cui euro cinquecento per onorario, oltre spese fisse, IVA, CPA e d altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2006

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