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sabato 11 gennaio 2014

SENATO DELLA REPUBBLICA ------ XVII LEGISLATURA ------ 18a SEDUTA PUBBLICA RESOCONTO STENOGRAFICO ..le Regioni possibilmente frenano e i Comuni si oppongono, il Governo procederà a concedere autorizzazioni e a mandare sui territori l'Esercito, come già è successo in Campania e in Val di Susa? E domani la Forza di gendarmeria europea (Eurogendfor)?..





Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 018 del 06/05/2013


SENATO DELLA REPUBBLICA------ XVII LEGISLATURA ------
18a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO (*)
LUNEDÌ 6 MAGGIO 2013
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Presidenza della vice presidente FEDELI,
indi del vice presidente CALDEROLI
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(*) Include l'ERRATA CORRIGE pubblicato nel Resoconto della seduta n. 21 del 14 maggio 2013
(N.B. Il testo in formato PDF non è stato modificato in quanto copia conforme all'originale)
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N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Grandi Autonomie e Libertà: GAL; Il Popolo della Libertà: PdL; Lega Nord e Autonomie: LN-Aut; Movimento 5 Stelle: M5S; Partito Democratico: PD; Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT) - PSI: Aut (SVP, UV, PATT, UPT) - PSI; Scelta Civica per l'Italia: SCpI; Misto: Misto; Misto-Sinistra Ecologia e libertà:Misto-SEL.
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RESOCONTO STENOGRAFICO
PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 17,02).
Si dia lettura del processo verbale.
GENTILE, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 29 aprile.
Sul processo verbale
PETROCELLI (M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETROCELLI (M5S). Signora Presidente, in merito alla comunicazione data in chiusura di seduta lunedì 29 aprile, per quanto riguarda ciò che è stato riportato nel processo verbale io non concordo con la trascrizione del processo verbale stesso: avrei bisogno che venisse fatta una rettifica rispetto a quelle che sono state le mie dichiarazioni, in quanto non corrispondente al vero. Chiedo pertanto che il processo verbale venga integrato con quanto io vorrei riportare.
Inoltre, signora Presidente, chiedo la votazione del processo verbale, previa verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Ci dica meglio, senatore, quali sono le modifiche che lei vuole fare al processo verbale.
PETROCELLI (M5S). Signora Presidente, si faceva riferimento alle modifiche sul processo verbale che riguardano due consiglieri regionali del Consiglio regionale di Basilicata e un assessore regionale del Consiglio di Basilicata, laddove erroneamente indicato nei termini della proporzione due a uno. Inoltre, si faceva riferimento alla Giunta regionale di Basilicata interamente composta e al Consiglio regionale di Basilicata per buona parte dei suoi membri.
PRESIDENTE. La Presidenza prende atto delle osservazioni fatte. Qui abbiamo dato lettura soltanto del processo verbale, che è cosa differente dal Resoconto stenografico, per cui faremo la verifica presso gli Uffici.
PETROCELLI. Signora Presidente, noi chiediamo in questo momento che l'integrazione avvenga con quanto richiesto e, prima di procedere alla votazione del processo verbale, modificato nel senso da noi richiesto, chiediamo la verifica del numero legale.
Verifica del numero legale
PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico. (Numerosi senatori del Gruppo M5S alzano la mano). Bisogna mettere la scheda.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale). (Alcuni senatori del Gruppo M5S richiamano l'attenzione della Presidente).
Ci sono i senatori Segretari per il controllo. Chiedo a ciascuno di fare il proprio lavoro. Ripeto: ho detto che ci sono i senatori Segretari a fare le verifiche; spetta a loro.
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 17,11, è ripresa alle ore 17,32).
Ripresa della discussione sul processo verbale
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Chiedo al senatore Petrocelli se intende chiedere nuovamente la verifica del numero legale. Non vedo però il senatore Petrocelli.
GIARRUSSO (M5S). Signora Presidente, formulo io la richiesta di verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico. Sempre con la tessera.
Do lettura dell'esito della verifica. Richiedenti... (Proteste dal Gruppo M5S).
GIARRUSSO (M5S). Neppure il tempo di sedermi, Presidente!
PRESIDENTE. Colleghi, dovevate inserire la tessera. (Proteste dal Gruppo M5S). Avevate a disposizione cinque secondi!
VOCE DAL GRUPPO M5S. Il sistema non ha funzionato!
PRESIDENTE. Come potete vedere dal tabellone il sistema ha funzionato: risultano infatti sette voti.
GIARRUSSO (M5S). Non mi sono potuto neppure sedere! Neppure il tempo di sedermi, Presidente! (Proteste dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. A seduta aperta i Regolamenti si rispettano. Abbiamo sospeso la seduta e poi ripreso i nostri lavori. Si è aperta la verifica del numero legale: non è un caso che gli altri abbiano potuto votare.
Non ci sono, dunque, i dodici senatori necessari affinché la richiesta di verifica del numero legale risulti appoggiata.
AIROLA (M5S). Abbiamo votato, ma non si è accesa la luce corrispondente!
TAVERNA (M5S). Non ci ha dato i cinque secondi!
PRESIDENTE. Guardate, il controllo dei cinque secondi è stato fatto dal senatore Segretario. (Vive proteste dal Gruppo M5S).
A questo punto pongo in votazione per alzata di mano il processo verbale. Chi è d'accordo è pregato di alzare la mano. (Vive proteste dal Gruppo M5S).
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non ci sono stati i cinque secondi!
PRESIDENTE. Vi prego! Ascoltate, non sono io che posso decidere, perché il Regolamento si deve rispettare. Se non ci fosse stato il tempo, non avrebbero votato neppure gli altri!
GIARRUSSO (M5S). Questa è una vergogna! È una vergogna!
AIROLA (M5S). Non sono passati i cinque secondi!
GIARRUSSO (M5S). Questa non è una democrazia! Non ci ha dato il tempo, Presidente!
PRESIDENTE. Per favore, chiedo soltanto di abbassare tutti i toni. Adesso facciamo la votazione sul processo verbale. Chi è d'accordo è pregato di alzare la mano. (Vive proteste dal Gruppo M5S).
AIROLA (M5S). È vergognoso questo. (Vive, reiterate proteste dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, vi richiamo all'ordine e al rispetto dell'Aula. Non si può, secondo me, fare in questo modo. (Vivissime, reiterate proteste dal Gruppo M5S).
AIROLA (M5S). Ci faccia votare. No, così non va bene! Avete gravemente violato una regola!
PRESIDENTE. Noi abbiamo completato la procedura; ci sono gli altri che hanno votato.
TAVERNA (M5S). Prima ha dato cinque secondi.
PRESIDENTE. Chiedo agli Uffici di verificare. Se non rispettiamo insieme le regole ci sono problemi; fare eccezioni non aiuta.
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non ci ha dato il tempo di votare.
PRESIDENTE. Dichiaro il risultato della votazione del processo verbale con la votazione prima effettuata. È approvato. (Applausi dai Gruppi PD, PdL e Aut (SVP, UV, PATT, UPT) - PSI)).
VOCI DAL GRUPPO M5S. Vergognatevi! (Vivissime, reiterate proteste dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, abbassate la voce, per favore. Vorrei che mi ascoltaste. Circa la richiesta di integrazione e correzione del processo verbale, la Presidenza si richiama al dettato dell'articolo 60, il quale dispone che nel processo verbale devono essere contenuti «soltanto gli atti e le deliberazioni, indicando per le discussioni l'oggetto e i nomi di coloro che vi hanno partecipato».
Dunque, gli Uffici potranno tener conto dei rilievi esposti dal senatore Petrocelli ai fini di un'eventuale modifica del Resoconto stenografico. (Vive proteste dal Gruppo M5S).
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non abbiamo votato. È una vergogna. (Reiterate, vivissime proteste dal Gruppo M5S).
Comunicazioni della Presidenza
PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna. (Vivissime, reiterate proteste dal Gruppo M5S).
Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico
PRESIDENTE. Avverto che nel corso della seduta odierna potranno essere effettuate votazioni qualificate mediante il procedimento elettronico.
Pertanto decorre da questo momento il termine di venti minuti dal preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento (ore 17,38).
AIROLA (M5S). Vergognatevi, non ci avete fatto votare! È una vergogna non votare il processo verbale. (Rivolgendosi ai banchi del centrosinistra). Vergognatevi!
Sulla scomparsa del senatore a vita Giulio Andreotti
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi e colleghe, prima di iniziare la seduta vorrei ricordare...(Vivissime, reiterate proteste dal Gruppo M5S).
VOCE DAL GRUPPO M5S. Non può iniziare la seduta. Non ci è stato dato il tempo di votare.
PRESIDENTE. La verifica l'hanno fatta i Segretari d'Aula. (Vivissime proteste dal Gruppo M5S).
GIARRUSSO (M5S). Questo non è un Consiglio comunale qualunque: è il Parlamento di questo Paese!
PRESIDENTE. Prego tutti di rispettare l'Aula. C'è il Regolamento, ci sono le persone preposte, non fate così. (Vivissime, reiterate proteste dal Gruppo M5S).
Adesso che avete detto parole di questa natura, prego tutti di avere un po' di calma e di stare seduti.
Onorevoli colleghi e colleghe, prima di iniziare la seduta di oggi, voglio ricordare il senatore a vita Giulio Andreotti... (Vivissime proteste dal Gruppo M5S. Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI e LN-Aut)...che è mancato oggi all'età di 94 anni, dopo una lunghissima esperienza... (Vivissime proteste dal Gruppo M5S. Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI e LN-Aut).
Con questo clima, sospendo la seduta per cinque minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 17,40, è ripresa alle ore 17,48).
Riprendiamo i nostri lavori.
Abbiamo fatto anche una riflessione, quindi possiamo riprendere serenamente.
Onorevoli colleghe e colleghi, voglio ricordare il senatore a vita Giulio Andreotti, che è mancato all'età di 94 anni... (Proteste dal Gruppo M5S).
GIARRUSSO (M5S). Noi avevamo chiesto la verifica del numero legale!
PRESIDENTE. ...dopo una lunghissima esperienza parlamentare...
TAVERNA (M5S). Non ci ha fatto votare!
PRESIDENTE. ...a partire dall'Assemblea costituente, e di Governo...
TAVERNA (M5S). Non ho parole!
PRESIDENTE. ...che lo ha visto sette volte Presidente del Consiglio.
GIARRUSSO (M5S). Signora Presidente, io voglio votare!
PRESIDENTE. La sua figura sarà commemorata dal Senato in seduta solenne in una prossima seduta. (Proteste dal Gruppo M5S). Manifesto però oggi alla famiglia...
TAVERNA (M5S). E va avanti così!
PRESIDENTE. ...il nostro cordoglio, e chiedo all'Assemblea di osservare un minuto di raccoglimento. (Molti senatori si levano in piedi e osservano un minuto di raccoglimento).
GIARRUSSO (M5S). Questo è un precedente gravissimo.
TAVERNA (M5S). Lei ci sta impedendo di commemorare quel che è giusto commemorare. Glielo abbiamo chiesto in tutte le maniere.
IURLARO (PdL). (Rivolto ai banchi del Gruppo M5S). Vergogna!
PRESIDENTE. Per favore, chiedo rispetto per questo minuto di raccoglimento.
VOCE DAL GRUPPO PDL. Cacciateli fuori!
GIARRUSSO (M5S). Vogliamo votare!
SANTANGELO (M5S). Noi dobbiamo votare.
PRESIDENTE. Per favore, chiedo un minuto di silenzio e di rispetto per il senatore Andreotti.
AIROLA (M5S). Anche ora è piuttosto irrispettoso chiedere un minuto di silenzio.
CALIENDO (PdL). Ma discutete dopo, non ora!
LEZZI (M5S). Insomma, signora Presidente, noi rappresentiamo otto milioni di persone.
GIARRUSSO (M5S). Questo minuto di silenzio è per la morte della democrazia. (Al termine del minuto di raccoglimento, proteste dal Gruppo M5S. Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI, LN-Aut, GAL, Misto-SEL e Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT) - PSI).
Discussione del documento:
(Doc. LVII, n. 1) Documento di economia e finanza 2013 (ore 17,51)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del documento LVII, n. 1, documento che interessa tutta l'Italia.
Le relazioni sono state già stampate e distribuite.
Ha chiesto di parlare per integrare la relazione scritta la relatrice, senatrice Ghedini Rita. Ne ha facoltà. (Proteste dal Gruppo M5S).
TAVERNA (M5S). Vergognatevi! È il solito teatrino!
AIROLA (M5S). Signora Presidente, insomma, lei deve fare il suo lavoro!
PRESIDENTE. Colleghi, la Presidenza ha anche parlato con alcuni vostri rappresentanti. Vi prego! Abbiamo detto che in seguito compiremo le dovute verifiche. (Proteste dal Gruppo M5S). Vi prego, colleghi! I nostri lavori non possono procedere in questo modo.
AIROLA (M5S). Ma quando le fate queste verifiche?
GIARRUSSO (M5S). Signora Presidente, lei non mi ha fatto votare. Io voglio votare!
Sull'ordine dei lavori
ZANDA (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. (Proteste dal Gruppo M5S).
ZANDA (PD). Signora Presidente, chiedo la parola sull'ordine dei lavori, se i colleghi del Movimento 5 Stelle mi consentono di intervenire.
Signora Presidente, questo è il Senato della Repubblica: credo che nel Senato della Repubblica sia necessario tenere un contegno appropriato al tenore delle istituzioni. (Applausi dai Gruppi PD, PdL, LN-Aut, GAL, SCpI e Misto-SEL).
SANTANGELO (M5S). È quello che volevamo fare!
ZANDA (PD). Il Senato, come la Camera dei deputati, ha un Regolamento che consente a ciascun senatore, e a maggior ragione a un Gruppo importante e così nutrito, di far valere le proprie ragioni secondo le regole del nostro Senato. (Applausi dai Gruppi PD e SCpI. Proteste dal Gruppo M5S).
Onorevoli colleghi, noi abbiamo davanti una legislatura da passare insieme. (Commenti dal Gruppo M5S).
SANTANGELO (M5S). Noi chiediamo il rispetto del Regolamento!
ZANDA (PD). Il Regolamento non si rispetta urlando contro la Presidenza e interrompendo il minuto di silenzio osservato per ragioni di lutto! (Proteste dal Gruppo M5S). Signora Presidente, se questa gazzarra deve continuare, io le chiedo di sospendere la seduta!
PRESIDENTE. Colleghi, non si può procedere in questo modo! Si possono esprimere opinioni di dissenso oppure no, ma ci vuole rispetto! Prego, senatore Zanda.
ZANDA (PD). Signora Presidente, se questa gazzarra deve continuare, le chiedo formalmente di sospendere la seduta! (Proteste dal Gruppo M5S).
AIROLA (M5S). Non è una gazzarra!
SANTANGELO (M5S). Noi chiediamo il rispetto delle regole! (Commenti del senatore Giarrusso).
DELLA VEDOVA (SCpI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DELLA VEDOVA (SCpI). Signora Presidente, la mia non è una critica all'uso del Regolamento e ad un uso anche (se fosse il caso) spregiudicato dello stesso e di tutte le norme che consentono fino al filibustering parlamentare. Credo però che in questo caso, signora Presidente, ciò che sarebbe gravissimo, quali che siano le buone o non buone ragioni, sia creare un precedente per cui nell'Aula del Senato anche una discussione franca, franchissima, venga surclassata dalle voci e dagli schiamazzi.
Mi associo pertanto alla richiesta del collega Zanda di sospendere la seduta, perché quello che abbiamo appena vissuto sarebbe un precedente ingiustificabile e pericolosissimo per i lavori del Senato, a prescindere da chiunque dovesse poi comportarsi così in futuro. (Applausi dai Gruppi SCpI, PD e PdL. Commenti del senatore Airola).
ORELLANA (M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ORELLANA (M5S). Signora Presidente, voi che sedete in altri banchi non avete assistito a quello che è successo tra i nostri. Io ho visto i miei colleghi inserire la mano nel dispositivo e, mentre uno risultava richiedente la verifica, l'altro no. Ciò dimostra che ci sono dei problemi tecnici.
Non voglio ricordare i vecchi quiz televisivi in cui si provavano i pulsanti, però in questo caso, evidentemente, c'è stato un problema tecnico. Quindi, ragionevolezza avrebbe voluto che si fosse nuovamente votato immediatamente dopo aver rilevato il problema: ci sarebbero voluti due secondi e tutto questo non sarebbe successo. Invece, c'è stata una rigidità che noi temiamo sia servita a consentire a più senatori di entrare in Aula. (Applausi dal Gruppo M5S). È questa l'ingiustizia che noi non accettiamo! È in questo senso che il Regolamento non viene applicato! (Vivaci applausi dal Gruppo M5S). Noi che, invece, teniamo a che il Regolamento sia rispettato vorremmo che questo venisse applicato nella forma e nella sostanza. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, nel rispetto di tutti e anche raccogliendo le osservazioni espresse, credo che quest'Aula debba mantenere l'osservanza delle regole, pur nelle opinioni differenti e anche nelle verifiche che devono essere effettuate. È stato infatti stabilito che si procederà ad un accertamento di quanto accaduto.
Ripresa della discussione del documento LVII, n. 1 (ore 17,57)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la relatrice, senatrice Ghedini Rita.
GHEDINI Rita, relatrice. Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho assunto l'incarico di relatrice sul Documento di economia e finanza in sostituzione del senatore Filippo Bubbico, chiamato ad un incarico di Governo. A lui vanno, naturalmente, così come agli altri membri del Governo, i migliori auguri di buon lavoro. (Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI e GAL).
La relazione depositata agli atti è stata predisposta e presentata alla Commissione speciale per l'esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge da chi mi ha preceduto nell'incarico. Chiedo pertanto di poterla qui brevemente riassumere ed integrare, in ragione soprattutto degli eventi degli ultimi giorni e per gli aspetti di aggiornamento più salienti.
La presentazione del Documento di economia e finanza avviene nei tempi previsti dal nuovo processo di coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri dell'Unione europea e viene effettuata alle Camere al fine di consentire loro di esprimersi sugli obiettivi programmatici di politica economica in tempo utile per l'invio al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma contenuti, rispettivamente, nella prima e nella terza parte del Documento.
Nella presente fase politica del Paese la presentazione del Documento di economia e finanza si colloca nel pieno di una fase di transizione. Il Documento in esame oggi è stato presentato da un Governo già dimissionario nella precedente legislatura e, conseguentemente, conferma le linee di politica economica tenute dall'Esecutivo senza assumere impegni per il futuro.
Con la rielezione del Presidente della Repubblica e la formazione del nuovo Governo, che lo scorso 29 aprile ha presentato alle Camere il proprio programma ricevendone la fiducia, si è avviata una nuova fase politica. La relazione depositata, quindi, si limita a descrivere i contenuti del DEF predisposti dall'Esecutivo in fase di ordinaria amministrazione, illustrando, accanto ai dati salienti che caratterizzano il quadro macroeconomico nella fase congiunturale internazionale ed interna, le prospettive dell'economia italiana e il quadro di finanza pubblica disegnabile sulla base delle scelte di politica economica operate ex ante. Intendo richiamarne qui, pertanto, soltanto gli estremi più salienti contenuti nel Documento.
Relativamente al Programma di stabilità, si evidenzia il rallentamento registrato nel 2012 dall'economia mondiale rispetto al 2011, rallentamento che si è riflesso, in parte, anche nei primi mesi dell'anno in corso, determinando una revisione al ribasso delle previsioni di crescita dell'economia globale per il 2013. Secondo le indicazioni contenute nel Documento, le stime di espansione del PIL mondiale si attesterebbero, per l'anno in corso, al più 3,2 per cento e quelle del commercio mondiale al più 3,6 per cento. In questo scenario, nell'area dell'euro è attesa per il 2013 una contrazione del prodotto dello 0,3 per cento ed una debole ripresa per l'anno successivo.
L'analisi del quadro macroeconomico italiano nel 2012 e le previsioni per l'anno in corso e per il periodo 2014-2017 riflettono elementi di incertezza ancora più marcati rispetto alle prospettive di crescita dell'economia globale ed europea.
Per il 2013 si prevede una contrazione dell'economia italiana dell'1,3 per cento, mentre per gli anni successivi la ripresa della domanda interna dovrebbe garantire gran parte del trend di crescita del PIL, in media dell'1,3 per cento nel periodo 2014-2017.
Le misure adottate dalle istituzioni europee, finalizzate al ripristino della stabilità economico-finanziaria dell'Unione europea attraverso il consolidamento dei bilanci pubblici dei Paesi membri, in particolare di quelli con più elevato debito sovrano, e alla riduzione degli effetti della volatilità dei mercati finanziari, hanno consentito un miglioramento generale della situazione finanziaria dell'area euro e al nostro Paese, fra quelli maggiormente esposti alle turbolenze dei mercati finanziari, hanno consentito di raggiungere, attraverso una serie di manovre finanziarie correttive e di riforme strutturali, l'obiettivo di riduzione dello spread dei tassi di interesse sui titoli del debito pubblico e del pareggio di bilancio strutturale già nel 2013 e negli anni successivi fino al 2017.
La linea adottata, concentrata quasi esclusivamente sulla disciplina di bilancio, tuttavia, ha avuto effetti depressivi sulla capacità complessiva del sistema economico dell'area euro, e in particolare del nostro Paese, di produrre ricchezza, con effetti particolarmente negativi sull'occupazione, che dopo il calo drammatico del 2012 continua a decrescere, nonché sulla capacità di consumo delle famiglie. Questi fattori si aggiungono e motivano le difficoltà di ripresa economica dell'area euro e la recessione in atto nel nostro Paese. In Italia, infatti, tutti gli indicatori macroeconomici riferiti all'andamento dell'economia reale risultano negativi, con la sola eccezione dell'andamento delle esportazioni, di per sé comunque insufficiente a compensare il forte calo dei consumi interni.
Il quadro di finanza pubblica delineato dal DEF risulta complessivamente positivo, soprattutto se paragonato con la situazione emergenziale del secondo semestre del 2011. Dal Programma di stabilità emerge come, nonostante il peggioramento della congiuntura nel 2012, le misure finora adottate consentano, al netto del ciclo e delle misure una tantum, il raggiungimento - come dicevo - del pareggio di bilancio in termini strutturali già nel 2013.
L'indebitamento netto, previsto al 2,9 per cento nel 2013 (che sconta già il peggioramento dovuto all'avvio del pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione), presenta un trend in discesa nell'arco del periodo di programmazione, posizionandosi in modo deciso al di sotto della soglia limite del 3 per cento prevista dall'ordinamento europeo, sorpassata la quale si avvia la procedura di infrazione per deficit eccessivo.
Le misure di revisione e riduzione della spesa pubblica, accompagnate da un accentuato incremento delle entrate (dovuto all'incremento della pressione fiscale), migliorano l'andamento del saldo primario tendenziale a legislazione vigente, previsto in crescita fino al 2017. La spesa per interessi, sempre nel quinquennio di riferimento, aumenta progressivamente dal 5,3 per cento del 2013 al 6,1 per cento nel 2017, rimanendo comunque entro limiti fisiologici, tenuto conto dell'elevato debito sovrano e dell'andamento ancora altalenante dei mercati finanziari.
La spesa delle pubbliche amministrazioni è stata sostanzialmente posta sotto controllo, tanto che, per effetto delle misure finora adottate, in particolare nei confronti delle amministrazioni centrali, delle Regioni e degli enti locali, la spesa scenderà dal 51,1 per cento nel 2013 al 48,3 per cento nel 2017. Al fine di rendere maggiormente efficiente tale livello di spesa è ora essenziale completare il processo di spending review già avviato negli scorsi esercizi, abbandonando definitivamente la politica dei tagli lineari.
Dal lato delle entrate, proprio in ragione delle manovre finanziarie correttive, si è registrato nel 2012 un aumento consistente delle entrate finali che hanno raggiunto un ammontare pari al 47,7 per cento del PIL. Nel 2013 le entrate finali aumenteranno ancora, attestandosi al 48,2 per cento del PIL, per poi registrare una debole diminuzione fino a raggiungere nel 2017 il rapporto del 47,3 per cento del PIL. La pressione fiscale, di conseguenza, è prevista al 44,4 per cento nel 2013, per poi diminuire gradualmente e lentamente fino al 43,8 per cento nel 2017.
A questo proposito occorre segnalare l'urgenza del potenziamento delle misure e degli strumenti di lotta all'evasione fiscale e alla corruzione, indispensabili a recuperare una parte consistente di quei 180 miliardi di euro che oggi sfuggono al circuito dell'economia legale e che - come evidenziato dalla stessa Corte dei Conti nel corso delle audizioni svolte in Commissione speciale - potrebbero ridurre il dato della pressione fiscale.
Infine, il rapporto debito pubblico sul PIL, che raggiunge nel 2013 il valore massimo del 130,4 per cento, anche in ragione del provvedimento di sblocco dei pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni verso i fornitori, inizia la propria graduale discesa a partire dal 2014, rimanendo però su livelli molto elevati e ancora preoccupanti. Dati questi che non sono senza effetti per il nostro sistema economico, in considerazione delle cosiddette regole del debito e della spesa recentemente introdotte nel nostro ordinamento.
Nel complesso, dall'esame del Programma di stabilità e del Piano nazionale di riforma, pur a fronte dei risultati raggiunti con le misure adottate nel corso degli ultimi mesi, emerge in tutta evidenza la necessità di colmare il ritardo di crescita e di competitività accumulato dal nostro Paese per via della crisi economica e finanziaria internazionale rispetto agli obiettivi della Strategia Europa 2020 e di ridurre il livello del debito sovrano. La crescita è la condizione essenziale per recuperare la competitività e livelli occupazionali di standard europeo e - come è stato autorevolmente rilevato anche nelle audizioni da parte della maggior parte dei soggetti istituzionali auditi - per affrontare con successo il percorso di rientro del debito pubblico che l'Europa ci richiede e di cui il nostro Paese ha bisogno.
I target nazionali fissati per il 2020 dal Piano nazionale di riforma risultano significativamente ridotti rispetto agli obiettivi fissati dalla Strategia Europa 2020, in particolare per gli indicatori maggiormente sensibili alla condizione materiale di vita delle persone, quali il tasso di occupazione (in particolare quello giovanile e femminile), il tasso di istruzione, il tasso di povertà e gli indicatori sensibili per lo sviluppo, quali gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Dall'analisi complessiva del Documento risulta evidente come le misure di stabilizzazione, da sole, non potranno essere risolutive, né gli obiettivi di finanza pubblica potranno essere raggiunti e mantenuti nel tempo in assenza dell'innalzamento del potenziale dell'economia, in particolare in Paesi in forte recessione come il nostro.
Il Consiglio europeo del 14 marzo scorso ha svolto un ampio dibattito sulla situazione economica e sociale dell'area euro e ha fissato gli orientamenti per la politica economica degli Stati membri e dell'Unione europea nel 2013. Dal dibattito è emersa la necessità di concentrare l'attenzione sull'attuazione delle decisioni da adottare per quanto riguarda il patto per la crescita e l'occupazione e di attribuire una particolare priorità al sostegno dell'occupazione giovanile e alla promozione della crescita e della competitività. A giugno il Consiglio europeo ritornerà sulla valutazione delle politiche in fase di definizione a livello nazionale per attuare queste priorità, nonché sull'attuazione del Patto per la crescita e l'occupazione.
In questa sede il nuovo Governo dovrà prospettare le proprie linee di politica economica per contrastare la recessione e favorire la crescita e la coesione.
Nel discorso programmatico il primo ministro Enrico Letta ha affermato: «Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di economia e finanza è necessario ad uscire, quanto prima, dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all'interno dei vincoli europei. Nelle sedi europee e internazionali l'Italia si impegnerà poi per individuare strategie per ravvivare la crescita senza compromettere il processo di risanamento della finanza pubblica».
Di questa necessità ha dato ampiamente conto il dibattito svolto in Commissione speciale, sia nel merito dei contributi dei soggetti auditi, sia negli interventi dei commissari.
Lo scorso 2 maggio il ministro dell'economia, professor Fabrizio Saccomanni, che saluto, ha confermato che «il quadro economico-finanziario delineato nel Documento di economia e finanza consente il sostanziale rispetto di tutti i vincoli di bilancio previsti sia nel contesto del rafforzamento della governance europea, che in quello nazionale», confermando altresì che il mantenimento del deficit in termini nominali, per quest'anno e per gli anni successivi, al di sotto del limite del 3 per cento consentirà all'Italia, intorno alla metà di giugno, di uscire dalla procedura di deficit eccessivo.
Il raggiungimento di tale risultato e la conferma del pareggio di bilancio in termini strutturali e di indebitamento netto al di sotto del 3 per cento per tutto il periodo 2014-2015 rappresentano la condizione indispensabile per consentire al Governo di richiedere alle istituzioni europee di beneficiare di maggiori margini di flessibilità rispetto alle regole di bilancio. Ciò in ragione del fatto che l'uscita dalle procedure di infrazione per deficit eccessivo è stata stimata capace di liberare diversi miliardi di euro di risorse in più da destinare alla crescita.
Le politiche di risanamento virtuose in linea con gli obiettivi europei nel percorso di aggiustamento del deficit e debito, tra l'altro, hanno già consentito all'Italia di mettere in campo il provvedimento urgente per la liquidazione di 40 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione verso le imprese (oggetto del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, in discussione nell'altro ramo del Parlamento).
Dalla chiusura della procedura per deficit eccessivo deriverebbe altresì un miglioramento del merito di credito del nostro Paese, con presumibile contenimento dello spread BTP-Bund e, conseguentemente, del costo del servizio del debito pubblico.
Inoltre, il Ministro ha osservato che l'agenda di politica europea e i vincoli che essa impone agli Stati membri sono parte integrante e imprescindibile di ogni riforma strutturale da mettere in cantiere nel prossimo futuro. Tuttavia, le politiche di contenimento della spesa pubblica rese necessarie dalla crisi hanno lasciato un'eredità pesante sulle famiglie e sulle imprese, che si sono trovate a far fronte a un inasprimento della pressione fiscale e al conseguente indebolimento della domanda di consumi e investimenti. Pertanto, il percorso che il nuovo Governo traccerà dovrà essere ora più orientato alla crescita, coniugando le politiche europee di stabilità con azioni decise per la ripresa dell'attività economica e dell'occupazione.
Queste sono individuate in quelle già enunciate dal primo ministro Letta nel discorso programmatico: riduzione della pressione fiscale, in primis sul lavoro; revisione della tassazione vigente sugli immobili, anche al fine di ridare slancio all'edilizia e stabilità agli incentivi di ristrutturazione ecologica delle abitazioni; prosecuzione degli interventi di pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche nei confronti dei fornitori; allentamento del Patto di stabilità interno; rinuncia all'inasprimento dell'IVA; aumento del Fondo centrale di garanzia per la piccola e media impresa e del Fondo di solidarietà per i mutui; ampliamento degli incentivi fiscale per chi investe in innovazione; sostegno all'aggregazione e all'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese; semplificazione e rimozione degli ostacoli burocratici che frenano lo spirito di impresa.
Nel sottolineare che tali interventi dovranno essere portati avanti senza costituire nuovo indebitamento e negoziando - auspicabilmente - procedure maggiormente elastiche con l'Unione europea, il Governo ha richiesto un po' di tempo al fine di presentare al Parlamento proposte compiute per il breve e medio periodo, invitando il Parlamento stesso ad approvare il Documento di economia e finanza a saldi invariati ed impegnandosi a presentare alle Camere i nuovi indirizzi di programmazione economica e di finanza pubblica in tempi compatibili con la chiusura della procedura di disavanzo eccessivo, condizione questa necessaria per estrinsecare gli obiettivi strategici espressi dal Governo. (Applausi dai Gruppi PD, PdL e SCpI).
Saluto ad una rappresentanza di studenti
PRESIDENTE. Desidero rivolgere, a nome dell'intero Senato, un saluto alle studentesse e agli studenti dell'Istituto comprensivo statale «Aldo Moro» di Carosino, in provincia di Taranto. (Applausi).
Ripresa della discussione del documento LVII, n. 1 (ore 18,14)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per integrare la relazione scritta il senatore Molinari, relatore di minoranza. Ne ha facoltà.
MOLINARI, relatore di minoranza. Signora Presidente, signori ministri, signore senatrici, signori senatori, cittadini tutti, prima ancora di inoltrarmi - con i pochi minuti messi a disposizione, naturalmente non potrò illustrare la relazione per intero - nell'arida terra dei dati economici e finanziari, mi sia consentito chiarire, spero in modo chiaro ed inequivocabile, le ragioni per cui per noi del Movimento 5 Stelle è prioritario invocare nelle Aule del Parlamento, prima ancora che la carica istituzionale che incarniamo in virtù del mandato ricevuto, il nostro essere cittadini, e le ragioni per cui rappresentiamo ormai l'unica vera opposizione in questo Parlamento. (Applausi dal Gruppo M5S).Non per sterile populismo demagogico, come qualche sciocco commentatore potrebbe chiosare, ma per rammentare ai tanti che sembrano averlo dimenticato, perché sono diventati sordi e ciechi ai tanti drammi che la nostra società sta soffrendo, che la sovranità appartiene solo al popolo italiano. Quegli stessi 8 milioni appartenenti al popolo italiano che qui ci hanno chiamato e che vi imputano di avere tradito, più che mai in questi ultimi trent'anni, la Carta costituzionale e le regole.
Nessuna cambiale in bianco firmata alle forze politiche che hanno rinnegato questo Paese: questo abbiamo promesso al popolo italiano in campagna elettorale. Ma ci siamo dichiarati pronti a votare buone leggi in favore dei cittadini da chiunque proposte.
Nell'espletamento del nostro mandato, che per noi, come risaputo, è a tempo, ci consideriamo direttamente eredi di altri giovani che nel momento del bisogno della Nazione hanno capito da quale parte stare, quando altri stranieri volevano occupare le nostre terre e le nostre istituzioni.
Intendiamo ridare dignità alla politica, che oggi più che mai ha bisogno di sana coerenza tra parola ed azione.
Con la nascita dolorosa di questo Governo, e della direttamente collegata elezione del Presidente della Repubblica, anche quella parte di italiani che ancora immaginava e sperava possibile una riforma dei partiti ha ormai potuto scoprire che dietro la foglia di fico dei tecnici si nasconde una sola classe politica, che ha governato e governa questo Paese, anche laddove qualcuno continua a chiamarla destra o sinistra. Nel portare luce dove finora c'era buio ci sentiamo già onorati di avere assolto al primo consistente mandato elettorale ricevuto dai nostri elettori. A testimoniarlo è il primo atto politico di questo Governo, che ha fatto suo il Documento di economia e finanza predisposto dal precedente, di cui evidentemente si considera erede, laddove, se fosse un vero Governo di innovazione, come le forze politiche che lo compongono hanno inteso far credere ai loro elettori, avrebbe dovuto denunciarne il disastroso fallimento delle politiche di austerità.
Dall'esame del Documento di economia e finanza sembra che si stia per uscire dalla procedura di infrazione, su cui spera il Governo per attuare le politiche economiche cosiddette flessibili di rientro; ma nel leggere i dati OCSE dell'altro giorno ne dubitiamo fortemente. Infatti, il rapporto diramato ci parla di un deficit del 3,3 per cento nel 2013 e del 3,8 nel 2014, al netto della sospensione dell'IMU.
Dietro questi numeri, che ci raccontano di una politica di cieco rigore applicata come un dogma, ci sono gli effetti devastanti che hanno prodotto e producono sulla società civile; ma gli impegni che abbiamo sentito prendere dal Governo e ribadire dal ministro Saccomanni sono in una continuazione: prima il rigore, poi la crescita; promesse in continuità con quelle che il popolo italiano ha sentito pronunciare dal professor Monti all'atto della fiducia, che voi tutti avete concesso e conferito, quando subentrava al Governo Berlusconi, sottoscrittore di quei patti con l'Europa. Promesse che parlavano di rigore, equità e crescita; di esse in realtà il popolo ha subito soltanto la prima, pagandone un alto tributo, anche in termini di suicidi, come ci raccontano drammaticamente le quotidiane cronache giornalistiche. Troppo spesso, infatti, si riportano casi di piccoli e medi imprenditori che si sono sentiti abbandonati, e in quell'atto estremo hanno trovato l'unica forma di protesta; o come il sindacalista Burgarella, che si è impiccato con in mano la Costituzione che questa classe politica ha tradito nei suoi principi più profondi.
Ricordiamo bene quelle promesse non mantenute, perché noi siamo parte di quel popolo che le ha subite sulla propria pelle, e il nostro primo impegno come unica vera forza di opposizione sarà chiamarvi a risponderne alla storia, anche perché il grande capitale economico-finanziario di natura speculativa è rimasto inviolato, come impuniti sono rimasti quegli infedeli uomini delle istituzioni che hanno agevolato l'opera demolitrice dello Stato sociale, senza intaccare gli sprechi della politica, lasciando del tutto inalterati i privilegi di classi parassitarie e improduttive e mettendo in dubbio, nel contempo, diritti civili e sociali.
Un recente studio del Fondo monetario internazionale ha rilevato come i piani di austerità fiscale hanno un impatto negativo sulla crescita, maggiore di quanto finora stimato. Il modello utilizzato anche dalla Commissione europea e su cui si sono basati tutti i programmi di aggiustamento indicava il moltiplicatore fiscale poco impattante sulla minor crescita. I nuovi calcoli dimostrano, invece, che, dallo scoppio della crisi del 2008 a oggi, in realtà si è innescata una spirale negativa superiore alle previsioni, fra tagli fiscali e recessioni.
Considerazioni ancor più vere per la clamorosa svista storica di Reinhart e Rogoff, che fa crollare uno dei dogmi su cui si è retta per diversi decenni la politica del rigore, e cioè che quando il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo supera il 90 per cento la crescita si blocca e si entra in recessione, come evidenziava di recente sul «Financial Times» Martin Wolf.
Nel luglio del 2012 il nostro Parlamento ha ratificato due importanti trattati, quello sul fiscal compact e quello sul meccanismo europeo di stabilità, che dreneranno ulteriori spazi finanziari alla nostra economia: già il fabbisogno di aprile - ha appena diffuso i dati il Ministero dell'economia e finanza - ne ha risentito con un peggioramento per il pagamento della sottoscrizione del capitale per circa 2.800 milioni di euro.
L'impianto così precostituito risulta un'enorme contraddizione: si strangola l'economia reale con misure di austerità per uscire dalla crisi del debito e nello stesso tempo quest'ultimo lievita a dismisura, anche per effetto delle stesse strategie volte a ridurne la consistenza, con la conseguenza che la cosiddetta forbice sociale si è ulteriormente allargata: sono aumentati i poveri e quelli vicino alla soglia di povertà e i pochissimi ricchi hanno continuato a guadagnare e ad arricchirsi. In pratica, si è effettuata una redistribuzione della ricchezza in senso inverso, aumentando quella di coloro che hanno contribuito a creare la crisi a discapito di coloro che l'hanno subita.
Il Movimento 5 Stelle ribadisce che, nell'ambito del descritto quadro congiunturale, che è in peggioramento e non solo per i dati diffusi dall'OCSE, non è pensabile una nuova manovra economica pesantemente depressiva. Al contrario, servono scelte coraggiose e innovative. Non è un caso che sabato la BCE ha ulteriormente ridotto i tassi e per la prima volta ha fatto intendere che si riserva di portare in negativo i tassi sui depositi che le banche hanno presso di essa per costringerle a investire: l'unica manovra di tipo monetario che le è possibile operare, visto che per statuto non può stampare moneta.
In risposta all'eclatante fallimento del sistema di austerità, occorre porre in essere una diversa politica europea, attraverso misure anticicliche che prevedono anche la rinegoziazione del Trattato di Maastricht e del fiscal compact al fine di rilanciare una nuova Europa. Serve una maggiore democrazia nella governance europea, che ponga al suo centro il benessere dei cittadini europei, e non il mito dello sviluppo e della crescita che ci ha trascinato nella situazione attuale.
Va inoltre ridefinito il ruolo della BCE, che dovrebbe diventare prestatore di ultima istanza per i diversi debiti pubblici ed inserire tra i suoi obiettivi il perseguimento della piena occupazione e favorire quegli investimenti produttivi utili alla riconversione ecologica del nostro sistema produttivo.
La moneta unica europea, se ha permesso per anni una certa stabilità dell'Eurozona, nascondendo l'evidente diversità economica tra nazioni, lo ha fatto a prezzo di una rigidità che oggi è pericolosa in un periodo di crisi prolungato come questo.
Nonostante tutto, la strategia economica che abbiamo letto nel DEF 2013 è ancora indirizzata ad imporre sacrifici, è a senso unico, con il debito che rimane inchiodato, anzi cresce, la disoccupazione che aumenta, così come le tasse, mentre calano i consumi, e con una totale assenza di un progetto organico per il raggiungimento degli obiettivi nazionali e soprattutto di un chiaro coraggio di governare l'Italia per la realizzazione dei target di Europa 2020.
Sono ormai anni che sentiamo parlare di promesse, di dogmi sui vincoli di bilancio, di risanamento dei conti, di rapporto deficit-PIL, di spread, di debito pubblico, di tagli alla spesa pubblica, di diktat che arrivano dall'Europa e che vorrebbero trasformare il nostro amato Paese in un'equazione matematica, in nome di un'asserita quando indimostrata scientificità dell'economia.
Finché la politica e l'economia preferiranno rispettare dei numeri e dei dogmi contabili, piuttosto che dei principi di umanità, le vite dei cittadini varranno zero. Sono le azioni e il lavoro degli uomini che danno valore al denaro, non asettici parametri! E senza uomini, donne e soprattutto giovani questa nazione è destinata a scomparire. Che forza ha uno Stato se si inchina all'ideologia dei vincoli contabili che generano solo la miseria sociale? Potrà mai godere di onore storico uno Stato che ha omesso di garantire il benessere sociale ai propri giovani, tanto da regalare loro un presente di disperazione e un futuro senza speranza? Che dignità ha un Paese che toglie la speranza al suo popolo? Di che cosa è espressione una politica che trascura di accrescere la cultura, l'istruzione e la civiltà del suo popolo?
La politica e l'economia sono state trasformate in un'arma di morte, in un ricettacolo di numeri, di vincoli e di parametri che non hanno più alcun legame con la realtà, con il diritto di ogni persona di vivere un'esistenza libera e dignitosa.
Chi osanna ideologicamente il rispetto dei vincoli non è più in grado di vedere la bellezza della vita, non è più in grado di difenderla, non è più in grado di fare politiche che se ne prendano cura, non è più in grado di fare leggi che difendono a spada tratta la cultura e l'istruzione dei giovani come un bene fondamentale per costruire la speranza del futuro.
Invece di idolatrare la contabilità della morte, noi vogliamo fare leggi e politiche - indicate nella nostra relazione - che si occupano dell'economia della vita. Vogliamo misurare quel benessere equo e sostenibile che darà valore alla qualità dell'educazione di un essere umano, anche se non farà crescere il portafoglio dei soliti noti. E se proprio dobbiamo mettere dei vincoli, mettiamo dei vincoli di umanità, di dignità della persona sotto i quali non si può scendere, introduciamo delle procedure di infrazione che colpiscano tutti coloro che con dolo hanno approvato leggi di bilancio che hanno determinato disastri economici contrari ai diritti universali dell'uomo.
Ogni individuo, in quanto membro della comunità, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità. Ogni individuo ha diritto alla libertà di scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente, che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana. Ogni individuo ha diritto ad uno Stato a cui stia a cuore il futuro del suo popolo e che si adoperi con tutte le sue forze per ripudiare i vincoli che generano morte e miseria e propugni, invece, l'economia della vita.
È arrivata l'ora, prima di ulteriori e più radicali strappi sociali, che si discutano i trattati, che la politica riprenda a fare quello a cui è demandata, trattati che non sono legge scritta sulla pietra. Che si ripensi alla visione di un'Europa dei burocrati e delle banche, perché il Movimento 5 Stelle è per un'Europa dove i popoli vivono liberamente e in armonia e in cui deve trovare centralità il Parlamento europeo!
Per questo vi proponiamo di votare un Documento di economia e finanza che parla di futuro e speranza e di risorse da cui recepire i fondi per realizzarne gli obiettivi.
Alla luce delle considerazioni su esposte si ritiene che il DEF 2013 non abbia alcuna programmazione di medio e lungo periodo che dia speranze al nostro Paese e, pertanto, si invita il Governo a recepire la nostra relazione e le osservazioni ivi contenute, nonché, la risoluzione che presenteremo a corredo. Si tratta di proposte delineate al fine di predisporre le misure più idonee per uscire da una crisi economica e sociale che non ha precedenti nella storia. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, ricordo che i tempi per il dibattito sono stati ripartiti tra i Gruppi secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei Capigruppo.
Le proposte di risoluzione dovranno essere presentate entro la conclusione della discussione.
Dichiaro aperta la discussione.
È iscritto a parlare il senatore Scibona. Ne ha facoltà.
SCIBONA (M5S). Signora Presidente, senatrici e senatori, membri del Governo, la situazione economica in cui versa la finanza dello Stato impone che le scelte siano adeguate alle reali necessità degli italiani e che le poche risorse avanzate dal pagamento di situazioni debitorie pregresse siano usate per il bene della maggior parte dei cittadini.
La premessa fondamentale è che la finanza pubblica è un bene comune a destinazione comune, generato dai cittadini italiani con le tasse che tutti paghiamo (o dovremmo).
Voglio qui segnalare all'attenzione dell'Aula alcune scelte miopi (e basate su falsi presupposti) contenute nell'Allegato V - Programma delle infrastrutture strategiche del Documento in esame.
Ci saremmo aspettati molto di più dalla cosiddetta due diligence: in finanza due diligence significa istruttoria, analisi e previsione di rischio. Ci saremmo aspettati quel rigore tipico di chi è obbligato a gestire i bilanci familiari senza sufficienti introiti.
Speravamo in un ravvedimento circa l'utilizzo della legge n. 443 del 2001, una doverosa correzione delle storture di quella legge obiettivo che scavalca la volontà popolare e cala dall'alto progettualità, eliminando qualunque controllo di garanzia, utilità, fattibilità e rischio pur di pervenire all'utilizzo immediato di fondi pubblici a scapito delle tasche dei contribuenti e dell'ambiente. Ma così non è successo.
Con rammarico notiamo l'assenza di finanziamenti in infrastrutture per servizi alla cittadinanza, come l'edilizia scolastica, quella sanitaria, idrica o penitenziaria, a fronte di cifre spropositate per nuovi collegamenti ferroviari quali la Torino-Lyon, il Terzo Valico dei Giovi o la Milano-Verona-Padova-Mestre, che i dati di traffico internazionali indicano come non prioritarie e, in alcuni casi, bollate come inopportune dagli stessi tecnici chiamati a guidarne il processo progettuale.
Si legge nel primo capitolo dell'allegato V che il programma delle infrastrutture strategiche «realizza la coincidenza delle priorità nazionali con quelle degli investimenti di valenza europea (TEN-T core network)». Nulla di più inveritiero! Prendendo, ad esempio, il TAV-TAC Torino-Lyon, non vi è assolutamente alcuna coincidenza tra priorità nazionale ed investimenti europei riferiti agli assi transeuropei (TEN-T). Non è una priorità nazionale, in quanto esiste già il doppio binario ed è utilizzato al 27 per cento delle sue potenzialità, persino dopo l'ammodernamento recentissimo costato oltre 400 milioni di euro. Non è una priorità europea. Non lo chiede l'Europa. Leggetevi, vi prego, la decisione dell'Unione europea n. 661/2010/UE del Parlamento europeo del 7 luglio 2010 (Allegato III) che ha confermato la decisione n. 884/2004/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (Allegato II), il cosiddetto testo sacro del TEN-T core network, come indicato dal presidente Monti, che prevede 30 assi transeuropei (TEN-T). Ebbene, l'asse 6 Lione-Trieste-Divača/Koper-Divača-Lubiana-Budapest-frontiera ucraina (corrispondente al vecchio corridoio 5) non è previsto ad alta velocità e lo stesso Commissario incaricato per la parte orientale italiana, l'architetto Mainardi, esclude la necessità di realizzare una nuova linea, almeno per altri trent'anni, mentre prevede l'utilizzo ed eventualmente l'ammodernamento delle tratte esistenti. Ad alta velocità sono invece espressamente previsti gli assi 2, 3, 4 e 19. L'asse 6 in Italia esiste già: ripeto, non vi è alcuna coincidenza, come vi vogliono far credere, con l'interesse europeo, perché non è previsto, dall'Europa, ad alta velocità o alta capacità. L'asse 6 è previsto dall'Europa come linea convenzionale, come dichiarato anche dal Ministero delle infrastrutture italiano, con la richiesta di finanziamento congiunta (Italia-Francia) del 18 luglio 2007, firmata dal Ministro delle infrastrutture, dove, a pagina 1, si ricava che la linea ferroviaria è convenzionale. È la solita bufala per ingannare sulla necessità della spesa pubblica. Non lo chiede l'Europa e non è necessario: esiste già, nella parte italiana, l'asse 6!
Mentre gli italiani ci chiedono, a gran voce, maggiore funzionalità dei servizi, dal trasporto pubblico locale al servizio sanitario, dall'istruzione al welfare, settori in cui, invece, sono stati fatti tagli indiscriminati tali da minarne irrimediabilmente l'efficienza. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Merloni. Ne ha facoltà.
MERLONI (SCpI). Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi: abbiamo sostenuto tutti gli esami, scritto la tesi di laurea ed ora dobbiamo solo discuterla. Vorrei iniziare questo intervento riprendendo le parole pronunciate dal Ministro dell'economia durante l'audizione di giovedì scorso sul Documento di economia e finanza davanti alle Commissioni speciali di Camera e Senato:
La fase del rigore cui siamo stati chiamati ci ha consentito di arrivare a questo punto ed i sacrifici importanti che abbiamo dovuto affrontare stanno mostrando i primi risultati. L'azione del Governo Monti, infatti, ha permesso innanzitutto il riequilibrio delle finanze pubbliche: un'azione di risanamento e riforma strutturale che ha avuto un'intensità ed un'ampiezza che non sempre sono state colte pienamente dalla cronaca giorno per giorno e che nel 2012 hanno riportato il disavanzo pubblico dell'Italia, sostanzialmente in linea con le raccomandazioni in sede europea, sotto la soglia del 3 per cento del PIL. (Brusìo).
PRESIDENTE. Mi scusi un attimo, senatrice.
Vorrei pregare i colleghi, anche quelli che si trovano in corrispondenza dei banchi del Governo, di consentire di seguire il dibattito. Vi ringrazio. (Applausi dal Gruppo M5S).
MERLONI (SCpI). Non si poteva non mettere i conti in sicurezza per uscire dalla procedura di infrazione, per liberare risorse da utilizzare per la fase 2 del rilancio economico del nostro Paese.
Una volta, poi, che l'uscita dalla procedura per deficit eccessivo da parte della Commissione europea sarà ufficiale - ci auguriamo che le dichiarazioni della stessa Commissione di venerdì scorso siano un segnale positivo in questa direzione - si procederà ad una Nota di integrazione, come annunciato, del resto, dallo stesso ministro Saccomanni.
Dall'Europa potrebbero, dunque, essere sbloccate risorse per 12 miliardi, che potrebbero essere utilizzate con decreto del Governo per la rimodulazione dell'IMU, per evitare l'innalzamento dell'IVA previsto per luglio e per il finanziamento della cassa integrazione in deroga.
Il Ministro dell'economia ha assicurato che si cercherà di adottare tutte le misure necessarie per consentire un approccio rapido e soddisfacente ai problemi più urgenti, citando l'IMU ed in generale la tassazione della casa, gli esodati e il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Bene, perché queste rappresentano sicuramente alcune delle priorità da affrontare nella Nota di integrazione al Documento di economia e finanza, senza provvedimenti improvvisati o affrettati.
Tuttavia, accanto a tutto ciò che ruota attorno alla ridefinizione dell'IMU, con il già positivo slittamento del pagamento della rata prevista per il prossimo giugno, considerata la difficile fase economica che stiamo attraversando, occorre intervenire sulla tassazione del lavoro andando ad incidere sul cuneo fiscale, riducendo il carico di imposte per le imprese e per i dipendenti. Del resto anche l'OCSE, nel rapporto sulla situazione dell'economia italiana nel 2013 pubblicato e presentato al CNEL giovedì scorso, ha raccomandato di andare ad incidere sulla riduzione delle tasse sul lavoro, giudicando questa misura più importante che la riduzione dell'IMU.
Come sappiamo, per le imprese la priorità è IRAP. Per riavviare politiche di assunzione gli incentivi monetari sono importanti, ma non bastano; occorre piuttosto ridurre le tasse sui giovani, sui neoassunti, sul lavoro stabile. Intervenire sull'IRAP deve quindi essere un obiettivo di questo Governo, perché tale imposta, gravando sul costo del lavoro, penalizza le aziende anche quando non fanno utili. Dal punto di vista dei lavoratori dipendenti occorre invece pensare ad un intervento che preveda la riduzione dell'IRPEF magari attraverso un potenziamento della specifica detrazione. In entrambi i casi lo scopo è quello di ridurre la forbice tra il costo del lavoro per l'azienda e la retribuzione netta percepita in busta paga.
Affrontare il costo del lavoro significa affrontare il nodo della disoccupazione, che ha raggiunto ormai livelli intollerabili per un Paese degno di questo nome, e significa anche e soprattutto dare speranza a generazioni che si sentono tagliate fuori da qualsiasi dinamica lavorativa e che potrebbero quindi minare anche la questione sociale.
Per rilanciare la competitività e la capacità di crescere del Paese, accanto agli interventi sul cuneo fiscale, sarà importante sensibilizzare l'attenzione del sistema bancario nei confronti delle imprese. Gli istituti di credito hanno l'obbligo morale di contribuire in modo determinante ad incoraggiare il sistema produttivo attraverso un migliore e più facile accesso al credito. In quest'ottica va vista la decisione del presidente Draghi della Banca centrale europea e di tutto il board di ridurre di un quarto di punto il costo del denaro, portandolo ai minimi storici dall'introduzione dell'euro.
Ci sono quindi tutte le condizioni perché le banche tornino alla loro missione principale: finanziare con l'erogazione dei crediti gli investimenti privati. Oggi l'Italia è in emergenza liquidità. È in corso la terza ondata di credit crunch, dopo quelle 2007-2009 e 2011-2012. I prestiti alle imprese sono in caduta da più un anno e mezzo e lo stock erogato si è ridotto di 47 miliardi, un evento senza precedenti dal dopoguerra. In questo scenario le banche sono sempre più selettive e la scarsità di risorse disponibili contribuisce all'aumento dei fallimenti. È dunque importante rimettere in moto la fiducia delle banche per rilanciare con decisione la crescita economica italiana.
Infine, non si può non fare un cenno anche alla dismissione del patrimonio immobiliare statale. La costituzione della Società di gestione del risparmio potrà imprimere la svolta tanto auspicata per confermare le previsioni del Documento di economia e finanza di far giungere nelle casse statali risorse pari ad un punto di PIL all'anno nel prossimo quinquennio. È dunque fondamentale per l'Italia proseguire con determinazione sulla via delle riforme strutturali che possano gettare le basi per una ripresa economica duratura e stabile che si manifesterà nel 2014, ma che potrebbe essere intercettata già negli ultimi mesi di quest'anno.
Un clima nuovo accompagnato da passi concreti nel breve e medio periodo: di questo il nostro Paese è la necessità e l'urgenza. Questo Parlamento e questo Governo hanno l'occasione per ridisegnare un futuro migliore per l'Italia e per gli italiani, abbandonando la conflittualità di questi ultimi vent'anni e instaurando una nuova fase di lavoro sinergico e costruttivo. (Applausi dai Gruppi SCpI e PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore D'Alì. Ne ha facoltà.
D'ALI' (PdL). Signora Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, il Documento in esame ha una sua peculiarità (per non dire una sua criticità) assolutamente originale, che è di carattere procedurale ma anche sostanziale. Nasce infatti da un Governo che non è quello attuale, viene trasmesso al Parlamento per il suo dibattito, entra nel vivo del dibattito quando il Parlamento ha dato la fiducia ad un nuovo Governo. Come dicevo, è una criticità non solamente procedurale ma anche sostanziale, in quanto consente, deve consentire e deve prevedere un suo aggiornamento, naturalmente ad iniziativa del Governo (come già il Ministro ha preannunciato), ma vi è un'apertura anche ai suggerimenti del Parlamento. Quindi questa sua peculiarità consente al Parlamento una procedura assolutamente insolita, quella di dibattere in fase preventiva e suggerire al Governo eventuali interventi di modifica al Documento. Questo naturalmente non sui presupposti della nostra economia, attuali e previsionali, perché diversamente faremmo torto - e direi quasi offesa - a chi ha predisposto questi dati dal punto di vista tecnico ed entreremmo in una concezione nella quale non ci vogliamo addentrare, ossia il fatto che ogni tanto i dati possano essere elaborati ad usum Delphini. Noi invece riteniamo che sui dati attuali, dei quali abbiamo preso coscienza, si debba innescare un processo assolutamente innovativo di revisione strutturale della nostra economia.
La relatrice ha accennato, come anche altri colleghi, a quali sono i punti nodali sui quali occorre intervenire per ridare al Paese speranza di occupazione e di produttività: il comparto delle tasse e quello appunto degli incentivi alla produttività. Per il comparto delle tasse si va dall'IMU, alla TARES, ad una profonda revisione di questi due strumenti fiscali riconducendoli alla loro filosofia originaria di tributi locali finalizzati a compensare i servizi resi al cittadino, ma riguarda anche l'IVA, della quale dobbiamo assolutamente evitare l'aumento, e l'IRAP, di cui dobbiamo certamente prevedere la progressiva eliminazione.
Se tutto ciò va fatto (ma occorre intervenire anche sulla produttività, sul pagamento dei debiti verso le imprese, ma soprattutto per un riassetto degli incentivi), è innegabile ed inevitabile che questi provvedimenti richiedano una revisione anche dei margini di operatività del Governo, non solo dal punto di vista delle disponibilità finanziarie, ma anche degli equilibri del bilancio relativi anche alle prescrizioni comunitarie.
Quindi sono due i settori fondamentali sui quali si deve incidere strutturalmente per crearsi questi margini: uno è il debito pubblico e l'altro sono i tagli alla spesa pubblica. Sul debito pubblico bisogna immaginarsi di prendere in seria considerazione le molte proposte, tra le quali quelle importanti fatte dal Popolo della Libertà, di revisione della struttura del debito pubblico attraverso l'enucleazione di una sua parte garantita dagli immobili pubblici, per i quali non è sufficiente affermare - lo sento in quest'Aula da parecchi anni nel corso della mia permanenza - che si debbono valorizzare. Sono stati fatti piani di cartolarizzazione, piani di smobilitazione; è stata fatta tutta una serie di piani che puntualmente si sono rivelati inefficaci ed inefficienti e non hanno raggiunto lo scopo a cui si voleva con essi pervenire.
Pertanto bisogna immaginare di prendere in seria considerazione l'enucleazione di una parte del debito pubblico, trattare in Europa affinché questa enucleazione non sia più conteggiata ai fini del rapporto debito-prodotto interno lordo, e quindi, in considerazione di questa vicenda, si possa riequilibrare il rapporto tra debito e prodotto interno lordo e soprattutto tra deficit e prodotto interno lordo, perché nel deficit non deve essere conteggiata quella quota d'interessi che verrebbero corrisposti sulle cosiddette cartelle che dovrebbero essere emesse per enucleare quella parte di patrimonio pubblico che dovrebbe andare poi a riduzione del debito. Quindi, pur rimanendo nei parametri europei, si potrebbe creare sicuramente un margine di operatività.
Per quanto riguarda i tagli alla spesa pubblica, sappiamo bene che i cosiddetti tagli orizzontali e quelli relativi alla riduzione di alcune parti delle spese della politica sono assolutamente inadeguati a reggere le esigenze del Paese. I tagli alla spesa pubblica vanno confrontati e misurati su una grande riforma istituzionale del nostro Paese che deve riguardare le autonomie.
Abbiamo ormai constatato ed accertato, soprattutto attraverso i numeri dei bilanci, che il grande spreco della parte pubblica in questo Paese è costituito dalle autonomie: soprattutto le Regioni, l'eccessivo numero delle Province, l'eccessivo numero dei Comuni. I tagli alla spesa pubblica devono allora incidere sui punti di spesa, sul numero dei punti di spesa, non solo di questi enti, ma anche di tutti gli enti intermedi che poi sono il frutto dell'attività sul territorio dei singoli enti: 8.200 Comuni, di cui la stragrande maggioranza, più della metà, ha meno di 3.000 abitanti, e 20 Regioni, con alcune di esse che hanno una consistenza non superiore a quella del quartiere di una grande città, non sono più un apparato istituzionale che il nostro Paese può reggere nel confronto, in materia di competitività, con la spesa pubblica degli altri Paesi. Peraltro sono il frutto di una concezione centralista dello Stato che, nel tempo, si è posizionato sul territorio per svolgere le sue incombenze e le sue competenze. Adesso bisogna profondamente rivedere la struttura delle autonomie territoriali per renderle più snelle, per realizzare economie di scala, per andare incontro ai cittadini nel rendere servizi efficaci ed efficienti.
Se noi utilizziamo queste due grandi opportunità, quella dell'intervento strutturale sul debito pubblico, con una legge ordinaria, e quella di una profonda revisione delle autonomie, attraverso una legge costituzionale, che veramente renda molto più semplice l'apparato burocratico sparso sul territorio, potremo creare quei margini di intervento per ridurre il carico fiscale ai nostri cittadini e per dare alle imprese una serie di nuovi incentivi alla produttività. Ma questo naturalmente incidendo anche con criteri innovativi sugli incentivi, che non possono più essere quelli del passato ma devono avere anche la capacità di intercettare quei settori economici che nel tempo abbiamo ritenuto superati dal punto di vista della loro efficacia, come l'agricoltura e l'artigianato, insieme a nuovi ed importanti settori economici, purtroppo trascurati, come il turismo, che possono essere fonte di lavoro, di occupazione e di rilancio produttivo, atteso che il modello industriale è in ginocchio soprattutto per l'elevato costo del lavoro.
Oggi le nostre industrie chiudono, non solo per il deficit dei loro bilanci, ma anche, pur essendo in attivo, perché delocalizzano: vanno all'estero, dove il costo del lavoro è sicuramente inferiore e quindi privano il nostro Paese di fonti di lavoro e di produttività veramente rilevanti. È un processo al quale dobbiamo mettere uno stop assoluto. È per questo che noi chiediamo al Governo che, nella sua di attività di dialogo col Parlamento, recepisca questa insolita opportunità di un Documento di economia e finanza che deve essere rivisto, che può attirare indicazioni da questo dibattito, un po' come siamo stati autorizzati a fare di recente in sede comunitaria dopo il Trattato di Lisbona.
Ma voglio anche dare un'altra indicazione. Il Governo, che è politico, utilizzi il suo Parlamento e non lo mortifichi come è stato fatto negli ultimi anni con un sistema di decreti che vanno, immodificati o immodificabili, a fiducia, attraverso un meccanismo di monocameralismo imperfetto. Faccia dei decreti settoriali ed eviti decreti omnibus. Le Commissioni parlamentari ed il Parlamento sapranno dare il contributo e le risposte adeguate. (Applausi dal Gruppo PdL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bocchino. Ne ha facoltà.
BOCCHINO (M5S). Signora Presidente, care colleghe e cari colleghi, signori Ministri, condivido con voi alcune riflessioni sul Documento di economia e finanza per quel che riguarda il settore "università e ricerca".
Premetto che istruzione, ricerca e innovazione sono da sempre riconosciuti come i fattori trainanti per il progresso sociale ed economico di un Paese, gli unici capaci di creare uno sviluppo sostenibile e durevole. Purtroppo in Italia questo semplice paradigma non è conosciuto o è volutamente ignorato. Perché succede questo? Vorrei attirare la vostra attenzione su una semplice constatazione. I risultati degli investimenti in università e ricerca non sono sempre immediatamente visibili, ma hanno un ritorno nel medio e lungo periodo. Ciò ha reso tali interventi particolarmente difficili da attuare da parte di una classe politica che è stata molto spesso più attenta ai ritorni elettorali a breve scadenza piuttosto che a programmazioni pluriennali. La politica, cari colleghi, non ha ancora capito l'importanza strategica di questo settore.
I risultati di questo vero e proprio gap culturale si riflettono sull'impietoso confronto con gli altri Paesi europei. Un recente rapporto Eurostat pone infatti l'Italia nella parte bassa della graduatoria del rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo e PIL, attestandosi a livelli inferiori anche di Paesi entrati di recente nell'Unione europea.
Il DEF presentato a questa Assemblea risulta particolarmente insoddisfacente da questo punto di vista. Infatti, se scorriamo gli interventi a supporto di università e ricerca, il Governo snocciola cifre su cifre, come se fossero quelle di un successo. Arriviamo ad esempio alla sezione dove si citano gli 1,6 miliardi del Fondo ordinario per gli enti di ricerca. Il Governo si guarda bene dal dire che è stato operato quest'anno un taglio lineare del 5 per cento sulle assegnazioni ordinarie degli enti (ultimo taglio di una lunga serie che ha stretto ancor di più il cappio intorno al collo degli enti di ricerca).
Altro esempio di queste "omissioni", per così dire, nel Documento sono i 70 milioni di euro destinati ai progetti di ricerca e sviluppo di interesse nazionale (il cosiddetto bando PRIN) e quelli per i progetti dei giovani ricercatori (il bando FIRB); anche in questo caso il Governo si guarda bene dal dire che queste importanti voci sono state oggetto di tagli indiscriminati. Solo quattro anni fa gli stessi bandi hanno erogato più del doppio (155 milioni di euro).
E che dire di altre amenità che si trovano nel DEF, come il Fondo integrativo nazionale delle borse di studio? Quest'anno è pari a 55 milioni di euro, ma non si dice che nel 2009 era pari a 246 milioni. O che dire del blocco del turnover che favorisce il precariato e la fuga dei cervelli?
In questo Documento dunque, da un lato, si decantano le lodi degli obiettivi di crescita degli investimenti, mentre, dall'altro, si operano tagli ben nascosti agli elettori.
Il presidente Letta, solo ieri sera, nel corso di una nota trasmissione televisiva, ha dichiarato che si dimetterà se dovrà operare tagli su cultura, università e ricerca. Certo, non ha scritto lui questo DEF, ma almeno lo legga bene, si informi e lo emendi, perché mi sa che le sue dimissioni sono già scritte là dentro. (Applausi dal Gruppo M5S).
In questa Assemblea, care colleghe e cari colleghi, mi auguro che tutti noi riusciamo ad essere coesi nella volontà di dare al Governo qui presente, tramite le nostre mozioni e le nostre risoluzioni, una indicazione chiara e precisa riguardo un cambiamento di rotta capace di orientare finalmente il nostro Paese verso una vera e piena società basata sulla conoscenza. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Rossi Gianluca. Ne ha facoltà.
ROSSI Gianluca (PD). Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la perdita di competitività e i ritardi di questi ultimi anni si stanno riflettendo sulla crescita di inediti divari sociali e territoriali, che acuiscono le contraddizioni irrisolte del nostro Paese nella crisi economica più grave in tempo di pace della sua storia unitaria. Problematiche connesse agli equilibri di finanza pubblica e all'utilizzo delle risorse politiche di sviluppo dei sistemi territoriali e una strategia per la crescita fatta di investimenti su capitale umano, innovazione e ricerca rappresentano gli assi su cui investire per la stagione di riforme necessarie all'Italia.
In una recente statistica sulle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche, relativa al 2011, emerge che il 5 per cento dei contribuenti con i redditi più alti detiene il 22,9 per cento del reddito complessivo, ossia una quota maggiore a quella detenuta dal 55 per cento dei contribuenti con i redditi più bassi.
La politica di correzione dei saldi di finanza pubblica adottata negli ultimi tre anni, inoltre, ha significato pesanti effetti sui livelli di governo territoriale (in particolare per le Regioni) e paradossalmente senza alcuna distinzione rispetto alla virtuosità delle stesse. Le Regioni, infatti, concorrono alle manovre di rientro in maniera sproporzionata rispetto al loro peso sulla spesa, con una serie di provvedimenti di finanza pubblica che hanno un pesante impatto sui cittadini. Cito solo i principali: riduzione delle risorse previste per i sistemi sanitari regionali; inasprimento delle regole del Patto di stabilità interno; tagli e azzeramento di trasferimento del bilancio dello Stato a funzioni invariate; azzeramento della capacità di indebitamento senza distinzione.
Questi dati sono sufficienti ad evidenziare come le politiche fiscali e redistributive di questi ultimi anni abbiano accentuato la divaricazione della ricchezza fra i cittadini e provocato un ampliamento del gap fra le diverse aree territoriali del Paese. Nel 2007 il PIL italiano era infatti pari a 1.680 miliardi di euro; cinque anni dopo si è ridotto a 1.567: abbiamo perso quindi 113 miliardi, di cui 72 al Centro-Nord e 41 nel Mezzogiorno.
In tale contesto il sistema produttivo si è indebolito a tal punto che tra il 2007 e il 2011 gli occupati nel sistema industriale si sono ridotti del 15,5 per cento nel Mezzogiorno e del 5,5 per cento nel Centro-Nord, dove comunque si evidenziano dati di preoccupante arretramento con ridotta competitività e drammatici riflessi sui livelli occupazionali, come testimoniato dall'utilizzo degli ammortizzatori sociali. Tra il 2000 e il 2011 in Europa si manifesta una tendenza alla convergenza del PIL pro capite: in linea di massima i Paesi che nel 2000 presentavano i livelli più bassi sono quelli in cui è cresciuto di più e viceversa.
Nel 2000 il PIL pro capite valutato in base al potere d'acquisto (PPA) dell'Italia era il 18 per cento più alto di quello della media dei Paesi UE a 27. La crescita economica sperimentata dal nostro Paese, la più bassa dell'Unione, ha comportato che nel 2011 l'Italia si sia ritrovata al di sopra della media dei Paesi UE a 27 di appena lo 0,4 per cento. Ciò testimonia l'inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo che non hanno saputo garantire maggiore occupazione e nuova imprenditorialità, migliore coesione sociale e modernizzazione dell'offerta dei servizi pubblici.
Tra i grandi sistemi dell'Eurozona l'Italia è il Paese con le più rilevanti disuguaglianze territoriali. Se si confronta il reddito pro capite delle tre Regioni più ricche e più povere dei grandi Paesi dell'area dell'euro emerge che l'Italia ha il maggior numero di Regioni con meno di 20.000 euro pro capite: (sette rispetto alle sei della Spagna, quattro della Francia e una sola della Germania), con i livelli di reddito del Mezzogiorno inferiori addirittura a quelli della Grecia.
Fra i fattori, inoltre, che hanno determinato il ritardo accumulato dal Mezzogiorno nei periodo di crisi che va dal 2007 al 2012 rientra sicuramente il non adeguato utilizzo dei fondi comunitari. Al contrario di ciò che è accaduto in altri Paesi con un marcato dualismo territoriale, in Italia la convergenza tra Sud e Nord non si è mai realmente affermata, prova ne è il fatto che nella prossima programmazione la stima della popolazione sottoposta all'Obiettivo convergenza passerà in Italia dall'11 al 14 per cento del totale, mentre altri Paesi vedranno calare drasticamente tale percentuale: la Germania passerà dal 5,4 allo zero per cento e la Spagna dal 9,1 allo 0,9 per cento.
Sebbene il PIL resti un affidabile indice di benessere, è bene ricordare che non tiene conto di aspetti importanti della vita delle persone come la salute, la qualità dell'ambiente, le pari opportunità, i livelli di istruzione e la speranza di vita, tutti fattori (valutati con l'indice dello sviluppo umano, utilizzato dalle Nazioni Unite) che determinano pesanti diseguaglianze tra aree del nostro Paese; tra questi c'è anche l'incapacità del sistema educativo di accompagnare i processi di sviluppo attraverso la formazione di un capitale umano qualificato, rendendo effettivamente virtuoso il percorso scuola-formazione-lavoro. A fronte, infatti, di una spesa pubblica per l'istruzione e la formazione nel Mezzogiorno pari al 6,7 per cento del PIL, contro il 3,1 per cento del Centro-Nord, si riscontra un tasso di abbandono scolastico del 21,2 per cento nel Sud e del non trascurabile 16 per cento del Centro-Nord, con un'altissima incidenza del fenomeno Neet (not in education, employment or training).
Tutto ciò ci consegna una responsabilità in più di fronte alla nuova programmazione comunitaria 2014-2020. Andranno, infatti, approfondite alcune questioni strategiche, a cominciare dal tema dei programmi regionali plurifondo come strategia integrata di sviluppo del territorio, frutto di un ripensamento delle logiche d'intervento settoriali sia del FESR che del FSE e del maggior coordinamento con il FEASR. Da questo dipenderà il successo della nuova programmazione, sia nell'ottica della semplificazione delle procedure gestionali per ridurre gli oneri, sia in termini di efficacia delle politiche territoriali, nel rispetto del rafforzamento della politica di coesione, come previsto dal Trattato di Lisbona.
Gli impegni presi con il DEF, dunque, necessari per uscire quanto prima dalla procedura di disavanzo eccessivo, devono tradursi, diversamente dal passato, in quelle riforme strutturali del sistema italiano necessarie a recuperare quei margini di manovra all'interno dei vincoli europei, indispensabili per dare risposte alle difficili condizioni economiche e sociali in cui versano imprese, famiglie e giovani generazioni. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Airola. Ne ha facoltà.
AIROLA (M5S). Signora Presidente, c'è una domanda che da decenni non ha risposta: perché un Paese come l'Italia, che detiene probabilmente il più grande patrimonio artistico e culturale del mondo, non possiede un piano strategico generale per la sua tutela e per il suo sviluppo economico e turistico? Spagna, Regno Unito, Germania, Francia, Olanda, Danimarca, Polonia, Paesi baltici, praticamente tutti i Paesi europei, ne hanno uno e tra l'altro l'hanno stilato negli anni di inizio della recente crisi economica 2007-2008. L'Italia no.
È inverosimile e inaccettabile che, mentre crollava per l'incuria e la mala gestione decennale la Domus dei gladiatori a Pompei, si decidessero altri tagli alla cultura. Ci domandiamo tutti noi come mai settori come il teatro, la musica, il cinema, le arti visive, la danza, il settore dell'industria creativa e culturale, che contano circa 1.400.000 impiegati, sopravvivano con difficoltà, con un Fondo unico per lo spettacolo che è poco più della metà di quello che la Francia stanzia solo per il settore cinematografico e audiovisivo, che è gestito spesso senza un criterio costruttivo e meritocratico, senza alcun tipo di defiscalizzazione, o quasi, per chi fa impresa nel settore.
Sembra quasi inutile dover giustificare con seri e approfonditi studi - che peraltro sostengono le tesi qui esposte - quello che a chiunque con un po' di buon senso è chiaro: non investire nel nostro patrimonio culturale è un atto folle. Non investire in un settore che da solo potrebbe consentire un incremento dai 3 ai 5 punti del PIL, e che attualmente (unendo il comparto turistico e quello culturale) fornisce il modestissimo ritorno economico di circa 70 miliardi di euro l'anno, significa non solo contribuire alla lenta distruzione di un immenso patrimonio, nazionale e dell'intera umanità, ma anche privare di una fondamentale risorsa economica la già drammatica situazione finanziaria italiana.
La cultura non è solo impresa, lavoro e ricchezza: è anche la componente fondamentale per la crescita, la realizzazione e il benessere di un popolo; é la possibilità per i giovani di avere prospettive future migliori e per l'intera società di evolversi ed esprimersi al meglio. Senza cultura non siamo nulla, siamo senza identità, inermi di fronte alle avversità e senza la possibilità di partecipare a qualsivoglia vita sociale e politica. Senza cultura nessuno di noi oggi potrebbe adeguatamente adempiere ai doveri istituzionali, né esercitare i propri diritti, compreso il grandissimo onore di rappresentare i nostri concittadini ora in quest'Aula, compito che non deve diventare privilegio di pochi. La cultura e l'istruzione permettono invece a tutti i cittadini di svolgere questi importanti incarichi, come garantisce la nostra Costituzione.
Chiediamo quindi che venga al più presto elaborato un piano strategico di investimento e di gestione dell'intero comparto culturale e turistico, organico e coerente con obiettivi a breve ma soprattutto a lungo termine; che finalmente si cominci a provvedere ad un razionale inventario di tutto il patrimonio artistico e culturale italiano, per pianificare modalità e investimenti concreti a tutela dello stesso e in favore degli operatori del settore.
Il formidabile potenziale creativo italiano, unito allo straordinario patrimonio suddetto, favoriti da una rivoluzione tecnologica e digitale che ha permesso l'abbassamento dei costi dell'impresa culturale, possono rappresentare la via d'uscita dalla crisi economica, ma soprattutto dalla crisi morale, che impoverisce le casse e le coscienze del Paese.
È ora di cambiare strada e realizzare il bene del Paese e degli italiani. Questo cambiamento passa necessariamente dalla cultura. Continuare con politiche di sussistenza e di tagli, senza un progetto e una visione più ampia, con vergognose modalità politiche e amministrative clientelari, che emergono ovunque, è un atto criminale... (Il microfono si disattiva automaticamente). (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Uras. Ne ha facoltà.
URAS (Misto-SEL). Signora Presidente, onorevoli colleghi, il Documento di economia e finanza che abbiamo in discussione appartiene alle elaborazioni politiche di linea economica della precedente legislatura e pertanto al precedente Governo.
(Segue URAS). L'approvazione proposta all'Assemblea è una chiara affermazione che la consultazione elettorale e l'ampia ed inequivocabile domanda di cambiamento, venuta dall'intera comunità nazionale rischiano di non produrre alcun effetto, determinando ancora una volta una frattura tra il corpo elettorale e il Governo del Paese.
Siamo di fronte, purtroppo, ad un atto confermativo e di esplicita continuità con la precedente gestione dell'economia nazionale. Con questo provvedimento siamo dentro la linea dell'austerità recessiva, tanto criticata a parole quanto sostenuta nei fatti da questa maggioranza anomala PD, PdL e Scelta Civica, e oggi tollerata anche dalla Lega. È una linea di politica economica ormai datata, contestata e in parte contrastata da autorevoli organismi dell'economia mondiale in quanto fallimentare rispetto anche agli obiettivi intellettuali per i quali è stata pensata.
Per queste ed altre ragioni abbiamo inteso presentare una risoluzione alternativa a quella di maggioranza come atto di chiara opposizione a questo Governo; un'opposizione democratica e di merito, matura sul piano civile e politico‑istituzionale. Non abbiamo la presunzione di gridare che siamo gli unici oppositori, come se avessimo bisogno di convincerci di una verità inesistente. Noi intendiamo fare opposizione vera senza sconti, nell'interesse del Paese, delle nostre comunità territoriali, del nostro Mezzogiorno sfiancato dalla crisi, dei lavoratori e degli onesti imprenditori che vivono il disagio della disoccupazione e della prospettiva del fallimento, nonché delle tante famiglie precipitate nella povertà.
Il DEF contro il quale ci esprimiamo, se poteva essere prima comprensibile (in ogni caso non giustificabile per l'approccio particolarmente aggressivo verso il mondo della produzione, del lavoro, tutto orientato a fornire soprattutto garanzie ai creditori del nostro smisurato debito pubblico, cresciuto in questi anni per precise responsabilità dei Governi, in modo particolare di centro-destra), ora é in pieno contrasto con il buonsenso ed è contro la necessità e l'urgenza, da tutti riconosciuta, di fare politiche di sostegno allo sviluppo e all'occupazione e di intervenire a ridurre in modo significativo e progressivo l'emergenza sociale, il dilagare della povertà, il crollo della fiducia verso il superamento della crisi, l'abbandono della speranza da parte di molti lavoratori e imprenditori, giovani e donne, in cerca di occupazione, spesso di prima occupazione.
Per questo non accettiamo la tesi che l'approvazione del DEF possa essere di tipo tecnico, in grado di garantire l'automatica conclusione della procedura di infrazione per disavanzo eccessivo dell'Italia; ci pare riduttivo e anche una forma di giustificazione debole rispetto all'esigenza di intervenire sul DEF già in questa fase. La sua approvazione ha il significato politico di assenso vero e incondizionato all'operato del precedente Governo, operato freddo e impermeabile ai bisogni sociali e delle comunità locali, ai bisogni di vita di tante categorie di lavoratori in difficoltà, alle necessità di resistenza di innumerevoli imprese, soprattutto di micro e piccola dimensione.
In relazione alle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio attendevamo un segnale vero di modifica del Documento, a partire dalla rinuncia ai passaggi di autocelebrazione dell'attività svolta, all'autoapprovazione dei cosiddetti progetti di riforma strutturale, ad iniziare da quella del lavoro che oggi tutti voi, dichiarando pentimento dopo averla ieri approvata a larghissima maggioranza, pare intendiate porre in discussione.
Nulla di tutto ciò è stato purtroppo fatto e, dopo interminabili audizioni in Commissione speciale, la fine è identica all'inizio: nessun emendamento, nessun atto verso un percorso di cambiamento, solo continuità con il passato.
Eppure, sarebbe stato importante fare una valutazione sulle conseguenze di tale operato, contenute comunque nei dati forniti da tutti i principali organismi nazionali competenti in materia di economia e di bilancio pubblico - dall'ISTAT alla Banca d'Italia, dalla Corte dei conti al CNEL - i quali hanno tutti richiamato in modo preoccupato la grave situazione sociale ed occupazionale del sistema produttivo nazionale.
Invece, tutto è rinviato alla cosiddetta Nota aggiuntiva che il Governo dovrebbe elaborare. Dico «dovrebbe», perché le certezze, anche su questo punto, sono veramente vaghe. Infatti, i contenuti appaiono decisamente incerti, oggetto delle polemiche sulle priorità che sono state attivate in questi giorni tra i principali partiti che costituiscono questa maggioranza culturalmente e politicamente variopinta.
Noi - e non solo noi - andiamo invece sostenendo che un radicale intervento di modifica del DEF debba intervenire soprattutto ad iniziare dalla spesa, e non per cifre di poco peso. La stima è credibilmente posizionata tra i 7, 8, 12, 15 miliardi, in relazione alle risorse da destinare alla Cassa integrazione e mobilità anche in deroga, agli esodati, alle ristrutturazioni edilizie eco-sostenibili, al rinnovo dei contratti precari della pubblica amministrazione, ai contratti di servizio di importanti aziende pubbliche e, soprattutto, per le mancate entrate (quelle che si prevedono in caso di sospensione, ridefinizione e superamento di imposte certamente inique come l'IMU sulla prima casa di lavoratori e pensionati) e l'aumento di imposte indirette che gravano in modo prevalente sulle fasce di popolazione più deboli in relazione all'incremento del peso dell'IVA.
Inutile attardarsi sull'analisi della situazione italiana: essa è nota e l'avete sottolineata anche voi, così come i sostenitori di questo DEF inaccettabile. Vale però la pena intervenire e dire la nostra opinione su cosa sia assolutamente necessario cominciare a fare. In primo luogo, occorre promuovere e sostenere la rapida approvazione di una legge efficace per contrastare il conflitto di interessi; in secondo luogo, ripristinare e rafforzare il controllo di legalità in tutto il ciclo economico, pubblico e privato, in cui tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti siano assunti come punti di forza nella lotta alle mafie, abrogando leggi che premiano comportamenti non virtuosi, quali condoni ed elusioni fiscali.
Allo stesso tempo, è necessario promuovere una legge sulla rappresentanza sindacale; abolire l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, e ripristinare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; modificare la normativa sul lavoro di cui alla legge 28 giugno 2012, n. 92; innalzare l'obbligo scolastico a 18 anni; contrastare la dispersione scolastica, specie nel Mezzogiorno; varare politiche di diritto allo studio; incrementare, nell'ambito del Piano nazionale della ricerca, l'indicazione di misure volte al raggiungimento di obiettivi europei relativamente alla percentuale di PIL, che dovrebbe raggiungere il 3 per cento entro il 2020, da investire nella ricerca e nello sviluppo; ripubblicizzare il servizio idrico (anche in attuazione di un referendum); riorganizzare i servizi pubblici locali per bacini di utenza; progettare lo sviluppo di un vero programma di edilizia abitativa per dare risposta al bisogno di casa, ma, allo stesso tempo, rilanciare questo importante settore; rifinanziare il Fondo rotativo per le misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto. Infine, vanno affrontate tante altre questioni di questa natura.
Soprattutto, però, occorre riaffermare i valori contenuti nell'articolo 5 della Costituzione sul protagonismo delle autonomie e delle comunità locali, in contrasto con le tentazioni neo-centralistiche e autoritarie che abbiamo sperimentato nella dimensione nazionale ed europea, soprattutto in questi mesi, in ragione della strategia di contrasto alla crisi, strategia chiaramente fallimentare, socialmente aggressiva, politicamente rischiosa, anche per la tenuta della nostra democrazia; soprattutto occorre pensare allo sviluppo locale come modalità più efficace per il rilancio dei valori del lavoro, quello buono e stabile, in grado di produrre in modo sostenibile, socialmente ed ecologicamente, i beni e i servizi utili alle comunità, e in relazione alle vocazioni produttive dei luoghi. Bisogna promuovere politiche europee, nazionali, regionali veramente inclusive, di contrasto alla marginalizzazione e alla povertà, di sostegno alla creazione di sistemi e pratiche finalizzati a favorire la cooperazione tra ambiti territoriali e Paesi diversi, a partire dal rilancio delle politiche di libero scambio euro-mediterraneo. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scilipoti. Ne ha facoltà.
*SCILIPOTI (PdL). Signor Presidente, onorevoli senatrici, onorevoli senatori, rappresentanti del Governo, ho chiesto di prendere la parola per contribuire ad una serena valutazione dell'azione di governo dei cosiddetti tecnici sul Documento di economia e finanza 2013.
Se le azioni a cui si fa riferimento nel documento dal titolo «Un anno di riforme», tese a stimolare la competitività, a favorire l'occupazione, a migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche, a rafforzare la stabilità finanziaria avessero effettivamente sortito il loro effetto, il Paese reale se ne sarebbe accorto.
L'esperienza del Governo di impegno nazionale, sostenuto in Parlamento da un'ampia maggioranza delle forze politiche, non ha consentito di superare la situazione di stallo in cui, per colpa della crisi finanziaria di carattere internazionale, si era infilato il nostro Paese.
Il programma di interventi, realizzati in un tempo relativamente breve, che ha toccato tutti i settori cruciali della vita economica e sociale del Paese, non ha portato l'Italia fuori dall'emergenza finanziaria. Non sono bastati 45 legge e decreti-legge convertiti dal Parlamento, e 24 decreti delegati derivanti da legge delega adottati dal Governo. Quest'azione, sostenuta da un'ampia maggioranza, lo ripeto, non ha permesso il riequilibrio delle finanze pubbliche. La garantita e stabile governabilità e la mano esperta e sicura dei tecnici non ci hanno ancora portato fuori delle acque di difficoltà, cioè in acque sicure. Invece, a leggere il documento sottoscritto dal senatore Monti, pare che nel 2012 l'Italia ha riportato il disavanzo pubblico sostanzialmente in linea con le raccomandazioni in sede europea, sotto la soglia del tre per cento del PIL.
Nel 2013, inoltre, l'Italia conseguirà il pareggio di bilancio in termini strutturali, adempiendo all'impegno assunto a metà del 2011 dal Governo italiano dell'epoca (io non ho mai votato il pareggio di bilancio). Ma è ormai evidente alle famiglie, alle piccole e medie imprese, ai commercianti, agli artigiani, ai professionisti, che le azioni per ottenere il riequilibrio delle finanze pubbliche, peraltro ancora non certo, hanno fatto crescere il numero dei disoccupati, giovani e non, insieme con il debito pubblico, oltre i 2.000 miliardi di euro. In altri termini, la misurazione del PIL e la percentuale di indebitamento concesso non consentono di misurare la complessa realtà economica e sociale del nostro Paese. Di questo limite si è accorto anche l'ISTAT e, di concerto con il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, ha individuato un nuovo indice di valutazione, detto benessere equo e sostenibile.
Ritenendo che non è possibile sostituire il PIL con un indicatore singolo del benessere di una società, il gruppo di studio dell'ISTAT ha ritenuto necessario selezionare, con il coinvolgimento di tutti i settori della collettività e degli esperti di misurazione, l'insieme degli indicatori ritenuti più rilevanti e rappresentativi del benessere di ogni specifica collettività, poiché per valutare il progresso di una data società occorre considerare anche parametri di carattere sociale ed ambientale.
L'obiettivo era quello di misurare il benessere equo e sostenibile, analizzando livelli, tendenze temporali e distribuzione delle diverse componenti del benessere equo e sostanziale, così da identificare punti di forza e di debolezza, differenze di genere nonché particolari squilibri territoriali o gruppi sociali avvantaggiati o svantaggiati, anche in una prospettiva intergenerazionale.
Un giudizio non certo positivo del Governo d'impegno nazionale, sostenuto da un'ampia maggioranza parlamentare, lo si ricava anche osservando gli indici del cosiddetto «Benessere equo e sostenibile» presentati dall'ISTAT nello scorso marzo del 2013. Si legge nella relazione: «Le famiglie italiane ha tradizionalmente un'elevata propensione al risparmio e la proprietà dell'abitazione, fanno inoltre ricorso all'indebitamento in misura contenuta e mostrano una diseguaglianza della ricchezza che, nel confronto europeo, è meno marcato di quella osservata in termini reddituali».
La crisi economica degli ultimi cinque anni sta mostrando i limiti di questo modello, accentuando le disuguaglianze tra classi sociali, le profonde differenze territoriali e riducendo ulteriormente la già scarsa mobilità sociale. In questo arco di tempo alcuni segmenti di popolazione e certe zone del Paese sono state particolarmente colpiti sia dalla riduzione dei posti di lavoro, sia dalla diminuzione del potere d'acquisto che, tra il 2007 e il 2011, si è ridotto del 5 per cento.
Con il perdurare della crisi nel 2011 la situazione si è deteriorata: lo conferma l'impennata degli indicatori di deprivazione materiale. La grave deprivazione aumenta di 4,2 punti percentuali, passando dal 6,9 al 11,1 per cento, preceduta da un incremento, nel 2010, del rischio di povertà (calcolato sul reddito 2010) nel Centro (dal 13,6 al 15,1 per cento) e nel Mezzogiorno (dal 31 al 34,5 per cento) e cioè a dire da un aumento della disuguaglianza del reddito.
Si legge ancora nella relazione: «Sfiducia nei partiti, nel Parlamento, nei consigli regionali, provinciali e comunali, nel sistema giudiziario. Una sfiducia trasversale che attraversa tutti i segmenti della popolazione, tutte le zone del Paese, le diverse classi sociali.(...). A marzo 2012, il dato peggiore sul fronte della fiducia dei cittadini verso le istituzioni riguarda i partiti politici: la fiducia media dei cittadini verso i partiti politici, su una scala da 0 a 10, è pari ad appena 2,3». (Seguono il Parlamento con il 3,6, le amministrazioni locali con il 4, la giustizia con il 4,4). «Le sole "istituzioni" verso le quali i cittadini esprimono fiducia sono i Vigili del fuoco e le Forze dell'ordine che insieme raggiungono il 7,1, come media tra i Vigili del fuoco (8,1) (...) e le Forze dell'ordine (6,5)».
In una tale situazione non sorprende che la partecipazione politica sia bassa e in diminuzione. Nel 2009, in occasione delle ultime elezioni europee, il tasso di partecipazione al voto è stato pari al 65,1 per cento (era l'85,7 per cento nel 1979). Segue la relazione: «Va però notato come tale partecipazione si esprima a diversi livelli: non necessariamente l'interesse per la cosa pubblica si traduce in attività di sostegno alla politica in senso stretto, ma si esercita anche con l'informarsi e lo scambiare opinioni sui temi della Res Publica». (Nel 2012 rimane stabile al 67 per cento la popolazione dì 14 anni e più che partecipa alla vita civile e politica, cioè parla o si informa di politica almeno una volta alla settimana o partecipa on line.) «A questo proposito, pur evidenziandosi un aumento (...) dal 12 al 17 per cento di coloro che si informano attraverso Internet soprattutto tra i giovani, ancora una parte ampia della popolazione non partecipa in nessuna forma alla politica e il parlare e l'informarsi di politica è in diminuzione. Nel complesso, tuttavia, i cittadini sembrano essere lontani dalla politica. Le donne soprattutto la vedono come una dimensione estranea ai propri interessi. Il che non sorprende, visto che la presenza delle elette nelle assemblee parlamentari e nei luoghi decisionali più importanti della sfera pubblica e privata continua a permanere molto bassa, come del resto la presenza giovanile in Parlamento».
Questi sono giudizi espressi non da una parte politica, ma dagli esperti in valutazione economica e sociale dell'ISTAT. Anche questi ultimi avvalorano il fallimento delle riforme del Governo Monti.
Approfitto dell'occasione per delineare il percorso di riforme che sostengo da anni in Parlamento e che vorrei fosse preso in seria considerazione dal nuovo Governo.
Per tornare a crescere è necessario investire, ma occorre investire in riforme a costo zero. Esistono moltissime e importantissime riforme che si possono fare senza aumentare di un solo euro il debito pubblico. Queste riforme richiedono da un lato la netta separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari, dall'altro, un intervento per restituire allo Stato la Banca d'Italia. Si tratta di una riforma importante che dovrebbe essere presa in seria considerazione dal momento che un decreto-legge, recante misure urgenti per la finanza pubblica, sul quale si votò la fiducia al Governo Amato, all'epoca Presidente del Consiglio, il 29 luglio 1992, con 288 voti favorevoli, 236 contrari e 24 astenuti, intervenne sulla sovranità monetaria, vale a dire sulla differenza tra il potere reale e il potere commerciale, su quella differenza di denaro che una volta apparteneva al popolo e allo Stato italiano e che oggi è dei banchieri.
È arrivato il momento che il Parlamento prenda in seria considerazione queste due riforme e che all'interno di quest'Aula esse vengano discusse per uscire dalla crisi e cercare di risolvere l'80 per cento dei problemi reali di questo Paese. (Applausi del senatore Iurlaro).
Signor Presidente, chiedo di poter allegare il testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.
È iscritta a parlare la senatrice Lanzillotta. Ne ha facoltà.
LANZILLOTTA (SCpI). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, la discussione del Documento di economia e finanza cade quest'anno in un momento estremamente delicato in cui la crisi economica si associa ad una complessa transizione: transizione politica e istituzionale; transizione della politica e della missione stessa dell'Europa e del nostro ruolo all'interno dell'evoluzione europea; transizione della strategia di politica economica e finanziaria.
Una fase si è conclusa, un'altra nuova, ma ancora indefinita e incerta, se ne deve aprire.
Il DEF approvato dal Governo dimissionario rappresenta la connessione tra queste due fasi, indica il traguardo raggiunto nel percorso di risanamento, proietta gli effetti di stabilizzazione delle politiche realizzate nell'ultimo biennio, ma non indica ancora (non avrebbe potuto farlo) le nuove politiche necessarie ad affrontare la crisi sociale e i problemi strutturali della nostra economia.
Si racconta, nel Documento di economia e finanza, della gestione dell'emergenza finanziaria affrontata dal Governo Monti con risultati che, nel corso di tutte le audizioni svolte dalle Commissioni riunite, sono stati definiti impressionanti, perché impressionante è stato (e tale è stato riconosciuto anche dalle istituzioni europee che stanno chiudendo la procedura per deficit eccessivo) il risanamento strutturale dei conti pubblici: 40 miliardi di euro di riduzione strutturale della spesa a regime. E altrettanto significativo è l'effetto che in termini di maggiore crescita avranno nella proiezione di medio termine le riforme avviate, soprattutto quelle realizzate nella prima fase del Governo Monti, prima cioè che nel Parlamento riemergessero resistenze e ostilità che nella seconda fase hanno depotenziato la spinta al cambiamento, facendo intravedere pericolosamente il riemergere di quelle resistenze che per 15 anni hanno bloccato la modernizzazione italiana.
Abbiamo evitato che l'Italia fosse commissariata, abbiamo riconquistato rispetto e credibilità internazionale e lo abbiamo fatto con i sacrifici degli italiani; sacrifici che il DEF certifica termini di un aumento della pressione fiscale reso ancor più gravoso perché più duro è stato l'impatto del risanamento e della crisi globale sull'economia italiana, aggravata da un pesante debito pubblico e dai problemi strutturali derivanti dalle mancate riforme dell'ultimo quindicennio.
Ora la nostra responsabilità è quella di non rendere vani questi sacrifici. La crisi interpretata per molti mesi dalla drammatica divaricazione tra i tassi dei nostri titoli e quelli dei titoli tedeschi ha messo in evidenza tutte le nostre fragilità: un mercato del lavoro inefficiente; un sistema scolastico incapace di rispondere ai cambiamenti della struttura economica e produttiva; un basso livello di innovazione; un alto deficit infrastrutturale; un basso livello di occupazione femminile; monopoli pubblici e privati nei servizi i cui alti costi e la cui bassa qualità condizionano la competitività delle nostre imprese; una pubblica amministrazione ipertrofica e inefficiente.
Tutti i nodi sono improvvisamente e drammaticamente venuti al pettine e quando, calati i fumi della polemica politica, si riscriverà la storia di questi mesi non solo si constaterà come in un brevissimo tempo si è data una sterzata ai conti pubblici per rendere credibile quell'obiettivo di pareggio strutturale che incautamente (e forse strumentalmente) il precedente Governo aveva voluto anticipare al 2013 ma si riconoscerà che la stagione del Governo Monti è stata tra le poche stagioni riformatrici conosciute dal 1992 ad oggi. E, d'altra parte, è solo grazie a quanto è stato realizzato in questi mesi che oggi l'Italia, avendo riconquistato un'affidabile stabilità finanziaria e realizzato significative riforme, può aprire con l'Europa un confronto per identificare margini di flessibilità che consentano di affrontare la crisi, facendo ripartire gli investimenti pubblici.
Ora bisogna aprire la nuova fase: si deve guardare al futuro, ma non lo si può fare dando al Paese nuove illusioni. Non si può accreditare l'idea che tutti i problemi sono risolti e che l'emergenza è alle nostre spalle. Non si può accreditare l'idea che la crescita possa ripartire abbandonando il sentiero della responsabilità e delle riforme. Non si può accreditare l'idea che la crescita possa ripartire con la spesa pubblica in deficit.
Se, come ha detto il Presidente del Consiglio, si vuole parlare al Paese il linguaggio della verità e non farlo ripiombare nella stagione del populismo e della demagogia, bisogna farlo da subito, puntando alle vere priorità, per rimettere in moto l'economia, senza rimettere in discussione la stabilità dei conti.
Da questo punto di vista, nel breve periodo la priorità numero uno è immettere liquidità nel sistema. In questo senso va l'intervento della BCE, assai opportuno, a patto che la liquidità illimitata concessa alle banche ora arrivi davvero all'economia reale.
È fondamentale il decreto-legge sui debiti della pubblica amministrazione, provvedimento che va però assolutamente potenziato, signor Ministro, signori rappresentanti del Governo. Altri Paesi, come ad esempio la Spagna - che certo non sta meglio di noi - hanno fatto un'operazione di pagamento integrale dei debiti della pubblica amministrazione. Nei confronti dell'Italia vi è stata una chiara disponibilità dell'Unione europea, su cui molto ha lavorato il Governo Monti, e che ieri è stata confermata in un'intervista del commissario Tajani. Non si possono avere su questo punto freni e resistenze burocratiche. Questo sarà il primo banco di prova del Governo circa la sua capacità di orientare la macchina amministrativa sui propri obiettivi strategici. Molte volte, negli ultimi anni, i Ministri dell'economia non sono riusciti a farlo e questo ha determinato effetti destabilizzanti. Occorre evitare che ciò si ripeta.
I margini per una riduzione del carico fiscale sono ridotti e per questo gli interessi devono essere selettivi e mirati, capaci di stimolare lavoro e consumi. Anche da questo punto di vista sarebbe sbagliato far credere che le possibilità che l'Europa può consentire siano in grado di permettere all'Italia di finanziare interventi di spesa o riduzioni di entrata per decine di miliardi. Bisogna allora selezionare bene gli interventi, avendo cura che vadano nel senso di sostenere, da una parte, l'attività di impresa - e quindi l'occupazione - dall'altra, i consumi delle famiglie.
Per questo la riduzione del cuneo fiscale deve avere la priorità. Ce lo hanno ripetuto OCSE, Fondo monetario internazionale ed altri organismi nazionali ed internazionali, in tutti i modi.
La riduzione dell'IRAP sul monte salari rientra in questa categoria di interventi, così come un intervento sull'IMU, che sia però limitato ai redditi più bassi e agli immobili di maggior pregio. Un'eliminazione generalizzata dell'IMU per tutte le categorie di contribuenti e per tutte le tipologie di abitazione sarebbe, invece, un unicum nei sistemi fiscali occidentali: risulterebbe profondamente iniqua e svuoterebbe del tutto il pilastro della fiscalità locale. Non credo che si possa sacrificare tutto questo ad accordi politici che prescindano dagli interessi generali e rispondano a logiche diverse. Bisogna, appunto, parlare anche in questo caso il linguaggio della verità.
Attendiamo, signor Ministro, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza che lei ha annunciato, per capire quale sarà l'orizzonte programmatico del Governo. Finora lei ha insistito sull'invarianza dei saldi; un suo Vice Ministro ha già annunciato la richiesta di rinegoziare gli impegni in Europa ed è stato subito, peraltro, seccamente redarguito dal commissario Olli Rehn. Sarebbe consigliabile che su questioni così delicate il Governo parlasse con una voce sola e, soprattutto, che non si creasse un'eccessiva dissonanza tra Ministri cosiddetti tecnici e Vice Ministri politici.
Ma ci aspettiamo anche, signor Ministro, che nella Nota di aggiornamento venga rilanciata la prospettiva delle riforme, su cui nelle dichiarazioni programmatiche il Governo ci è parso, forse, eccessivamente timido.
Riforma del mercato del lavoro; liberalizzazioni; riforma fiscale; radicale riduzione dei livelli amministrativi; trasformazione digitale dei processi produttivi e di quelli amministrativi; riforma della giustizia; lotta per la legalità e contro la corruzione. Sono questioni fondamentali, che hanno una forte valenza economica, in termini di attrattività degli investimenti e di creazione di un ambiente favorevole alle attività di impresa, di valorizzazione dei nuovi settori strategici dell'economia digitale, della cultura, del turismo e di superamento della contrapposizione tra rigore e crescita. Tutti temi che, soprattutto nell'orizzonte così ampio tracciato dal Presidente del Consiglio, devono ritornare centrali. Dobbiamo dire con chiarezza al Paese che solo affrontando i problemi che hanno frenato l'economia italiana quando il resto dell'Europa correva saremo in grado di agganciare la ripresa, quando questa si manifesterà.
La vasta coalizione che sorregge il Governo a questo deve servire, non a trovare l'intesa su soluzioni minimaliste ai grandi problemi del Paese; tutto al contrario, come ci ha incitato a fare il presidente Napolitano, deve servire a superare la sterilità e gli esiti minimalisti prodotti dalle contrapposizioni, dai calcoli di convenienza e dai calcoli politici che per anni hanno caratterizzato il confronto tra le forze politiche in Parlamento.
Oggi i partiti della coalizione hanno un'ultima opportunità per dimostrare al Paese di essere capaci di dare risposte efficaci ai problemi italiani e di ridare un futuro e una speranza alle giovani generazioni. Solo continuando sulla via della serietà e delle riforme volte ad aumentare la produttività e la competitività del sistema in tutti i suoi comparti, potremo giocare un ruolo da protagonisti per spingere l'Europa verso una sorta di new deal che coinvolga il nostro continente in un grande piano di rinascita economica e sociale, che riesca a trasformare il grande patrimonio europeo di storia, civiltà, cultura e creatività in un'economia di nuovo competitiva su scala globale.
Sui punti che ho indicato il Gruppo Scelta Civica per l'Italia chiederà che la risoluzione di maggioranza per l'approvazione del DEF dia chiare indicazioni di indirizzo e di impegno di cui il Governo possa tener conto nelle decisioni che saranno prese a breve e nella elaborazione della Nota di aggiornamento che sarà presentata entro giugno. Su una linea che coniughi stabilità, innovazione, riforme e impegno per un rafforzamento del ruolo dell'Europa come protagonista dell'economia globale, Scelta Civica per l'Italia sosterrà convintamente l'azione del Governo. (Applausi dai Gruppi SCpI e PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Nugnes. Ne ha facoltà.
NUGNES (M5S). È facile comprendere come tutto il DEF sia incentrato su un programma di sviluppo improbabile, peraltro demandato a una serie di decreti-legge già approvati. I provvedimenti del vecchio Governo, che si spera saranno totalmente rivisti dal nuovo, prevedono investimenti di miliardi di euro per le grandi opere, tutti volti alle infrastrutture cosiddette strategiche, quelle a noi note e da sempre rigettate perché inutili, costose ed estremamente importanti: la TAV, gli hub del gas, i rigassificatori, le trivellazioni, gli impianti a biogas, la valorizzazione termica dei rifiuti, la cosiddetta manutenzione boschiva, che altro non è che disboscamento volto ad alimentare la filiera del biogas ligneo-cellulosico, per di più inserito alla voce "decarbonizzazione", forzatamente considerato materiale sostitutivo del carbone.
Quali caratteristiche hanno in comune le opere di cui sopra? Quella che di esse non sono stati resi pubblici i piani finanziari, e ciò è abbastanza inquietante in un periodo di grande scarsità di fondi pubblici. In generale, non sono note nemmeno le analisi costi-benefici comparative; i finanziamenti non sono blindati al fine di garantirne il termine d'opera. La normativa recente, che consente di realizzarle per lotti costruttivi invece che per lotti funzionali, rende possibili cantieri di durata infinita (per di più opere dal contenuto occupazionale modesto). Tra l'altro, è insita nei provvedimenti la volontà di operare pericolose facilitazioni amministrative e burocratiche (leggi DIA). Vi sono poi le previsioni in base alle quali nella definizione del SIN il Governo potrebbe aggirare la volontà delle Regioni per l'avvio delle opere, soprattutto energetiche; questo significa sbloccare la costruzione dei rigassificatori e fare un po' di autostrade, svincolare la realizzazione di centrali a biomasse e a turbogas dalla volontà dei Paesi, dare il via alle trivellazioni su tutto il territorio a discapito di qualunque pericolo strutturale paventato e del rischio possibile di inquinamento alle falde acquifere. Dove le popolazioni protestano, le Regioni possibilmente frenano e i Comuni si oppongono, il Governo procederà a concedere autorizzazioni e a mandare sui territori l'Esercito, come già è successo in Campania e in Val di Susa? E domani la Forza di gendarmeria europea (Eurogendfor)?
Si è deciso, tra l'altro, che lo Stato non pagherà più i danni provocati da catastrofi naturali per case, aziende o qualsiasi altra struttura danneggiata; i cittadini, abbandonati a se stessi, dovranno premunirsi per tempo di una relativa polizza di assicurazione, soprattutto se in zone a rischio: a che costi?
Per il resto, al di là di facili programmi di green economy, il pacchetto crescita contiene misure insufficienti, marginali, disorganiche e incerte nel settore della messa in sicurezza degli edifici, della riqualificazione energetica e delle energie veramente rinnovabili. I fondi per la detrazione del 55 per cento delle somme pagate per le riqualificazioni energetiche sono destinati a finire già a giugno; il Quinto Conto Energia è al capolinea.
Sicuramente, nella valutazione è mancata un'analisi attenta dei sistemi di produzione che ne evidenziassero i costi diretti e indiretti, come quelli dell'inquinamento e della salute, che invece sarebbero determinanti nell'analisi al punto da rovesciarne il processo decisionale.
Siamo definitivamente entrati nell'era della rivoluzione energetica per cui la diffusione della microproduzione di energia elettrica è destinata a prendere il posto delle megacentrali termoelettriche (ossia siamo alla democratizzazione dell'energia) supportate dalle smart grid, ossia da una rete di informazioni che affianchi la rete di distribuzione per gestirle in maniera intelligente, evitando sprechi energetici, sovraccarichi e cadute di tensione.
È necessario uscire definitivamente, e senza alcun compromesso o risarcimento, da tutte le grandi opere; intervenire nel rafforzamento delle tratte dei pendolari, anziché obbligarli all'uso dell'automobile privata; rafforzare, anziché tagliare, i collegamenti tra le città della Nazione; rafforzare e sostituire i mezzi pubblici delle piccole e grandi città: le nostre città sono al collasso.
È necessario infine innescare un circolo virtuoso che riduca progressivamente i rifiuti prodotti, ponendo deterrenti alla produzione di rifiuti, con la tariffa puntuale TIA...
PRESIDENTE. Concluda, senatrice.
NUGNES (M5S). ...e l'abolizione definitiva della TARES, deterrenti ai prodotti non riciclabili, incentivando la ricerca di prodotti a basso impatto e le reti di collegamento di produzione, per cui uno scarto di produzione corrisponde alla materia prima di un'altra produzione, fino a chiudere l'ultima discarica, smantellare l'ultimo inceneritore, l'insana idea di bruciare il combustibile solido secondario (CSS) nei cementifici, ponendosi il riciclo totale della materia e i rifiuti zero a zero combustione come traguardo finale, non solo soluzione al problema dei rifiuti, ma effetto a cascata, in settori sempre più ampi e sempre più rilevanti nella filiera occupazionale. (Il microfono si disattiva automaticamente). (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, proprio per il regolare svolgimento dei lavori, visto che la cosa più antipatica che esista è togliere la parola ad una persona, faccio presente che un minuto prima viene segnalato che il tempo a disposizione sta per terminare, dopodiché in quel minuto bisogna concludere.
È iscritta a parlare la senatrice Bisinella. Ne ha facoltà.
BISINELLA (LN-Aut). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, signor Sottosegretario (ai quali va il nostro in bocca al lupo per l'avvio della nuova attività in un momento tanto difficile), ci troviamo oggi a discutere sul Documento di economia e finanza che da sempre è uno dei provvedimenti più importanti nel calendario dei lavori di un Governo. Quest'anno il Documento arriva però all'attenzione di quest'Aula successivamente al termine perentorio entro il quale andava presentato all'Unione europea, ovvero il 30 aprile. Ora, data la complessità e l'importanza del provvedimento, chiaramente si richiede un'analisi accurata del suo contenuto e uno studio approfondito, che però mal si concilia con la particolare situazione politica italiana che abbiamo vissuto in queste ultime settimana.
Il ritardo con cui oggi dibattiamo sul DEF e l'evidente intricata situazione politica, davvero eccezionale, che finalmente ha portato alla nascita di un Governo solo da una settimana, (un Governo di emergenza nazionale, che noi della Lega Nord auspicavamo e richiedevamo da tempo e che tutti i cittadini attendevano con ansia per vedere finalmente affrontare i problemi gravi del Paese), non è però da addebitare a spaccature all'interno dei grandi partiti che oggi finalmente appaiono superate, piuttosto che all'opposizione di altri, denotando forse un'inclinazione da parte di alcuni - verrebbe da dire - più alla protesta che alla proposta.
In ogni caso, ci accingiamo ad approvare in Aula questo Documento attraverso una risoluzione che sarà presentata, che nelle premesse dovrebbe tener conto di quanto anticipato dal nuovo ministro dell'economia Saccomanni nell'audizione che ha tenuto in Parlamento lo scorso giovedì e che impegni il Governo a presentare nel più breve tempo possibile una Nota di aggiornamento al Documento stesso, in modo che in sede europea l'Italia possa rappresentare, con documenti ufficiali, i propri orientamenti politici effettivi e soprattutto il piano nazionale delle riforme che per noi è fondamentale, dato che proprio il nuovo Presidente del Consiglio ha già incominciato a presentare nei consessi europei, nel suo giro delle cancellerie, questi punti programmatici.
Rimane ovviamente ferma, in ogni caso, la priorità che va data alla chiusura della procedura per deficit eccessivo, che dovrebbe avvenire - come tutti sappiamo - il prossimo 29 maggio e della cui importanza siamo tutti consapevoli.
Il lavoro che però l'Italia ora è chiamata a fare, che deve essere posto all'attenzione di tutti noi, è senz'altro quello che deve essere rivolto alla crescita, certamente entro i confini del consolidamento e del rispetto degli impegni di bilancio, ma la priorità e l'emergenza vera è quella di far ripartire lo sviluppo. (Applausi della senatrice Bellot).
La condizione economica del Paese, che così dettagliatamente viene analizzata dal provvedimento, consiglierebbe di lavorare di più, fomentando meno polemiche inutili. Tant'è che noi oggi qui, onorevoli colleghi, assistiamo alla continua recessione di un Paese che ormai è sempre più agonizzante.
Nel suo insieme, ad analizzare i dati del DEF, il quadro della finanza pubblica appare sì migliorato nei suoi avanzi primari, ma rimane il problema del debito. I dati sul PIL sono tristemente eloquenti (-2,4 per cento nel 2012), con una produzione industriale che si è assestata, lo scorso dicembre, a 1.389 miliardi di euro, in calo di quasi 24 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2011. Non si può sorridere nemmeno se si guarda ad indicatori come il rapporto deficit-PIL, laddove l'attuale valore prospettato per il 2013, pari al 2,9 per cento, al di sotto - pare - della celebre asticella del 3 per cento, ma sconta una sovrastima di oltre un punto percentuale rispetto a quanto pronosticato dal Governo uscente non più tardi del mese di ottobre scorso. Tra l'altro, i dati di questi ultimi giorni che vengono elaborati dalla Commissione europea parlando di un deficit del 3,3 per cento e di un debito in salita che arriva al 134,2 per cento nel 2014.
Non sono passati, in realtà, che pochi mesi da quando il Governo Monti, all'interno della legge di stabilità, previde un andamento dell'indebitamento netto per il 2013 nell'ordine dell'1,8 per cento, mentre invece oggi scopriamo, analizzando i dati di questo Documento, ripeto, solo a qualche mese di distanza, che in realtà il valore è ben maggiore. E questa non è certo una casualità. Né si può cercare di giustificare questo trend negativo con gli effetti dei più elevati pagamenti della pubblica amministrazione autorizzati dal recente decreto n. 35, che peraltro noi della Lega Nord auspicavamo e sollecitavamo da tempo. La causa principale di questa sovrastima è da ricercarsi nel negativo andamento della crescita del Paese. Lo scorso anno, infatti, il Governo uscente prospettò un PIL per il 2013 in calo di soli 0,2 punti percentuali rispetto al 2012, che pure era stato un anno orribile per la nostra economia. Oggi si scopre invece che la crisi arriverà a portare tale valore a -1,3 per cento, ossia alla recessione economica, che non terminerà nemmeno quest'anno. Si parla, infatti, di una contrazione del PIL dell'1,5 per cento per il 2013 e di una crescita dello 0,5 per cento per il 2014.
Guardando poi anche i dati sulla disoccupazione, che a noi stanno particolarmente a cuore, non si può non essere allarmati. Quei dati, infatti, sono a dir poco preoccupanti, perché nelle nuove previsioni della Commissione europea la disoccupazione raggiungerà l'11,8 per cento nel 2013 e sfonderà la soglia del 12 per cento, arrivando al 12,2 per cento, nel 2014, contro le stime che erano state fatte nel mese di febbraio, rispettivamente, dell'11,6 per cento e del 12 per cento. Anche se poi è vero che Bruxelles afferma che nel 2014 sarà finalmente attesa una stabilizzazione.
La perdita di competitività che abbiamo registrato in Italia è da addebitarsi a dinamiche salariali non legate alla produttività. Noi questo lo dicevamo da tempo e in sede di audizione presso le Commissioni speciali in seduta congiunta lo hanno rilevato anche ISTAT e CNEL. Com'è stato dunque possibile prospettare tassi di crescita, quando poi invece si evidenzia, solo qualche mese dopo, che tale ripresa in realtà non esiste? Dobbiamo pensare che forse l'eccessivo ottimismo di chi ci ha preceduto, di chi ha preceduto questo Governo, che è senz'altro incolpevole, abbia portato a sopravalutazioni del tutto infondate o non sostenute da verifiche empiriche? Forse si è trattato di errori finalizzati alla campagna elettorale di qualcuno. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).
Dall'altro lato, però, abbiamo assistito nel 2012, e particolarmente nell'ultimo triennio dell'anno concluso, ad un vero e proprio crollo dell'economia italiana che, letteralmente, si è bloccata. Nessun mistero, quindi: quello cui noi oggi assistiamo non è che la logica conseguenza di politiche fiscali ed economiche che hanno fatto dell'aumento dell'imposizione fiscale il proprio e unico faro.
Veniamo all'IMU, tema molto controverso in questi giorni. Con il pagamento della seconda rata dell'IMU, infatti, l'economia italiana ha visto crollare la domanda interna: i cittadini hanno dovuto sostenere una nuova tassa, investendo le loro risorse non in attività o in beni, ma in una imposta tanto gravosa da bloccare completamente l'economia italiana.
E ora che a dirlo non siamo più solamente noi, ma anche i dati, quelli veri, quelli a consuntivo, che cosa ci viene prospettato? Di rivedere l'IMU, di sospenderne magari l'applicazione per il mese di giugno, di rimodularla, di rimodulare anche l'applicazione della TARES (che è una ennesima gabella pianificata a fine 2011).
Noi riteniamo da sempre che l'IMU sia una tassa estremamente ingiusta: non perché rappresenta una forma di tassazione immobiliare, ma perché applicata indistintamente, in molte aree del Paese, sulla base di un catasto che non è aggiornato rispetto ai valori di mercato reale.
Certamente, non sarà la Lega Nord ad impedire che due imposte tanto recessive e gravose vengano riviste o, magari, soppresse. Ma farebbe bene a qualcuno a ripensare ai giorni in cui gli esponenti della Lega Nord, con vari interventi nelle aule parlamentari, già allora affermavano che l'imposta sulle abitazioni era iniqua, o che la tassa sui rifiuti risultava eccessiva. (Applausi dal Gruppo LN-Aut). Imposte che alimentavano, e alimentano, una situazione di recessione economica gravando pesantemente sui bilanci delle famiglie, delle imprese, delle attività produttive e degli esercizi commerciali.
La Lega Nord per prima si era battuta per bloccare tali imposizioni, perché venisse invece applicato un vero federalismo, perché si adottasse una vera imposta municipale, il cui gettito - lo diciamo da sempre - doveva e deve poter rimanere nei territori che lo producono, e non diventare una gabella statale travestita. No del tutto inutilmente.
Oggi, però, scopriamo che, di fronte agli impietosi numeri evidenziati dal DEF, l'attuale Governo decide saggiamente di ripensare a certe scelte, inique quanto poco lungimiranti. Il tempo dell'austerità è giunto al termine, e se chi oggi governa il Paese vuole veramente rilanciare la nostra economia, le imprese e il lavoro, dovrà riconsiderare scelte del passato poco avvedute. È davvero ora di cambiare registro.
La rimodulazione dell'IMU, di cui si parla in queste ore, e la sospensione delle rata di giugno, ci preoccupano nella misura in cui occorre trovare copertura e occorre dare garanzie ai Comuni di una compensazione adeguata. Quali somme possono essere anticipate ai Comuni per sopperire al mancato introito? Ai Comuni va restituito l'importo complessivo che avevano preventivato di incassare a giugno, comprensivo cioè dell'aliquota propria (ricordiamo che l'aliquota base è dello 0,4 per cento, però passibile di incremento attraverso un'addizionale), oppure solo la cifra equivalente all'incasso che avrebbero ottenuto con la sola aliquota base? Questa è una bella differenza Nel primo caso, lo Stato dovrebbe anticipare una cifra stimata in circa 2-3 miliardi di euro, mentre nel secondo caso una cifra di circa 1,4 miliardi, ma ai Comuni resterebbe un buco in bilancio da colmare. Per questo siamo preoccupati.
Anche l'ipotesi, che circola, che i Comuni potrebbero scaricare tale mancato introito su seconde case o negozi ci preoccupa. Per questo, chiediamo che si proceda con buonsenso e attenzione.
Si parla anche dell'istituzione di un apposito fondo per abbattere il debito pubblico, che potrebbe essere incrementato dal valore del patrimonio immobiliare pubblico, cioè da parte degli immobili dello Stato e altri valori mobiliari, come le concessioni.
In ogni caso, noi riteniamo che il nuovo Governo e i nuovi Ministri vadano prima messi alla prova. Noi non abbiamo preclusioni a priori, o posizioni preconcette su questo Governo.
Ci aspettiamo, però, questo sì, la dovuta attenzione per quella parte del Paese, i territori del Nord, che sono ancora, nonostante tutto e nonostante arranchino sempre di più, il traino dell'economia dell'intero Paese, cuore, testa e motore economico-produttivo. Nord che con le sue imprese deve essere tutelato. (Applausi dal Gruppo LN-Aut). Per questo noi parliamo di macroregione, di macroaree omogenee produttive ed economiche. Per questo diciamo che occorre trattenere le risorse sui territori che quelle risorse producono, per rilanciare lì lo sviluppo.
Come si può uscire da una situazione di stagnazione scorrendo questi dati? Occorrono politiche di competitività, di sviluppo, per far ripartire la domanda. Lo diciamo da molto: servono misure che mitighino l'impatto recessivo delle misure intraprese. E occorre - e vorremmo oggi sottolineare anche questo ancora con più forza, con un nuovo Governo intento a presentare i propri programmi nei più importanti consessi europei - che in Europa si tenga sì conto del mantenimento della soglia del 3 per cento nel rapporto defìcit-PIL, ma anche degli sforzi enormi che l'Italia ha compiuto, che i cittadini italiani hanno compiuto finora, e che questo si faccia presente in sede europea.
Le politiche di austerità intraprese sono state e sono molto pesanti ma non ci può essere ora solo austerità. Perciò ci aspettiamo sia avviata davvero una stagione di riforme che vadano nel senso dell'ammodernamento della macchina e dell'apparato statale, verso una forma di governo federale, un concreto federalismo, che porti una revisione della spesa pubblica in grado di abbattere le inefficienze e la pressione fiscale eccessiva che è giunta ormai a livelli insostenibili anche per il più coraggioso degli imprenditori. È questa la sola speranza per l'efficientamento del sistema, la responsabilizzazione nella gestione delle risorse pubbliche, la sburocratizzazione, contro sprechi e sperperi, perché, non dimentichiamolo, è il peso eccessivo del pubblico che grava sul privato a bloccare l'economia. E questo si attende il Paese.
Perciò ci aspettiamo, ad esempio, che il neoministro Zanonato difenda e sappia rappresentare cittadini e imprese venete e del Nord all'interno del Governo nazionale. Questo chiede, come oggi ieri, il Gruppo della Lega Nord.
Questa è una situazione particolare. Se ne può uscire se però la politica saprà fare la sua parte, se tutti faranno la loro parte e se su questi temi si confronteranno seriamente, tutti i settori, senza logiche particolaristiche o corporativismi, ma correttamente. Allora sì che se ne potrà uscire. (Applausi dal Gruppo LN-Aut e dei senatori Compagnone e Fucksia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Pignedoli. Ne ha facoltà.
PIGNEDOLI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, dovendo intervenire su un documento prodotto nella fase di mezzo tra un Governo uscente impossibilitato ad introdurre linee di indirizzo politico e un Governo appena insediato, siamo consapevoli di avere in discussione oggi un documento parziale, limitato alla fotografia del consuntivo: il Programma di stabilità, l'azione di risanamento strutturale delle finanze pubbliche, obiettivo conseguito per l'anno 2012 con la riduzione del disavanzo pubblico sotto la soglia del 3 per cento, in linea con quanto previsto in sede europea e con il previsto conseguimento del pareggio di bilancio in termini strutturali per il 2013.
L'Italia uscirà dalla procedura dideficit eccessivo in cui era entrata nel 2009, risultato assolutamente non scontato, un dato positivo.
Ma l'analisi sull'aggiustamento dei conti pubblici non può essere solo aritmetica. È indispensabile ragionare su come si è arrivati a questo risultato per il contenimento della spesa pubblica: lo abbiamo raggiunto soprattutto con la modalità dei blocchi e dei tetti. Nessuna attività selettiva, nessuna vera revisione della spesa pubblica; una spending review che si è concretizzata troppe volte in un'accetta che ha colpito in modo lineare tutti, in modo troppo indifferenziato; quasi mai un'analisi dei centri di spesa o misurazioni dei livelli di efficienza dei servizi. Quell'obiettivo che doveva avviare una rivoluzione nel sistema pubblico, premiando i virtuosi e penalizzando sprechi e inefficienze.
Sì, pareggio di bilancio raggiunto, ma l'effetto di questa logica, di questo taglio indiscriminato, assieme a una insostenibile pressione fiscale, dentro una forte crisi economica internazionale, è stato che il risultato è stato raggiunto ma a costo di pesanti sacrifici da parte di cittadini e imprese.
Nonostante questi sacrifici, i tre fattori di crisi di questo Paese sono rimasti inalterati o addirittura peggiorati negli indicatori, e la situazione oggi si ripropone in tutta la sua drammaticità: troppa disuguaglianza, troppo debito, troppo scarsa crescita.
In uno scenario di così grande preoccupazione, in mezzo a tante criticità riportate dal Documento, vorrei concentrarmi sul tema della crescita, cioè sulla speranza, sulle potenzialità. Lo ha detto bene il presidente Letta: a volte «la nostra tendenza all'autocommiserazione è pari solo all'ammirazione che l'Italia suscita all'estero». Di questo vorrei parlare e vorrei che di più parlassimo: delle potenzialità, della fiducia che il mondo ha nelle nostre produzioni.
Se la domanda interna è in progressivo calo, i dati dell'export, in controtendenza, sono in crescita e tra tutti emerge il dato confortante dell'agroalimentare. È in sorprendente aumento la domanda di cibo italiano nei mercati esteri e non solo in quelli tradizionali all'interno dell'Europa o degli Stati Uniti; c'è una ventata di curiosità e di interesse crescente che arriva dai Paesi emergenti, dai mercati asiatici in particolare, quelli che chiedono, in una crescita esponenziale, cibo italiano, stile italiano.
Nel 2012 c'è stato un aumento del 7 per cento rispetto al 2011; già nei primi due mesi del 2013 si registra un ulteriore incremento del 6,5 per cento rispetto all'anno precedente; nel 2012 l'incidenza sul fatturato totale ha sfiorato il 20 per cento. Su 9 miliardi di euro di valore di vino italiano prodotto oltre il 50 per cento viene esportato. Fenomeni inaspettati, come l'aumento di esportazione di birra nel Nord Europa, addirittura in Germania. Esportiamo vino spumante italiano nella patria dello champagne, in Francia; addirittura riso italiano in Cina: dati inaspettati fino a qualche anno fa.
Tutto questo ci dice quanto il made in Italy sia un brand (come si usa dire oggi) di grande attrattiva. «Sì, brand», la parola adatta, che non trova un'adeguata traduzione, intendendo con questa non solo il prodotto in sé, ma anche l'insieme di valori, contenuti e saperi che il nostro Paese ispira, ovvero nuovi valori di competitività, su cui il nostro sistema imprenditoriale dell'agroalimentare deve misurarsi, e contenuti di servizio sempre più mirati e personalizzati; ma anche valori in materiali su cui il nostro Paese ha grande credito nel mondo. Parliamo di oltre 31 miliardi di euro di fatturato dell'export dell'agroalimentare italiano nel 2012: mai raggiunto un dato così alto.
Ma la notizia positiva è che ci sono grandissimi margini per crescere. Un dato per tutti: 60 miliardi di euro sono stati stimati per il fatturato del falso cibo italiano. Questo dato esprime il senso dell'urgenza di una lotta senza quartiere all'illegalità, alla contraffazione, all'inganno dell'italian sounding; ma ci dà anche la dimensione del reale spazio di mercato esistente. Vi è una domanda di cibo italiano che oggi viene tradita nel modo peggiore, uno spazio che noi non siamo in grado di occupare con una risposta imprenditoriale di produzioni autentiche, sicure, garantite, di alta qualità.
Sappiamo, da quanto dicono le nostre aziende vinicole, della pasta e dell'olio, che gli ordini che arrivano dalla Corea, dal Giappone, dalla Cina, dal Brasile sono molto superiori alle possibilità di offerta. Le nostre imprese produttrici non riescono a rispondere perché non sufficientemente strutturate in capacità produttive, in reti commerciali adeguate, in organizzazioni e professionalità adeguate. Dunque, siamo al paradosso: da una parte una potenzialità e una crescita esponenziale della domanda di cibo italiano, dall'altra il nostro sistema imprenditoriale, che non è attrezzato per rispondervi. L'organizzazione è insufficiente, la frammentazione è massima.
Ancor peggio: mentre ci sono fasce di mercato emergenti alla ricerca di distintività culturali ed enogastronomiche, troppe aziende di produttori non hanno marginalità sufficienti e si arrendono, chiudono per mancato reddito o per mancato ricambio generazionale. Nel 2012 sono 16.791 le aziende agricole che hanno chiuso.
Mentre poi tutto il mondo si sta mobilitando per la questione alimentare, per l'allarme sull'insufficienza alimentare, il nostro Paese, noto per le eccellenze alimentari e la preziosità dei propri prodotti, continua a consumare suolo prezioso.
La contraddizione è così alta che solo un Paese nel suo insieme può trovare la forza di invertire la rotta. Può farlo se ha la consapevolezza vera del tesoro che possiede, se riesce a tradurre bellezza, paesaggio, salubrità in opportunità economiche e in nuova occupazione in agricoltura, in professionalità e specializzazioni.
Un Paese che crede nel proprio patrimonio e lo conosce capisce che ora è il momento di un «progetto Paese» sull'agroalimentare nel mondo, inverte la rotta e si attiva perché si fermi lo «shopping» degli investitori stranieri dei marchi di qualità.
C'è bisogno di un progetto di «internazionalizzazione dell'agroalimentare» italiano coraggioso e immediato. C'è bisogno di un piano straordinario per l'export, che vada a dar sostegno alle reti di imprese e alle nuove professionalità. C'è bisogno di un progetto di semplificazione delle procedure amministrative e dei controlli. C'è bisogno di una semplificazione della governance degli enti ministeriali dell'agricoltura: troppa dispersione, troppe sovrapposizione di funzioni, poca efficienza e poco trasparenza. (Richiami della Presidenza).
Signor Presidente, le chiedo solo un minuto per concludere.
PRESIDENTE. Ha pochi secondi per concludere l'intervento, senatrice, altrimenti la invito e la autorizzo a consegnare il testo del discorso.
PIGNEDOLI (PD). Vi è un quarto punto, che sembra non essere in tema con il settore agricolo: quello della sicurezza del territorio. Io vengo da quell'Emilia devastata nel 2012 da eventi inimmaginabili, come il terremoto, la siccità, le nevicate e il dissesto idrogeologico.
Lo ha detto il presidente Letta e io colgo l'occasione per riproporlo in questa sede. È stato chiesto lo stato d'emergenza. Noi crediamo e contiamo sull'impegno che il Presidente si è assunto in quest'Aula. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Santangelo. Ne ha facoltà.
SANTANGELO (M5S). Signor Presidente, senatrici e senatori, è il mio primo intervento e lo immaginavo esattamente in questa maniera. Lo immaginavo in un'Aula semivuota, quasi come il deserto. (Applausi dal Gruppo M5S). Si è tanto parlato del rispetto nei confronti delle istituzioni e dei ruoli. I banchi vuoti giustificano il rispetto che tutti gli assenti nutrono proprio nei confronti del ruolo ricoperto e delle stesse istituzioni.
Premesso ciò, il Piano nazionale di riforma (PNR) evidenzia come si sia provveduto ad affrontare sia i problemi urgenti di breve periodo causati dalla crisi sia le questioni strutturali dell'economia del Paese. In questa prospettiva il Documento introduce, tra le principali misure da adottare, la politica di sviluppo nazionale per l'imprenditoria a favore dell'innovazione e dell'internazionalizzazione. Tale Piano ha messo in risalto come l'Italia abbia un ruolo rilevante nel settore del turismo internazionale, ma stenti a tenerne il passo della crescita del settore e tenda a perdere quota di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei. Il turismo, comunque, rappresenta per il nostro Paese un settore rilevante con un peso significativo nell'economia nazionale, generando maggiori opportunità di lavoro rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari.
È opinione condivisa fra gli operatori economici del settore che il turismo abbia un potenziale di enorme rilievo dal punto di vista culturale, politico ed economico, soprattutto a fronte della profonda crisi economico-finanziaria. Lo sviluppo del settore rappresenta una preziosa occasione che il Paese non può perdere, soprattutto alla luce della significativa possibilità occupazionale specialmente nel Mezzogiorno.
Nel PNR si evidenzia che il Piano strategico contiene un'analisi delle criticità turistiche italiane quali le difficoltà della governance del settore, la frammentazione della promozione all'estero, il nanismo delle imprese, i limiti nella capacità di costruire prodotti turistici competitivi, l'insufficienza delle infrastrutture, l'inadeguatezza della formazione del personale e le difficoltà ad attrarre investimenti internazionali.
Di fronte a tali criticità il Piano strategico propone alcune linee guida e individua un numero rilevante di azioni concrete che dovrebbero rapidamente migliorare la competitività del settore.
Per quanto riguarda il profilo della governance del settore, l'azione locale o regionale non è in grado di assicurare il necessario impulso al settore turistico che il nuovo quadro internazionale richiede. È necessario che la dimensione nazionale si integri sempre di più con quella locale. Ai fini di un più efficace coordinamento, occorre affrontare il tema centrale dei rapporti tra Stato-Regione in materia di turismo. A prescindere dalle eventuali modifiche costituzionali, devono comunque essere messe in atto azioni volte a favorire la creazione di una struttura amministrativa centrale in grado di confrontarsi con i centri decisionali competenti in materia.
Necessitano misure concrete per incrementare il turismo di qualità, responsabile e sostenibile, che rispetti l'ambiente e le caratteristiche della comunità locale, e per ottimizzare la competitività dell'offerta e la qualità del sistema turistico italiano. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bianco. Ne ha facoltà.
BIANCO (PD). Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, rappresentanti del Governo, intervengo su un settore specifico del DEF 2013, quello relativo alla spesa sanitaria, che, pur nei suoi limiti, ritengo possa ben essere rappresentativo del Documento nel suo complesso sia sotto il profilo tecnico, perno centrale del ciclo di programmazione economico-finanziaria e di bilancio, sia sotto quello più strettamente politico, «l'occasione per guardare al passato ma soprattutto per immaginare il futuro delle politiche economiche e di bilancio del Paese, in chiave europea». Sono queste le parole testuali dell'incipit della presentazione del presidente Monti.
All'appuntamento con la stretta finanziaria sui bilanci pubblici, diventata più stringente in Europa successivamente al Patto di stabilità e crescita ed emergenziale nella seconda metà del 2011 per i fatti che voi conoscete, la spesa sanitaria si è presentata con una dinamica di crescita fortemente ridimensionata nell'arco temporale 2007-2012, registrando un tasso medio di crescita dell'1,7 per cento, che è lontano da quel 6,4 medio che aveva caratterizzato il periodo 2000-2006.
Sono stati e sono tuttora molteplici i determinanti di un trend di crescita della spesa sanitaria, alcuni dei quali strutturali all'evoluzione del sistema sanitario. Ne cito alcuni: l'ingresso di nuove tecnologie e nuovi farmaci mediamente più costosi, che, almeno in una prima fase, si aggiungono e non sostituiscono vecchie pratiche o vecchi farmaci; l'invecchiamento della popolazione, che dilata la platea dei destinatari di complessi servizi sanitari e sociosanitari long term.
Altri determinanti sono invece espressione di alcuni problemi non risolti, o quanto meno di ambiguità. Sul piano istituzionale, penso al riparto dei compiti e delle funzioni tra Stato e Regioni; ai ritardi nell'innovazione organizzativa e gestionale; a una pluralità di modelli aziendalistici in gran parte insufficienti a governare la complessità della produzione di servizi caratterizzati da un'altissima densità di competenze professionali e di valori etici e civili con pochi uguali nel mondo della produzione.
A questo si aggiunge il peso, il gravame di sacche di inappropriatezza tecnica, di inefficienza organizzativa e gestionale, di vicinanze improprie tra ricerca del consenso politico e gestione amministrativa e finanche del merito e della qualità professionale. Infine, isolati ma nondimeno allarmanti, sono da registrare fenomeni corruttivi e di inquinamenti malavitosi.
Va però respinta con forza una deriva che talora affiora anche nel dibattito e nella comunicazione, secondo la quale il nostro Servizio sanitario nazionale è un costo insopportabile, un carrozzone inefficiente e inefficace: esso - in realtà - è, pur con tutti i sui limiti, una grande e straordinaria opera tecnico‑professionale, civile e sociale che garantisce ricerca e sviluppo, occupazione qualificata e soprattutto, secondo i principi di universalismo ed equità, coesione sociale e identità civile al nostro Paese.
Nelle prossime settimane il Consiglio Ecofin dell'Unione europea, a fine maggio, sancirà l'uscita del nostro Paese dalle procedure di eccesso di deficit. I dati del DEF ci dicono che la nostra sanità ha svolto, come si diceva qualche mese o anno fa, i suoi compiti a casa. La spesa pubblica del settore relativa al 2012 è, in valore assoluto, di poco superiore a quella del 2009; per il 2013 è indicata una crescita della spesa sul 2012 di circa lo 0,2 per cento, mentre dal 2014 al 2017 è indicata una crescita con un tasso medio dell'1,9, a fronte di una contestuale previsione di crescita del PIL nominale più alta.
Questo differenziale porta ad una stima della spesa sanitaria pubblica sul PIL in decrescita, raggiungendo nel 2017 il valore del 6,7 per cento, che rafforzerebbe la nostra posizione nell'Unione europea a 15 tra i Paesi a più bassa spesa, in termini percentuali sul PIL e assoluti procapite. Hanno dunque prodotto risultati sui saldi contabili le pesanti misure messe in atto dai Governi Berlusconi e Monti, che, in combinato disposto, hanno determinato, nell'arco temporale 2010-2014, un definanziamento pubblico del Servizio sanitario nazionale per cumulativi 25-30 miliardi di euro (questo secondo diverse stime).
A fronte di ciò, condivido quanto ormai da più parti autorevoli e terze viene detto: il Servizio sanitario nazionale non può sopportare ulteriori politiche di definanziamento pubblico, salvo scontare inaccettabili cadute dell'universalismo e dell'equità di accesso alle prestazioni.
Al riguardo, ricordo quanto dichiarato dal presidente Errani, che, nel rappresentare il pensiero unanime delle Regioni e delle Province autonome, ha chiesto che il finanziamento dei servizi sanitari regionali erogati nel 2012 resti tale anche per il 2013, evitando il taglio netto di un miliardo e denunciando l'effetto devastante sulla tenuta dei sistemi della previsione relativa al 2014 di ulteriori due miliardi di compartecipazione dei cittadini ai costi delle prestazioni.
Sono saliti i ticket, è salita la pressione fiscale, sono salite le aliquote regionali, soprattutto nelle Regioni sottoposte ai piani di rientro, e le cifre sono molto vicine a quelle dell'IMU sulla prima casa.
Vorrei concludere, signor Presidente, ricordando quanto, pochi giorni fa, la direttrice generale dell'Organizzazione mondiale della sanità europea, a conclusione di un meeting, ha detto sull'impatto in Europa della crisi economica sulle politiche sanitarie. Così cito: «In tempi di crisi, è forse ancora più importante proteggere il finanziamento dei sistemi sanitari, dal momento che i bisogni di salute possono crescere rapidamente; assicurare l'accesso ai servizi di salute è un aspetto cruciale di una più ampia rete di sicurezza sociale (...) tagli inappropriati possono solo peggiorare i sistemi sanitari. Che (...) devono fare di tutto per minimizzare gli sprechi e perseguire l'appropriatezza». Ecco, signor Presidente, nell'affrontare l'agenda delle riforme, anche a partire dalla Nota di aggiornamento del DEF, ma più incisivamente nella legge di stabilità, dovremo ricordarci nelle nostre scelte di questo, perché questa è l'Europa a cui guardiamo: l'Europa dell'equità, della solidarietà, dell'universalismo dei diritti fondamentali del cittadino. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Bignami).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Pietro. Ne ha facoltà.
DE PIETRO (M5S). Signor Presidente, senatrici, senatori, membri del Governo, con riferimento agli impegni di cooperazione allo sviluppo contenuti nel Documento di economia e finanza, il Movimento 5 Stelle ritiene necessaria una riforma della normativa inerente appunto alla cooperazione allo sviluppo. Ciò alla luce dei risultati, spesso insoddisfacenti, di parte degli interventi che si sono succeduti negli ultimi decenni.
Spesso gli aiuti conferiti dai Paesi donatori e dagli organismi internazionali preposti non solo non hanno conseguito un impatto apprezzabile sullo sviluppo dei Paese beneficiari, ma hanno finito a volte per finanziare indirettamente regimi corrotti e interessi personalistici. Molti aiuti hanno comunque, e nonostante le dette inefficienze, esiti positivi.
Negli ultimi anni l'Italia ha attuato una politica di diminuzione del livello di partecipazione finanziaria alla cooperazione. Il Movimento 5 Stelle auspica, anche al fine di rilanciare il profilo internazionale del Paese e la nostra presenza in aree strategiche, che siano adottate azioni per un riallineamento graduale dell'Italia aglistandard internazionali di finanziamento previsti per la cooperazione allo sviluppo, focalizzando meglio i Paesi e le Regioni di intervento in cui la partecipazione dell'Italia con le realtà locali è più apprezzata, incominciando nel contempo a lavorare affinché si possano migliorare le metodologie di intervento e i risultati.
Inoltre, data la necessità di risparmio delle scarse risorse dello Stato e di una gestione improntata a principi di efficienza, si ravvisa l'opportunità di ridurre il peso dei costi fissi di gestione del Ministero degli affari esteri mediante un'attenta analisi e rivalutazione delle spese, al fine di recuperare risorse da destinare all'attuazione delle varie politiche, e in particolare alla cooperazione allo sviluppo.
Merita una considerazione particolare la cabina di regia dell'Agenzia per il commercio estero. Al fine di garantire un'azione efficace nel quadro della sua integrazione delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici all'estero, occorre chiarirne la composizione, il processo decisionale, il raccordo amministrativo, in accordo con l'attività svolta dalle Regioni. L'Agenzia dovrebbe essere organizzata e gestita in modo da poter fornire concreto e incisivo sostegno alla internazionalizzazione delle imprese italiane.
Inoltre, riteniamo impellente la rivalutazione dell'opportunità di ogni singola missione militare all'estero, non solo dal punto di vista della sostenibilità economica, argomento già di per sé convincente, ma anche nel rispetto del dettame indicato dall'articolo 11 della Costituzione.
Premesso che l'Italia partecipa con un numero considerevole di uomini e mezzi alla missione ISAF (International Security Assistance Force) a guida NATO, costituita a seguito della risoluzione n. 1386 del 2001 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, poi prorogata ed estesa dalla risoluzione ONU n. 1510 del 2003, entrambe richiamate da ultimo dalla risoluzione n. 2069 del 2012, si ritiene, nel quadro generale di risparmio e riallocazione delle risorse, che un'anticipata uscita dei contingenti militari italiani dalla missione in Afghanistan, già prefigurata per il 2014, consentirebbe di destinare alla cooperazione allo sviluppo, soprattutto rurale, in Afghanistan, l'equivalente delle risorse finanziarie non impiegate.
Inoltre, in una fase economica come quella attuale, uno dei pochi strumenti a nostra disposizione per diminuire la pressione fiscale e adottare quelle misure urgenti e necessarie per dare sollievo ai cittadini e impulso all'economia, è ridurre la spesa pubblica corrente improduttiva, eliminare gli sprechi e individuare tutti i possibili risparmi, senza tuttavia ridurre la qualità dei servizi offerti ai cittadini.
I risparmi ottenuti in qualsiasi settore della pubblica amministrazione, e quindi anche dal ritiro anticipato dei contingenti militari italiani dalla missione in Afghanistan, potrebbero essere riallocati, oltre che per il rafforzamento della cooperazione allo sviluppo in Afghanistan, anche per ridare vitalità alle piccole e medie imprese italiane, spina dorsale e caratteristica peculiare del nostro sistema produttivo, per alleggerire la pressione fiscale sul lavoro, divenuta ormai insopportabile, così come per le politiche sociali e la sanità.
Pertanto auspichiamo che, con le risorse risparmiate dall'anticipato ritiro dei contingenti militari dall'Afghanistan, si possa ad esempio istituire un fondo o adeguati strumenti per il sostegno delle piccole e medie imprese, operanti nel nostro Paese, che versano in gravi condizioni finanziarie a causa della perdurante crisi economica. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi, per poter organizzare i nostri lavori, sottopongo alla vostra attenzione la proposta di terminare con gli interventi in discussione generale alle ore 21, per poi lasciare spazio agli interventi di fine seduta.
Se non si fanno osservazioni, possiamo allora stabilire alle ore 21 il rinvio del seguito della discussione generale sul DEF alla seduta di domani.
È iscritta a parlare la senatrice Gatti. Ne ha facoltà.
GATTI (PD). Signor Presidente, siamo nella specialissima condizione di aver ricevuto il DEF da un Governo in prorogatio e di doverci esprimere attraverso una risoluzione che impegna un Governo diverso da quello che ci aveva inviato il DEF.
Dal punto di vista economico e finanziario il DEF 2013 persegue l'obiettivo di conservare, nel periodo di riferimento, il pareggio di bilancio in termini strutturali, mentre, sotto il profilo delle riforme strutturali, si limita ad elencare le iniziative necessarie per dare attuazione alle riforme già approvate dal Parlamento e a fare il punto su quanto realizzato nell'anno 2012.
Il Piano nazionale di riforme non prevede un'agenda di interventi e di riforme ritenute necessarie per il futuro, ma si limita a descrivere il consuntivo delle iniziative adottate dal passato Governo. La prerogativa di formulare linee per il futuro, che presuppongono scelte di indirizzo politico-legislativo o l'avvio di nuove politiche di vasto respiro, è stata lasciata al nuovo Governo. Quest'ultimo ha ottenuto la fiducia al Senato il 30 aprile e questo determina il ritardo nell'iter del provvedimento al nostro esame.
Il nuovo ministro dell'economia e delle finanze Saccomanni, nell'audizione del 2 maggio, ha invitato il Parlamento ad approvare il documento che ci era stato presentato a saldi invariati e ha aggiunto: «Il Governo si impegna a presentare una Nota aggiuntiva al DEF nei tempi compatibili con la chiusura della procedura di disavanzo eccessivo, mediante la quale potrà assumere a pieno titolo gli obiettivi strategici recentemente espressi dal Presidente del Consiglio».
Sulla base dell'azione di risanamento strutturale delle finanze pubbliche presentati dal DEF, il Consiglio Ecofin dell'Unione europea di maggio deciderà - e lo auspico vivamente - l'uscita dell'Italia dalla procedura di deficit eccessivo in cui era entrata nel 2009.
Tuttavia, come evidenziato dai dati del DEF, l'aggiustamento dei conti pubblici, realizzato a tappe forzate nel breve volgere di un anno e mezzo e in un contesto di forte crisi economica internazionale, è avvenuto a costo di pesanti sacrifici da parte di cittadini e imprese. Ma non solo. La contrazione dell'economia si è aggravata, con conseguente perdita di numerosi posti di lavoro, e si sono ampliati il disagio sociale e il divario territoriale tfa Nord e Sud del Paese. Insomma sono aumentate le disuguaglianze.
Secondo il CENSIS, fra i grandi sistemi dell'Eurozona, l'Italia è il Paese con più rilevanti diseguaglianze territoriali. Se analizziamo le dichiarazioni IRPEF, osserviamo che la Regione con il reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (23.210 euro), mentre la Calabria si attesta a 14.230 euro. A fronte di un reddito medio nazionale che si attesta a 19.655 euro (lasciatemi dire una cosa già citata dal senatore Rossi), i livelli di reddito del Mezzogiorno sono inferiori a quelli della Grecia (17.957 euro il Sud, 18.454 euro la Grecia).
A proposito di disuguaglianze mi sembra significativo che il Centro-Nord, con 31.124 euro di PIL pro capite, sia vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il PIL pro capite è di 31.703 euro.
Signor Presidente, il problema è che nel 2011 si è registrato un ulteriore allargamento del divario Nord-Sud rispetto al 2010.
Per questo mi sembra importante che il ministro Saccomanni nell'audizione abbia affermato: «Il percorso che il nuovo Governo traccerà dovrà essere più orientato alla crescita, coniugando le politiche europee di stabilità con azioni decise per la ripresa dell'attività economica e dell'occupazione».
Ed è sul binomio occupazione e sviluppo che vorrei svolgere solo poche riflessioni, a partire proprio dai dati del DEF che ci è stato consegnato, ma anche dal programma che il Presidente del Consiglio ci ha presentato e su cui ha ricevuto la fiducia, in attesa di poter discutere la Nota aggiuntiva.
La ripresa dell'occupazione passa innanzitutto per una ripresa economica sostenuta e, come è stato sottolineato dal presidente Letta, richiede un insieme articolato di interventi in grado di far ripartire la domanda interna, di trovare soluzioni per una maggiore competitività del nostro sistema economico e, per tale via, aumentare il livello di produttività totale dei fattori.
È prima di tutto urgente la definizione di politiche industriali, da troppi anni assenti nel nostro Paese. Occorre individuare i settori strategici per la crescita del Paese e su di essi investire con continuità. Si può così creare fiducia nelle imprese che operano in quei settori e liberarle da quella incertezza che agisce da freno agli investimenti.
Il DEF 2013, per il periodo 2013-2017, prevede un innalzamento del tasso di disoccupazione negli anni 2013 e 2014, rispettivamente all'11,6 per cento e all'11,8 per cento, per poi progressivamente scendere in ragione della prevista ripresa economica al 10,9 per cento nel 2017.
Questo significa che, se non cambia niente, l'uscita dalla situazione di crisi economica avverrà senza il riassorbimento, in termini percentuali, dei posti di lavoro persi a partire dal 2008. E se questo problema coinvolge l'Europa intera, noi non dobbiamo dimenticare che il nostro tasso dì disoccupazione è doppio rispetto a quello tedesco, e molto distante da quello registrato in Gran Bretagna, Giappone o Stati Uniti e che il dato relativo al tasso di attività della popolazione in età lavorativa ha lo stesso andamento negativo. L'ISTAT ci dice, inoltre, che la ricerca di personale da parte delle imprese diminuisce e la riduzione riguarda tutti i settori dell'economia.
Questa situazione non è accettabile, il nostro primo obiettivo deve essere, quindi, generare lavoro, poi bisogna favorire l'ingresso al lavoro soprattutto per i giovani e le donne, in particolare al Sud, bisogna incentivarlo, utilizzando tutte le leve, compresa quella fiscale, con una attenzione particolare però: dovremo trovare soluzioni innovative, usare anche strumenti eccezionali, senza mai sfociare nella svalutazione del lavoro e delle regole, che abbiamo già conosciuto e che svilisce il lavoro e il lavoratore.
Vorrei soltanto richiamare, Presidente, quanto detto dal Presidente del Consiglio rispetto alle urgenze: «Senza crescita, anche gli interventi di urgenza su cui siamo impegnati e che qui ribadisco - rifinanziamento delle casse integrazioni in deroga, superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione, sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo».
Penso che con i tempi adeguati all'urgenza, gli approfondimenti necessari e la partecipazione coesa di tutti i livelli di governo coinvolti, dare soluzione a queste emergenze sia un primo passo essenziale. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Orellana. Ne ha facoltà.
ORELLANA (M5S). Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, signor rappresentante del Governo, nel Documento di economia e finanza si affronta - reputiamo in maniera marginale - il tema importante della necessaria crescita nei mercati internazionali delle nostre piccole e medie imprese.
Com'è noto, l'Italia ha una struttura economica basata su una vasta rete di piccole e medie imprese che, per la loro dimensione e vocazione, fanno fatica a reggere la competizione internazionale e a mantenere quote sia nel mercato nazionale che nei mercati internazionali. La necessità di favorire uno sviluppo internazionale delle nostre piccole e medie imprese, seppur espressa nel DEF, è quindi affrontata in maniera inefficiente e di fatto, a nostro giudizio, inefficace.
Seppur positiva appare la previsione di una cabina di regia sul fronte dell'export e dei rapporti con l'estero, a cui prendano parte Regioni, Province e i principali enti ed associazioni di categoria, sotto la guida dei Ministri dello sviluppo economico e degli affari esteri, non è però chiara la modalità, creata dal Governo, del nuovo processo di pianificazione condivisa delle attività promozionali tra Agenzia ex ICE, camere di commercio ed altri enti coinvolti. Non è sicuro che tale sistema porterà maggiore efficienza, viste le pregresse vicissitudini. Occorre definire in modo più chiaro i criteri per valutare bene i costi ed i benefici di tale modalità.
Le informazioni in merito al modo in cui il Governo ha riorganizzato l'Agenzia sono piuttosto generiche e non vengono indicate quali siano state le buone pratiche riuscite e quelle non riuscite. Solo dalle esperienze passate si può valutare dove migliorare, dove e come correggere le procedure utilizzate. Questo sforzo sembra non sia stato fatto.
Il Governo ha inoltre previsto l'istituzione di consorzi al fine di internazionalizzare le PMI. In questo ambito bisogna puntare ad una maggiore semplificazione e comprensione dei meccanismi enunciati. L'accesso al finanziamento, ad esempio, limitato solo ai consorzi composti da almeno cinque piccole e medie imprese di tre differenti Regioni risulta, a nostro avviso, troppo stringente. La caratteristica distribuzione industriale delle piccole e medie imprese nei cosiddetti distretti industriali localizzati territorialmente rende improbabile un consorzio tra piccole e medie imprese di ben tre distinte Regioni. Riteniamo che questo vincolo vada allentato per favorire l'accesso ai fondi.
È prevista, poi, l'istituzione di un fondo rotativo per la concessione di finanziamenti agevolati per lo svolgimento dei programmi di inserimento sui mercati esteri e di studi di fattibilità ed assistenza tecnica a sostegno di una maggiore presenza internazionale delle imprese italiane. Non è chiaro, però, in che cosa consista tale fondo, né quale sia la sua copertura finanziaria.
Si prevede, ancora, l'istituzione di un unico punto stabile di coordinamento, il Desk Italia, che fungerà da raccordo tra le attività svolte dall'Agenzia ex ICE, da Invitalia e dalle camere di commercio, ma non è chiaro quale sia l'effettivo coordinamento e l'interfaccia fra queste istituzioni.
Il piano nazionale dell'export 2013-2015 ha lo scopo di invertire la tendenza che ha visto calare la quota dell'export mondiale riferito all'Italia dal 3,8 al 3,3 per cento. Questo è un chiaro segnale di difficoltà a competere da parte del sistema Italia. Tale piano identifica alcune azioni definite strategiche e fondamentali per raggiungere l'obiettivo di potenziare l'export italiano ad oltre 600 miliardi entro il 2015, ma non viene specificato quali saranno gli enti coinvolti. Su questo fronte manca una strategia concreta di promozione e, soprattutto, di difesa dei marchi italiani dalle contraffazioni.
Temiamo, in definitiva, che questi interventi, che reputiamo disomogenei e disordinati, risulteranno inefficaci allo scopo di rilanciare l'export italiano e di conseguire una dimensione internazionale delle nostre piccole e medie imprese.
Ci premeva qui sottolineare le principali criticità che vediamo nel DEF, mentre rimandiamo le nostre proposte alla risoluzione di minoranza che presenteremo. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Stefano. Ne ha facoltà.
STEFANO (Misto-SEL). Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, perseguendo nel solco della migliore tradizione, anche in questo DEF 2013 c'è assoluta sordità sui temi dell'agricoltura. Ed é su tale settore che vorrei concentrarmi in questo mio breve intervento.
Nel DEF sono contenuti rarissimi riferimenti, peraltro attraverso tabelle o passaggi frammentari, ma non esistono informazioni organiche, né sul lavoro svolto fin qui - in verità assai poco - né sulle linee di intervento per il futuro. Nelle centinaia e centinaia di pagine che compongono ed accompagnano il Documento vi sono solo tre paginette - dico tre - con la ripartizione annuale per l'Italia degli stanziamenti per il sostegno comunitario allo sviluppo rurale, relativi al periodo 2007-2013, pari ad 8,2 miliardi di euro del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.
Si tratta di una disattenzione che lascia perplessi pensando che questo DEF è frutto del lavoro di un Governo tecnico, evidentemente tanto tecnico da non avere consapevolezza delle caratteristiche di anticiclicità del settore primario; da non tener conto delle performance commerciali, soprattutto in termini di export, delle nostre eccellenze; da non accorgersi che gli indicatori di nati-mortalità delle imprese sono decisamente migliori per le aziende agricole.
Non si tratta di un ritorno ai campi in fuga dalla crisi delle città, ma più semplicemente di un segnale forte di quanto siano i fatti (qualcuno direbbe il mercato) a riconoscere la strategicità del sistema agroalimentare italiano, esempio tangibile dell'economia reale, motore fondamentale per un duraturo e solido processo di sviluppo socio-economico nazionale. Peraltro, tale sistema è sottoposto a numerose pressioni, come la presenza di nuovi concorrenti agguerriti e capaci, l'apertura di mercati sempre più ampi dalle enormi potenzialità di sviluppo, le diversificate esigenze di consumo conseguenti ai nuovi assetti demografici e stili di vita, la capacità e la fortuna di essere anticiclico in condizioni di crisi.
Ad esso, inoltre, vengono riconosciuti molteplici ruoli: produzione di cibo, manutenzione del territorio, tutela del paesaggio, contrasto ai cambiamenti climatici, bacino occupazionale, salvaguardia della cultura reale, difesa della biodiversità. Si tratta di ruoli che, per certi versi, gli sono affidati e sono tutti riconducibili alla sfera dei beni pubblici.
Ebbene, di fronte al ruolo affidato al settore agroalimentare e ai beni pubblici prodotti, la politica nazionale è assente o distratta, sbagliando - credo - anche il momento, perché in questa fase a Bruxelles siamo nel pieno dello stato dei "triloghi" tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, da cui discenderanno importanti scelte per l'agricoltura comunitaria fino al 2020: dalla distribuzione delle risorse fino agli strumenti di utilizzo. Sono momenti negoziali in cui parte della credibilità di un Paese deriva dalla volontà dello Stato membro di pensare a politiche nazionali per le proprie agricolture. Allora, dov'è la credibilità dell'Italia se non presta attenzione, con i propri strumenti, all'agricoltura? Con quale forza si può andare avanti sui tavoli europei se non si fa nulla in casa propria?
Anche per questo, oltre ad esprimere le nostre perplessità e la nostra contrarietà al DEF, abbiamo proposto, attraverso la nostra proposta di risoluzione, che fossero inseriti un piano straordinario pluriennale per la difesa del suolo e la bonifica del territorio quale vera e prioritaria opera infrastrutturale in grado di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, nonché di attivare migliaia di cantieri con evidenti ricadute economiche e occupazionali, anche attraverso l'affidamento di lavori di manutenzione agli stessi agricoltori.
Inoltre, abbiamo voluto prevedere anche l'avvio di un piano occupazionale di ripopolamento delle campagne, nonché delle aree montane e collinari abbandonate, che preveda una franchigia fiscale totale per i giovani agricoltori che si insediano nelle aree demaniali in stato di abbandono, peraltro con l'immediato sblocco del bando di affidamento, sia in affitto che in comodato, delle aree pubbliche e demaniali ai giovani; che preveda incentivi per la promozione della agricoltura sociale e faciliti l'accesso alle prestazioni essenziali dei soggetti svantaggiati; che preveda, ancora, il dimezzamento della burocrazia per le imprese agricole, attuando misure per la rapida digitalizzazione della pubblica amministrazione, per il coordinamento delle competenze nazionali e regionali e l'unificazione di tutti gli adempimenti nel fascicolo aziendale.
Sono solo alcuni temi sui quali concentrare l'attenzione e sui quali vorremmo che si verificasse finalmente un cambio di rotta rispetto al passato, che passasse anche attraverso la restituzione immediata dell'IMU versata in eccesso dalle imprese agricole. Al riguardo, il Governo aveva assunto un impegno formale, a quota annunciata sovrabbondante rispetto alle previsioni, di restituzione agli agricoltori di una tassa sul bene di produzione.
Credo che sarebbero misure e strumenti immediati cui affidare, almeno in parte, un ruolo di ripartenza dell'economia del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Filippi. Ne ha facoltà.
FILIPPI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, concentrerò questo mio intervento essenzialmente sull'allegato infrastrutture, l'undicesimo dalla sua istituzione. Un documento che, dal 2003, costituisce parte integrante dell'atto di programmazione più generale di economia e di finanza, come previsto dall'articolo 1 della legge obiettivo, come prevede l'articolo 10 della legge di contabilità e finanza pubblica e come più recentemente confermato anche dalla legge di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.
Ciò nonostante, la redazione e l'esame di questo provvedimento da tempo si traducono sostanzialmente in un mero e formale adempimento burocratico: una sorta, insomma, di report informatico sullo stato di avanzamento dei lavori circa le grandi opere che nel corso degli anni hanno avuto differenti livelli di approvazione, di finanziamento e di realizzazione, e sulle quali non sempre è facile comprendere logica e raziocinio in un quadro programmatorio che si vorrebbe invece ordinato e certo.
La spesa per investimenti, e segnatamente quella dedicata alla programmazione degli interventi finalizzati alla dotazione infrastrutturale del Paese, dovrebbe rappresentare il programma essenziale di sviluppo che un Paese riesce a darsi e coerentemente a perseguire.
È chiaro che, nel contesto temporale dato, il Documento al nostro esame risente in maniera evidente e direi inevitabile dell'impostazione data dal Governo precedente piuttosto che da quello attualmente in carica. La prima osservazione, allora, è quella di chiedere al nuovo Governo, e segnatamente al Ministro competente, di affrontare con cura per il futuro, con la giusta attenzione e il dovuto rigore, il compito che la legge prevede e gli assegna.
Una seria pianificazione non è un esercizio astratto, un libro dei sogni in cui ricomprendere tutte le più o meno legittime richieste che dai diversi territori del Paese provengono in ragione di un presunto o reale stato di deficit o arretratezza infrastrutturale; ma non è neppure l'assenza di qualsivoglia programmazione delle priorità, come di fatto la legge obiettivo ha deliberatamente costituito in questi dieci anni.
In passato infatti si è assolto, da parte dei Governi che si sono succeduti, ad una funzione di sostanziale acritico accoglimento dello stato dei bisogni provenienti dai territori, spesso con accordi di programma Stato-Regioni svincolati da ogni logica di sostenibilità e di copertura finanziaria, fino a far lievitare così il Piano delle infrastrutture strategiche, come stimato dal 7° rapporto sull'attuazione della legge obiettivo, ad un ammontare di circa 375 miliardi di euro per le 390 opere previste.
È giunto il momento di prendere atto della inadeguatezza della legge obiettivo a corrispondere alle effettive necessità che il tema infrastrutturale in questo decennio ha posto e a cui non è stata in grado di assolvere in termini di selezione delle priorità, di celerità nelle procedure di approvazione e di finanziamento e di certezza in termini di disponibilità finanziarie.
I dati contenuti nel report dell'allegato infrastrutture sono eloquenti: se infatti si passa dall'universo delle 390 opere comprese nel PIS al valore delle 190 opere del perimetro CIPE, ovvero quelle approvate almeno una volta da detto organismo, con progetto preliminare o progetto definitivo e quadro finanziario allegato, il costo stimato si riduce a 142,5 miliardi di euro, pari solo al 38 per cento del costo dell'intero programma, rispetto al quale le risorse disponibili ammontano ad appena 78,3 miliardi di euro, che consentono una copertura finanziaria pari al 55 per cento del costo stimato. Ma le opere effettivamente realizzate e concluse nel decennio più recenti studi affermano attestarsi ad appena il 4 per cento e valutano nuove risorse per i prossimi anni in non più di quattro o cinque miliardi effettivi.
Di fronte a questo quadro il Governo credo debba allora mettere più seriamente mano ad una pianificazione degna di questo nome: ve n'è bisogno, tanto più, nelle condizioni economiche che il Paese attraversa. Il che significa fare chiarezza, una volta per tutte, sulle effettive disponibilità finanziarie per i prossimi anni e su quelle realmente disponibili già adesso, perché è solo in ragione di queste che sarà possibile dimensionare priorità e tipologie realizzative.
In conclusione, e sommessamente, alcune indicazioni che possono venire utili per il futuro che abbiamo di fronte.
Questo Governo ha un anno di tempo per preparare un serio allegato infrastrutture dimensionato sulle risorse effettivamente disponibili: non lo sprechi!
Circoscritto il perimetro delle risorse, definisca in ragione delle priorità comunitarie - le infrastrutture ricomprese nell'ambito della core network - quelle priorità necessarie che corrispondono per il nostro Paese agli obiettivi a breve e medio termine per il suo urgente ammodernamento infrastrutturale. Probabilmente si scoprirà che la stagione delle grandi opere dovrà essere momentaneamente accantonata in attesa di periodi economici migliori e che invece urge completare, con infrastrutture di raccordo e di potenziamento, quelle che sono le nostre naturali porte d'accesso per le merci e per i passeggeri, vale a dire i porti e gli aeroporti e il loro collegamento con le principali arterie ferroviarie e autostradali.
Si scoprirà, forse, che probabilmente le opere e gli interventi necessari al rilancio della logistica nel nostro Paese, fattore determinante per la nostra economia, non solo non hanno bisogno di rilevanti risorse per interventi faraonici, ma che spesso con poche centinaia di milioni si potranno risolvere drammatici problemi di congestionamento, che in questi anni hanno fatto perdere tempo (e quindi denaro), ma anche occasioni di sviluppo importanti.
Probabilmente, se avremo il coraggio di perseguire questa logica, scopriremo che si tratterà di opere che si ripagheranno da sole, grazie al miglioramento delle condizioni e delle ricadute economiche che produrranno su quei territori e che il solo non farle determina un costo ormai insopportabile per le collettività.
Insomma, auguro a questo strano Governo e a questa più strana maggioranza che lo sostiene, a cui non è data la possibilità di fallire se vogliamo che la politica ripari ai danni prodotti in questi anni e recuperi la credibilità necessaria, una sorta di rivoluzione copernicana in tema di infrastrutture. Molto può essere fatto con poco, purché si faccia davvero e purché si faccia presto. Abbiamo un anno appena, non per il varo di poche e improbabili grandi opere, ma per un piano di tante piccole ma realistiche opere, in grado di mettere in pochi anni le ali al Paese, dare lavoro a migliaia di tecnici e operai e migliorare nei fatti le condizioni economiche delle nostre realtà industriali e le condizioni di vita dei nostri centri urbani.
È solo dando fiducia alle potenzialità presenti sui territori che possiamo vincere la difficile sfida che abbiamo di fronte: quella di una crisi che sembra non darci respiro. Dobbiamo farlo soprattutto per la passione e la tenacia che ogni giorno milioni di italiani mettono nell'attività delle loro imprese, per far sì che l'Italia non sia una sciagurata condizione geografica, ma il più bello e importante marchio di fabbrica che abbiamo tutti a disposizione. (Applausi dai Gruppi PD e PdL).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Romani Maurizio. Ne ha facoltà.
ROMANI Maurizio (M5S). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi senatori, il Sistema sanitario nazionale, una delle riforme sociali che l'Europa e tutto il mondo hanno sempre considerato come un modello di eccellenza, si sta sfaldando.
I primati conquistati nella sconfitta della mortalità infantile, nella speranza di vita delle donne e degli uomini, nella diffusione capillare su tutto il territorio dei presidi medici, si stanno sempre più deteriorando: non per la crisi economica e la mancanza di risorse, ma perché si ritiene di combattere la crisi stessa tagliando sul sistema di protezione della salute.
Una recentissima ricerca del CENSIS parla di oltre nove milioni di persone che hanno dovuto rinunciare alle cure sanitarie per motivi economici nell'ultimo anno: sono donne, anziani, famiglie con figli.
Nel suo rapporto 2012 sulla finanza pubblica, la Corte dei conti afferma: «Anche nel 2011 la gestione della spesa sanitaria presenta risultati migliori delle attese. (...) Per la prima volta da anni in flessione, la spesa riduce la sua incidenza in termini di PIL, che passa dal 7,3 per cento del 2010 al 7,1».
Se si fanno più consistenti anche nelle Regioni in piano di rientro segnali di cambiamento verso una maggiore responsabilizzazione delle gestioni, non mancano tuttavia segnali preoccupanti sul fronte della qualità dell'assistenza. In altri termini, scende la percentuale sul PIL che già era tra le più basse d'Europa, ma appare più verosimile ritenere che questo sia dovuto ai tagli lineari delle risorse piuttosto che all'eliminazione degli sprechi. Inoltre, dilagano truffe e malaffare: per queste voci, il danno erariale calcolato ammonta a 333 milioni di euro. Il risultato è spaventoso e le strutture pubbliche sono quelle più interessate dal malaffare.
Considerando con attenzione il bilancio di alcune Regioni del Nord, solitamente ritenute virtuose, si rileva che in realtà non lo sono. Spesso i fondi a disposizione della Regione sono incrementati con l'incoming di turismo sanitario, attraverso il quale la Regione può permettersi di dare ai propri cittadini forse qualcosa di più grazie a fondi tolti ad altre Regioni.
Non si può ignorare come il processo di decentramento a favore delle autonomie locali abbia evidenziato ed accentuato il divario esistente tra le Regioni italiane in relazione al conseguimento degli obiettivi di efficienza e di qualità delle prestazioni erogate a fronte della spesa sostenuta.
Come se non bastasse, le recenti misure anticrisi hanno reso il ricorso al privato conveniente nella diagnostica di base e nella specialistica, mentre il taglio dei fondi (meno 93 per cento) ha reso virtuali i servizi sociali e determinato un aumento della domanda impropria alla sanità. Sembra si voglia suggerire che con la privatizzazione del sistema funzionerebbe tutto a meraviglia, nascondendo sotto il tappeto le più recenti truffe del privato ai danni del pubblico: dal San Raffaele di Milano al San Filippo Neri di Roma, alla Fondazione Maugeri; da tutti i professionisti trovati nella totale illegalità operativa sino alle varie truffe su farmaci e ricoveri. E mentre nei Paesi in cui lo Stato sociale è difeso e rafforzato si soffrono meno le conseguenze delle speculazioni finanziarie mondiali, in Italia si va in senso contrario.
In questa situazione servono approcci nuovi. L'assistenza sanitaria non è una merce del mercato, ma un bene comune. Il fine non è il profitto, ma un utilizzo condiviso del bene che ne preserva nel tempo la disponibilità. In effetti, la sanità, in quanto bene pubblico che sarebbe meglio definire a gestione istituzionale, viene di fatto gestita da direttori generali all'interno di un modello aziendalistico che consente loro di esercitarne un uso privato. E quasi mai sono create le condizioni in cui i membri della comunità possono svolgere al meglio la gestione comune del bene.
Per noi un bene comune è libero da valori. Il suo esito può essere buono o cattivo, sostenibile oppure no. E per garantire sistemi durevoli e stabili abbiamo bisogno di chiarezza, di buone capacità decisionali e di strategie di gestione collaborativa.
La medicina deve tornare ad essere uno strumento di cura delle persone e non di oggetti pazienti. La società potrà trarre solo beneficio dalla consapevolezza profonda di cosa sia davvero la malattia, non solo per il corpo, ma anche per lo spirito. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Santini. Ne ha facoltà.
SANTINI (PD). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, è di tutta evidenza la situazione di transizione in cui avviene questa discussione.
Il DEF presentato dal Governo precedente rappresenta una sorta di bilancio conclusivo di interventi realizzati nel 2011 e nel 2012 per la stabilizzazione dei conti pubblici e soprattutto per riportare il rapporto deficit-PIL al di sotto del 3 per cento. Sotto questo profilo, va riconosciuta l'importanza per il Paese del raggiungimento dell'obiettivo che potrà permettere a brevissimo termine di uscire dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo.
Questo è sicuramente un risultato significativo, che va assolutamente preservato, anche in considerazione dei gravi costi sociali per poterlo raggiungere per le conseguenze che ha avuto sulla recessione dell'economia, 1'aumento della disoccupazione, la caduta dei redditi, la diffusa sofferenza delle famiglie e, delle imprese e le questioni previdenziali.
In questo senso, la risoluzione dovrà certificare la validità del precorso di risanamento, soprattutto in funzione di aprire una fase nuova nella politica economica del nostro Paese, da negoziare in modo attivo e determinato con l'Unione europea, anche per le politiche di sviluppo da realizzare in tutta Europa. Il superamento della procedura per deficit eccessivo permetterà, con maggiori margini di flessibilità, di realizzare interventi per la crescita e per il lavoro.
Sotto questo profilo dal DEF non riceviamo indicazioni risolutive, anche perché è sostanzialmente assente il Piano nazionale delle riforme. È necessario, quindi, colmare rapidamente questa lacuna da parte del nuovo Governo, come peraltro già indicato dal discorso programmatico del Presidente del Consiglio in occasione del voto di fiducia e dal Ministro dell'economia nell'audizione presso la Commissione Speciale. Ciò è ancora più necessario in considerazione delle previsioni che altri istituti stanno facendo in questi giorni, le quali risultano più negative rispetto alla crescita del PIL, soprattutto per l'aumento della disoccupazione nel 2013 e nel 2014. L'ISTAT, per esempio, oggi rileva che nel 2014 la disoccupazione supererà il 12 per cento.
Il delicato equilibrio da preservare tra gli interventi per la crescita e il controllo dei conti pubblici induce ad essere chiari rispetto alle priorità, vista anche la limitazione delle risorse disponibili. Esse vanno dedicate prioritariamente ad interventi che possano rispondere alla grave emergenza sociale derivante dalla disoccupazione, provvedendo immediatamente al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, ad un piano per l'occupazione giovanile in collegamento con il programma europeo, alla proroga dei contratti temporanei in scadenza nella pubblica amministrazione, ad una soluzione del problema degli esodati.
Altri interventi devono essere destinati alla riduzione del peso fiscale sugli investimenti delle imprese e sulle nuove assunzioni per aumentare la produzione, i servizi ed i redditi disponibili. A questo risultato deve concorrere anche una sollecita approvazione del decreto per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, semplificandone i criteri e aumentandone l'incisività, sollecitando al tempo stesso una maggiore fluidità del credito bancario, tanto più dopo l'abbattimento dei tassi da parte delle BCE.
Necessario è anche l'allentamento del Patto di stabilità interno per favorire gli investimenti dei Comuni in materia di sicurezza degli edifici e di risanamento del territorio, che potranno contribuire al rilancio di un settore volano come l'edilizia. Così come indispensabile è un riordino della normativa sulla tassazione della casa e degli immobili.
Sul piano fiscale, partendo dalla rimodulazione dell'IMU, vanno privilegiati gli interventi che, riducendo la pressione fiscale sui redditi individuali e famigliari più bassi, possano determinare un maggiore aumento relativo della domanda interna e, quindi, incidere maggiormente sulla crescita.
In questo ambito appare decisivo non dare corso all'aumento dell'IVA dal 1° luglio che, se realizzato, comporterebbe ulteriori effetti negativi sui consumi, da tempo in gravissima sofferenza.
Infine, vanno indicati nel PNR due riforme importanti: la prima deve consistere in interventi più incisivi ed organici di contrasto all'evasione fiscale, che sappiano recuperare significative risorse da destinare alla riduzione del peso fiscale sui contribuenti, dando rapida attuazione alla delega fiscale già prevista, così come vanno perseguite con più efficacia le diffuse aree di corruzione; la seconda riforma deve comportare il controllo della spesa pubblica (o spending review), preservando la qualità dei servizi pubblici (scuola, istruzione, innovazione, sanità). Tale obiettivo va realizzato combattendo sprechi ed inefficienze ed attuando con decisione i costi standard e le riforme istituzionali che riducano e accorpino con maggiore efficacia i livelli amministrativi. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Catalfo. Ne ha facoltà.
CATALFO (M5S). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, secondo le rilevazioni ISTAT a marzo 2013 il tasso di disoccupazione in Italia si attesta sull'11 per cento, in aumento di 1,1 punti percentuali rispetto ai 12 mesi precedenti.
La legge 28 giugno 2012, n. 92, cosiddetta legge Fornero, appare insufficiente a risolvere i gravi problemi del mondo del lavoro italiano. Essa, di fatto, si è risolta in una lieve revisione delle norme che regolano le forme contrattuali cosiddette atipiche che sono state il principale veicolo della diffusione del precariato e dello stravolgimento delle garanzie dei lavoratori in tema di licenziamento.
È sotto gli occhi di tutti che le politiche volte all'aumento della flessibilità del lavoro hanno portato a livelli salariali più bassi e ad una minore sicurezza dell'impiego. L'Italia è diventata una Nazione di cassintegrati, esodati, disoccupati, precari ed emigranti. Il commissario europeo Andor, nel corso dell'incontro tenutosi a Dublino il 29 aprile ultimo scorso, ha comunicato un dato preoccupante: il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni in Italia è pari al 38,4 per cento.
È evidente quindi che i programmi fino ad oggi attuati per favorire l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro italiano si sono rivelati inefficaci ed inefficienti, non raggiungendo in alcun modo l'obiettivo prefissato. Dal rapporto annuale 2012 dell'ISTAT, infatti, emerge che un numero sempre crescente di giovani sceglie di abbandonare l'Italia, impoverendo in tal modo ancor di più il nostro Paese delle risorse necessarie per la ripresa economica.
In tal senso si rileva che l'attuazione di programmi quali «The job of my life», frutto del protocollo d'intesa tra l'Italia e la Germania, più che un'opportunità di crescita e di esperienza internazionale finisce per diventare una strada obbligata per molti giovani italiani che non riescono a trovare sbocchi occupazionali nel nostro Paese. L'Italia è, infatti, la seconda Nazione europea per numero di emigrati dopo la Romania.
Per affrontare l'emergenza lavorativa si deve intervenire su più fronti contemporaneamente e in modo coordinato. Va rivolta attenzione alle imprese italiane al fine di agevolare l'assunzione, incrementando soprattutto i programmi a sostegno delle piccole e medie imprese, che sono la vera spina dorsale del sistema produttivo italiano.
Per la diffusione del contratto di apprendistato è indispensabile un'azione incisiva e meno dispersiva. È necessario porre in essere programmi a sostegno delle nuove iniziative imprenditoriali, che partano dall'analisi delle esigenze e delle potenzialità specifiche del territorio.
Occorre ristabilire il ruolo primario dei centri pubblici per l'impiego quali unici punti di riferimento del cittadino e delle imprese e di tutte le politiche del lavoro. È indispensabile l'attuazione di un unico programma per l'implementazione e il monitoraggio delle politiche attive. Progetti quali SILLA, VESPRO, AMVA non sono collegati tra loro e talvolta si sovrappongono, proponendo medesimi modelli con evidente inefficiente impiego di risorse.
Nell'attuare tali interventi si pone più attenzione alla diffusione informativa piuttosto che all'inserimento lavorativo del disoccupato o dell'inoccupato. Il disoccupato non ha bisogno solo di informazioni, ma di accompagnamento all'inserimento lavorativo, attraverso un reale e coordinato incrocio della domanda e dell'offerta di lavoro.
La frammentazione dei servizi per l'impiego e dei programmi di politica attiva (da ultimo assegnati anche ai patronati), la mancanza di un unico osservatorio sul lavoro e sulle professioni emergenti, la carenza di collegamento obbligatorio tra i centri per l'impiego pubblici, il repertorio nazionale delle competenze certificate di ciascun cittadino e le agenzie per il lavoro, l'assenza di un reale collegamento tra il sistema di istruzione e formazione, da una parte, e le esigenze del mondo delle imprese, dall'altra, sono tutti fattori che impediscono di fatto l'attivazione di un sistema virtuoso. Il fenomeno del precariato si sta radicalizzando e, con l'acutizzarsi della crisi economica, sta diventando un'autentica emergenza sociale.
In questo contesto, il Movimento 5 Stelle si pone come obiettivo l'istituzione del reddito di cittadinanza non come mero sussidio sociale ai disoccupati e agli inoccupati, non quale panacea una tantum dei mali del mercato del lavoro italiano, ma come tassello di un sistema integrato di welfare, elemento di un programma più ampio, che pone il cittadino al centro delle politiche attive del lavoro: politiche attive che dovranno accompagnare i cittadini lungo tutto l'arco della vita, seguendone i passi dal sistema di istruzione e formazione, fino all'inserimento nel mondo del lavoro attraverso l'indispensabile azione dei servizi pubblici per l'impiego. (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Albano).
PRESIDENTE. Annuncio che, al momento, sono pervenute alla Presidenza la proposta di risoluzione n. 1, a prima firma del senatore Molinari ed altri, e la proposta di risoluzione n. 2, a firma della senatrice De Petris ed altri.
Tali proposte saranno stampate e distribuite.
Come stabilito, rinvio il seguito della discussione del documento in titolo ad altra seduta.
Su alcune dichiarazioni di un consigliere della Lega Nord del Comune di Prato
BATTISTA (M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BATTISTA (M5S). Signor Presidente, colleghi senatori e colleghe senatrici, apprendo oggi che il consigliere comunale Emilio Paradiso della Lega Nord di Prato ha scritto sulla sua pagina Facebook il seguente post: «Il Bianco-fiore si è dovuta piegare ai finocchi, e il nero di seppia la lasciano lì?». Ovviamente il «nero di seppia» è un esplicito riferimento al ministro per l'integrazione Kyenge. Lo stesso Paradiso definisce questo suo commento una zingarata, oltretutto senza scusarsi.
Ritengo gravemente offensive tali affermazioni. È lecito chiedersi se, oltre a istituire una Commissione per i diritti umani, non sia necessario fare un test di ammissione a chi voglia ricoprire un incarico nelle istituzioni per porre fine alle parole "omofobia" e "razzismo". (Applausi dai Gruppi M5S e PD e del senatore Carraro).
Sulla scomparsa di Agnese Borsellino
BERTOROTTA (M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTOROTTA (M5S). Signor Presidente, il Senato della Repubblica commemora oggi l'encomiabile figura di Agnese Borsellino, scomparsa nella giornata di ieri, 5 maggio, all'età di 71 anni, dopo una lunga malattia. (Il Presidente e l'Assemblea si levano in piedi).
Ricordare la vedova del magistrato Borsellino è un dovere, oltre che civile, morale. Lo si deve a lei e all'uomo che ha tanto amato il nostro Paese da perdere la vita. Donna di spessore umano, assetata di giustizia e di verità, capace di dimostrare personalmente che il dolore può trovare un senso solo quando gli occhi riescono a vedere chiare le cose.
Insieme ai figli, Agnese Borsellino ha sempre manifestato una certa riservatezza. Si è limitata a presenziare a poche cerimonie pubbliche in ricordo del marito. Tuttavia, ha sempre testimoniato il proprio impegno nella lotta alla mafia e nella ricerca della verità sulla strage di via D'Amelio.
Agnese Borsellino ha mostrato grande rispetto per lo Stato, quello stesso Stato che il marito aveva difeso e salvaguardato e, proprio in occasione delle manifestazioni per il ventennale delle stragi, non potendo partecipare a causa della sua malattia, non ha esitato a mandare un messaggio ai giovani. Queste le sue parole: «Dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese come mio marito sino all'ultimo ci ha insegnato».
Anche durante la sua lunga malattia la vedova Borsellino si è impegnata nella testimonianza e nell'impegno civile, mostrando tenacia e coraggio nella lotta alla mafia. E proprio per sconfiggere la mafia non ha esitato a svelare le preoccupazioni del marito, cercando di fornire elementi utili ai giudici che ancora oggi stanno ricostruendo la verità su quei tragici eventi.
Proprio noi che siamo le istituzioni abbiamo il dovere morale di difendere lo Stato, di proteggerlo da forme di criminalità cruenta e distruttiva. Abbiamo l'obbligo di restituire dignità a quei tanti morti che hanno camminato la strada della giustizia. Siamo debitori loro e delle loro famiglie.
Nel ricordare il contributo sociale che la vedova Borsellino ci ha lasciato con la sua dignitosa e rispettosa esistenza, a nome del Gruppo parlamentare Movimento 5 Stelle esprimo il cordoglio alla famiglia per la scomparsa di una grande donna, moglie e madre quale è stata Agnese Piraino Leto in Borsellino. (Applausi).
PRESIDENTE. La Presidenza si associa alle sue parole di cordoglio.
BONFRISCO (PdL). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BONFRISCO (PdL). Signor Presidente, onorevoli colleghi, colgo l'opportunità che ci viene data alla fine dei lavori dell'Aula di oggi per associarmi al ricordo e all'apprezzamento del grande insegnamento fornitoci dalla signora Borsellino, vedova di un grande servitore dello Stato e uomo della giustizia, di quella giustizia giusta che invocava, come paradossalmente spesso viene ricordato, e soprattutto impegnato in modo costante, continuo e sprezzante di ogni pericolo. Egli ben sapeva infatti di essere finito nella lista degli uomini da eliminare dopo Giovanni Falcone, sua moglie e tutta la sua scorta.
Apprezzo moltissimo che, nonostante l'ora tarda, si sia voluto ricordare questa sera la figura splendida di una donna che, con grande sobrietà e senza mai perdere nemmeno per un minuto l'amore e il rispetto per le istituzioni, ha onorato in modo straordinario la memoria del marito. Ed è proprio alla memoria di quel marito e anche alla sua che ci inchiniamo noi tutti del Popolo della Libertà. (Applausi).
SUSTA (SCpI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SUSTA (SCpI). Signor Presidente, anch'io mi unisco al cordoglio espresso dalle colleghe.
La battaglia che ha fatto Agnese Borsellino credo sia la battaglia di tutti coloro che hanno a cuore la legalità nella sua dimensione più grande, della lotta contro la mafia, ma anche nelle piccole questioni quotidiane che riguardano tutte le persone. Deve essere assunto un impegno da parte di tutti noi relativamente alle maggiori inquietudini che hanno sconvolto la vita di questa donna negli ultimi vent'anni: mi riferisco all'intreccio tra politica e affari, tra Stato e malavita.
Davanti alla sua bara dobbiamo prendere l'impegno affinché la verità finalmente emerga (Applausi del senatore Buccarella), eventualmente anche per scagionare coloro che oggi non possono che essere visti come persone innocenti (vogliamo mantenere la presunzione di innocenza per tutti), ma proprio per fugare quei dubbi che da vent'anni accompagnano il rapporto tra Stato e criminalità organizzata, in particolare tra Stato e mafia. Davanti a questa lezione, che segue quella di Paolo Borsellino, di Giovanni Falcone e di tanti altri, dobbiamo assumere un preciso dovere. (Applausi).
GHEDINI Rita (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GHEDINI Rita (PD). Signor Presidente, intervengo per aggiungere il ricordo del Partito Democratico a quello che i colleghi degli altri Gruppi parlamentari hanno già voluto richiamare questa sera. Non voglio aggiungere parole per non rendere questo ricordo stucchevole. Credo che la testimonianza dell'esperienza di vita della signora Borsellino sia, di per sé, il riferimento a cui tutti, in questo momento, pensiamo. Ritengo che questa sera, in Senato, potremmo richiamare le parole che, saputo della morte della signora Borsellino, il presidente Grasso ha già pronunciato, chiedendo di impegnare il Senato e il Parlamento tutto nell'accertamento della verità a cui Agnese Borsellino ha dedicato la sua vita e la sua testimonianza: è un interesse non solo del Parlamento, ma dell'Italia tutta di cui il Parlamento si deve far garante. (Applausi).
Mozioni, interpellanze e interrogazioni, annunzio
PRESIDENTE. Le mozioni, interpellanze e interrogazioni pervenute alla Presidenza saranno pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Ordine del giorno
per la seduta di martedì 7 maggio 2013
PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica domani, martedì 7 maggio, alle ore 9,30, con il seguente ordine del giorno:
La seduta è tolta (ore 21,11).
Allegato A
DOCUMENTO
Documento di economia e finanza 2013 (Doc. LVII, n. 1)
PROPOSTE DI RISOLUZIONE
(6-00006) n. 1 (06 maggio 2013)
Il Senato,
        in occasione dell'esame del Documento di economia e finanza 2013,
        premesso che:
            dall'esame del Quadro programmatico aggiornato, il percorso di risanamento dei saldi di finanza pubblica, attuato dal 2008 ad oggi, tramite l'adozione di pesanti manovre correttive sia dal Governo Berlusconi ed, in particolare, dal novembre 2011, dal Governo Monti, al fine di soddisfare gli impegni assunti con il Patto Euro Plus, il Six Pack e il Fiscal Compact, garantisce il contenimento dell'indebitamento netto nel limite massimo del 3,0 per cento nel 2012, al -2,9 nel 2013 e al -1,8 per cento nel 2014, il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali nel 2013, nonché la riduzione del rapporto debito/PIL già a partire dal 2014, con una accelerazione più accentuata dal 2015;
            i saldi di finanza pubblica del quadro programmatico sono pertanto in linea con le raccomandazioni della Commissione europea, ma la politica di rigore eccessivo del Governo Monti sull'economia italiana per il prossimo triennio ha avuto effetti devastanti creando un peggioramento della fase recessiva e un trend di crescita a ribasso del PIL a causa:
                della riduzione del reddito disponibile delle famiglie, già in atto dal 2008, e attestatasi a -4,1 per cento nei primi tre trimestri del 2012 rispetto all'anno precedente, con una contrazione dei consumi pari a -4,3 per cento, dovuta anche all'aumento del 3,3 per cento dei prezzi al consumo conseguente all'aumento dell'IVA e di altre accise;
                del conseguente crollo della domanda interna che ha prodotto nel 2012 una caduta della produzione industriale, soprattutto dei beni di consumo durevoli ed intermedi, indotta anche dalla restrizione del credito nei confronti sia delle famiglie sia delle imprese, soprattutto le piccole e medie imprese (nel DEF è previsto che le principali componenti della domanda interna permarranno in forte contrazione rispetto al 2012);
                delle condizioni di accesso al credito da parte degli operatori del settore produttivo che sono ancora difficili e più costose rispetto alla Germania, infatti il Documento evidenzia che il differenziale del costo medio del credito alle imprese italiane rispetto alle tedesche è pari a +1,5 per cento a gennaio scorso;
                del fatto che non risulta che ci sia stata una maggiore offerta di credito a favore degli operatori economici da parte delle banche, in seguito alle operazioni di rifinanziamento della Banca centrale europea del 21 dicembre 2011 per 489 miliardi e del 29 febbraio 2012 per 530 miliardi, a cui hanno aderito anche gli istituti di credito italiani, e la prova è data dal drammatico numero di imprese che dal 2012 hanno chiuso e chiudono ogni giorno ovvero falliscono per mancanza di accesso al credito;
                delle prospettive di crescita del PIL, le quali sono state riviste al ribasso e permangono deboli con un trend di crescita molto rallentato ed inferiore ad altri paesi dell'area Euro e internazionali, e si attestano a -1,3 per cento nel 2013 rispetto a -0,2 per cento previsto a settembre, +1,3 per cento nel 2014 - grazie agli effetti di trascinamento del decreto-legge n. 35 del 2013, che stanzia risorse per il pagamento dei debiti scaduti della Pubblica Amministrazione verso le imprese fornitrici - e +1,5 per cento nel 2015;
                del preoccupante andamento dell'occupazione, che segnalerà una ripresa contenuta a partire dal 2014 ed un tasso di disoccupazione sotto l'11 per cento nella fase finale del triennio. Considerato il numero di lavoratori che hanno perso il lavoro, i posti di lavoro a rischio nell'immediato futuro, l'esaurimento dei fondi per la Cassa integrazione, il problema irrisolto degli esodati ed inoccupati, destinati a crescere a causa della riforma Fornero sui requisiti di età per accedere al trattamento pensionistico, il quadro sulle prospettive di lavoro in Italia permangono drammatiche;
            il Governo Monti evidenzia l'impatto positivo delle misure strutturali adottate nel 2012 (liberalizzazioni e semplificazioni, i due decreti sviluppo e la riforma del lavoro) sulla crescita del PIL nel prossimo triennio, che dovrebbero indurre nel 2015 una crescita aggiuntiva pari a +1,6 per cento; ma oggi, gli effetti benefici attesi nel medio e lungo periodo non risolvono le istanze degli operatori economici, che stentano a ripartire, e delle famiglie che versano in uno stato di profondo e diffuso disagio sociale (come testimoniato dall'ISTAT, che rileva che il 65 per cento delle famiglie fatica ad affrontare le esigenze primarie di sussistenza); non contribuiscono a risolvere la riduzione del potere d'acquisto di salari e stipendi, non danno risposte concrete alle imprese, che ora, per non chiudere necessitano di un immediato accesso al credito;
            è evidente che le misure adottate - tra l'altro per certi aspetti insufficienti e non condivisibili - sono state assunte con forte ritardo rispetto al profilarsi di una grave crisi finanziaria internazionale globale, il cui inizio risale al 2008;
            appare evidente che la classe politica delle due maggioranze di centro-destra e centro-sinistra, che si sono alternate al Governo negli ultimi 16 anni, non ha avuto la capacità o la volontà politica di provvedere al rinnovamento di un Paese, che è indietro di ben 10 anni rispetto agli altri Stati, anche dell'area Euro, e non hanno attuato prima della crisi economica mondiale politiche di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica e snellimento della Pubblica Amministrazione, nonostante l'Italia avesse già un cospicuo debito pubblico;
            emerge l'inidoneità della classe dirigente politica che, oggi, più che mai, si è coalizzata formando un Governo con esponenti di entrambi gli schieramenti, che nella loro alternanza, pur proclamando programmi differenziati, in venti anni non sono stati in grado di dare risposte concrete ed immediate alle istanze delle nuove generazioni, sia in materia di miglioramento ed accesso all'istruzione, sia sullo scollamento fra formazione scolastica ed università ed il settore produttivo, sia sulle problematiche dell'accesso dei giovani nel mondo del lavoro, caratterizzato dallo sgradevole ricorso al sistema delle raccomandazioni, piuttosto che alla meritocrazia, sia in materia di protezione dell' ambiente e della salute del cittadino, sia in materia di protezione dei nuclei familiari;
            nell'emergenza di una crisi economica e finanziaria internazionale iniziata nel 2008 oltreoceano e acuitasi nel 2012, in piena recessione e mancanza di liquidità sia da parte degli operatori economici sia da parte del settore bancario, senza scrupoli, il Governo Monti, per soddisfare le richieste di rispetto del Six Pack e del Fiscal Compact, non ha esitato a ridurre gli squilibri dei saldi di finanza pubblica, prelevando risorse finanziarie a carico dei cittadini delle fasce medie e più deboli, dei pensionati, bloccando gli adeguamenti delle pensioni al costo della vita, calpestando i diritti acquisiti dei lavoratori;
            il Governo Monti, sostenuto dal Partito Democratico e dal Popolo della Libertà, ha «fatto cassa» inasprendo il prelievo fiscale a carico dei contribuenti «non evasori», ossia i lavoratori subordinati, ratificando l'aumento progressivo dell'IVA, introdotto come clausola di salvaguardia dei conti pubblici dal Governo Berlusconi con il decreto-legge n. 138 del 2011, anticipando il regime IMU, estendendola anche all'abitazione principale, introducendo la Tares, che sarà più costosa della Tarsu e della TIA;
            nessun provvedimento è stato adottato per compensare i continui aumenti del costo dei carburanti;
            inoltre, l'inasprimento del Patto di stabilità a carico degli enti locali ha congelato le economie locali per il blocco degli investimenti e l'impossibilità di pagare le imprese fornitrici;
            le ridotte disponibilità finanziarie dei bilanci comunali hanno indotto i sindaci a ridurre l'offerta dei servizi ai cittadini e alle famiglie, soprattutto quelli di tipo assistenziale e sociale, che avrebbero in parte compensato le difficoltà in cui versano le famiglie meno abbienti;
            la pressione fiscale è aumentata nel 2012 al 44,0 per cento rispetto al 42,6 per cento del 2011;
            di fatto, il riordino dei conti pubblici voluto da una governance europea di stampo tedesco è stato realizzato a carico delle classi sociali più deboli ed oggi, addirittura, sono gli stessi vertici europei che sollecitano l'Italia ad adottare strumenti di sostegno e rilancio dell'economia, dopo aver condizionato ed affievolito le potenzialità del nostro settore produttivo;
            gli interventi di sostegno all'economia devono essere immediati e nell'ambito del descritto quadro congiunturale, non risultando opportuno varare altre manovre economiche con effetti depressivi, dove, al contrario, servono scelte coraggiose ed innovative;
            i cittadini oggi sono rappresentati in Parlamento dal Movimento 5 Stelle per dire «basta» ad una politica che distrugge le speranze di vita e benessere di un Paese, una politica che non ha investito sul futuro delle nuove generazioni, a cui lascia un debito che graverà sulle scelte di investimento dell'Italia per vent'anni;
            la classe politica attuale non soddisfa più le aspettative di 8 milioni di italiani, che credono in una necessaria inversione di marcia della società italiana, sposando una nuova politica che non abbia più come metro di riferimento solo la logica del profitto e lo sfruttamento delle risorse, ma anche la la prosperità ed il benessere della popolazione;
        considerato altresì che:
            l'appartenenza all'Unione europea non può ridursi al solo obbligo del rispetto di una fallimentare politica del rigore, che ha compromesso la crescita del nostro PIL, ma, in alternativa al fallimento della politica di rigore, occorre porre in essere una diversa politica europea attraverso l'attuazione di misure anticicliche che passi dalla rinegoziazione del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact, al fine di rilanciare una «nuova Europa», auspicando una maggiore democrazia nella governance europea, che abbia come primario obiettivo il benessere dei cittadini europei, da conseguire all'occorrenza anche prescindendo da un forzato percorso di risanamento finanziario dei bilanci dei Paesi della zona Euro;
            si ritiene necessario ridefinire il ruolo della Banca centrale europea, che dovrebbe diventare prestatore di ultima istanza per i debiti pubblici statali dei Paesi Area euro e dovrebbe avere come obiettivo il perseguimento della piena occupazione, nonché finanziare direttamente gli investimenti produttivi. La moneta unica europea, infatti, ha permesso per anni una certa stabilità dell'Eurozona, nascondendo le evidenti diversità economiche tra nazioni, a prezzo però di una rigidità pericolosa, che non ha consentito di fronteggiare con elasticità la crisi economica mondiale, agendo con naturali aggiustamenti di svalutazione/rivalutazione monetaria, consentiti in passato, quando ogni paese aveva la propria valuta. I suddetti aggiustamenti permettevano un rilancio delle economie in difficoltà, oggi l'Unione europea deve fornire strumenti alternativi ai Paesi per uscire dalla recessione;
            è oggi necessario che i Paesi europei con bilancio in attivo, come la Germania, si facciano carico del fondo di stabilità europeo (MES) evitando di imporre condizionamenti agli Stati membri, che hanno difficoltà di contribuzione nelle misure richieste. È il momento che i vertici europei adottino riforme che contemplino l'istituzione di una Banca centrale europea realmente garante dell'Euro zona;
        infine, per quanto concerne il Programma nazionale di riforma:
            dall'esame del Documento per settore economico, si rilevano criticità e mancanza di iniziative e proposte, che il Movimento 5 Stelle ritiene invece utili per rilanciare l'economia e proiettarla verso obiettivi più aderenti alle aspettative di chi ci ha voluto in Parlamento per effettuare il cambiamento;
            la valutazione delle nostre nuove proposte è auspicabile anche in ragione del fatto che il Governo Letta, appena insediato, intende rivedere il quadro programmatico, per inserire linee di intervento per il rilancio dell'economia da sottoporre al Consiglio europeo e alla Commissione europea, al fine di ottenere l'autorizzazione a derogare agli stretti vincoli del Fiscal Compact;
        tutto ciò premesso, impegna il Governo:
        1) per quanto riguarda il Programma di stabilità:
            ad impegnarsi presso le opportune sedi europee per una rinegoziazione del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact al fine di conseguire una «nuova alleanza» fra i popoli europei, che abbia come finalità il benessere dei cittadini ed il rafforzamento della governance europea, che deve valutare l'opportunità di rafforzare il ruolo della Banca centrale europea, affinché sia prestatore di ultima istanza per i debiti pubblici statali, possa finanziare direttamente gli investimenti produttivi e sia autorizzata ad emettere Eurobond;
            ad attuare una decisa riqualificazione della spesa pubblica, eliminando gli sprechi ed individuando i settori dove risparmiare senza tuttavia ridurre la qualità dei servizi offerti ai cittadini;
            ad adottare un'efficace riduzione dei costi della politica, comprimendo i livelli di Governo adoperandosi, nei limiti delle proprie competenze, affinchè si proceda all'abolizione costituzionale delle province, dal riordino ed accorpamento delle società controllate dagli enti pubblici, dal contenimento della proliferazione dei servizi «esternalizzati», dalla riduzione drastica delle consulenze e dalla ulteriore contrazione e alla revisione dei compensi per i rappresentanti politici, nonché dall'abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti, oltre che dalla progressiva eliminazione del ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni;
        in materia fiscale:
            a) a rafforzare le misure di contrasto all'evasione fiscale: in particolare va incrementata la collaborazione, ancora insufficiente, con i comuni, prevedendo oltre le misure premiali, già previste dalla disciplina vigente, una serie di sanzioni;
            b) a rivedere la stessa struttura centralizzata della riscossione demandata alla gestione di Equitalia: in particolare accelerare il ritorno al sistema di riscossione territoriale in cui, anche grazie alla conoscenza del territorio e delle singole specificità e in un quadro di reale federalismo fiscale, si responsabilizza la copertura dei costi da parte degli enti territoriali, che avranno cura di intervenire con maggiore equità e adoperarsi in ambito internazionale per l'abrogazione dei «paradisi fiscali»;
            c) ad aumentare la tassazione sui redditi di natura finanziaria, sulle transazioni finanziarie, sui derivati e sui giochi, al fine di diminuire l'imposta di bollo sugli estratti conto e libretti, abolire l'imposta municipale propria (IMU) sulla prima casa, abrogare gradualmente l'IRAP ed evitare l'aumento dell'IVA;
            - ad istituire un nuovo strumento chiamato «politometro», finalizzato a garantire la pubblicità della situazione reddituale e patrimoniale non solo dei componenti del Parlamento, ma di ogni membro di assemblea elettiva o esecutiva degli enti pubblici o a partecipazione pubblica di qualsiasi ordine territoriale;
        2) Per quanto riguarda il Piano nazionale di riforma:
            nel settore bancario e finanziario, ad adottare provvedimenti affinché il sistema nel suo complesso sia funzionale ad un armonico sviluppo dell'economia e della società. La legislazione bancaria dovrebbe seguire il modello del Glass-Steagal e Act, pur rispettando le peculiarità del mercato bancario italiano, con una totale separazione tra banche d'affari e banche commerciali ordinarie, vietando altresì gli incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale. Conseguentemente introdurre un sistema fiscale e di vigilanza, ad hoc, per gli intermediari finanziari che investono nell'economia reale;
            a riformare la disciplina della selezione dei soggetti chiamati a ricoprire incarichi di vertice in qualsiasi amministrazione od ente inserito nel conto economico consolidato della Pubblica Amministrazione, nonché nelle aziende pubbliche (dalle cosiddette «grandi aziende» di Stato fino alle partecipate ed in house di ogni livello, nazionale, regionale e locale) per fare in modo che il management sia scelto sulla base di criteri di trasparenza ed evidenza pubblica, utilizzando una seria valutazione dei curricula accademici e professionali dei candidati; da procedure selettive pubbliche; dal principio della netta separazione tra politica e amministrazione; dal divieto di cumulo di incarichi, dal parametro per gli emolumenti per i manager pubblici, rapportato allo stipendio dei dipendenti e dall'introduzione del principio del collegamento tra il compenso e i risultati ottenuti nonché dal divieto di cumulo con eventuali trattamenti pensionistici; dalla sostituzione integrale della vigente legge Frattini, al fine di predisporre una normativa che contrasti in modo efficiente il fenomeno del conflitto d'interessi;
            a risolvere gli annosi problemi delle Forze dell'ordine, di polizia e di soccorso civile - mancanza di mezzi, di risorse, blocco del turn over, blocchi stipendiali - destinando ad esse le risorse rinvenienti dalla riduzione del finanziamento delle missioni all'estero. Inoltre, introdurre l'uso di numeri identificativi sui caschi del personale di ordine pubblico e sicurezza, al fine di salvaguardare tutti gli operatori della pubblica sicurezza rispettosi della legge; sciogliere i corpi speciali dedicati alla lotta alla criminalità organizzata per potenziare le competenze e l'organico della Direzione investigativa antimafia, restituendole la dignità originaria, consentendo un risparmio sui costi e la razionalizzazione delle diverse indagini antimafia, che troppo spesso finiscono per scontrarsi sullo stesso campo;
            a procedere nel percorso di riduzione dell'onerosità a carico dei cittadini e delle imprese connesse alla richiesta di dati e documenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni, disponendone l'acquisizione attraverso l'utilizzo delle banche dati; per le imprese ridurre gli oneri introducendo un criterio di proporzionalità tra l'onerosità degli adempimenti e la loro dimensione; disporre l'entrata in vigore immediata di tutte le nuove disposizioni del codice dell'amministrazione digitale;
            a modificare il procedimento civile e penale per garantire una ragionevole durata del processo, intervenendo soprattutto sulla professionalizzazione manageriale dei presidenti dei tribunali, sulla digitalizzazione del processo e sullo snellimento dei codici semplificandone la procedura;
            ad intensificare la lotta alla corruzione e alla concussione, che coinvolge la Pubblica Amministrazione, attraverso un inasprimento delle pene per i reati di falso in bilancio e frode fiscale, e l'introduzione del reato di auto riciclaggio ed una rivalutazione della normativa sulla prescrizione, che si ritiene essere troppo breve;
            a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici con l'introduzione, tra le cause di risoluzione del contratto di appalto, anche delle sentenze di condanna definitiva per gravi reati che riguardino i soggetti subappaltanti;
            a destinare i risparmi effettuati con la riforma dello strumento militare per migliorare la gestione corrente della formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione di nuovi investimenti in sistemi d'arma e a valutare l'assegnazione delle strutture militari in dismissione, localizzate in luoghi strategici delle città, per nuove funzioni che consentano per le altre amministrazioni risparmi in contratti di locazione;
            ad abbandonare, in via definitiva, il programma per la produzione e l'acquisto dei previsti cacciabombardieri Joint Strike Fighter, parallelamente ad una riconversione delle industrie che operano nella produzione degli stessi;
            a rivalutare la necessità di ogni singola missione militare all'estero non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto per rispettare il dettame costituzionale indicato dall'articolo 11;
            a garantire per il prossimo triennio maggiori ed adeguate risorse per investire nella scuola, nella università e nella ricerca, rinunciando al piano dei tagli operati negli ultimi due anni, affinché il nostro diventi un sistema di istruzione veramente innovativo e capace di competere con le nuove tecnologie e con l'evoluzione progressiva dei sistemi di produzione;
            a reperire sufficienti risorse da destinare con urgenza alla messa in sicurezza delle infrastrutture a rischio sismico ed idrogeologico ed alla riqualificazione ed efficientamento energetico degli edifici scolastici pubblici;
            a realizzare un piano d'investimenti pluriennale per i beni culturali, non limitandosi ad interventi straordinari dettati solo dall'urgenza e dalla contingenza, ma attraverso una seria programmazione che veda il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle regioni;
            ad adottare politiche finalizzate al rifinanziamento della sanità, puntando ad una diversa ripartizione delle voci di spesa dedicate ai tre tipi di prevenzione sanitaria, passando da una prevenzione secondaria che comprende il maggior capitolo di spesa del Servizio sanitario nazionale ad un potenziamento della prevenzione primaria e della prevenzione terziaria, ossia la presa in carico a livello locale e domiciliare da parte di équipe multidisciplinari;
            ad intervenire con misure più incisive per contrastare la povertà, nell'ambito di una più ampia riforma del welfare, con l'istituzione del «reddito di cittadinanza», affinché tutti coloro che hanno perso il lavoro o che ne sono alla ricerca, possano comunque vivere con dignità;
            a porre maggiore attenzione alle misure nel campo della disabilità, definendo iniziative in termini di benefici economici a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile; infine a prevedere, per quanto riguarda la «tutela delle donne», forme preventive di tutela più adeguate, in un'ottica di prevenzione primaria;
            ad avviare progetti di social housing senza il consumo di altro territorio ma recuperando quello già costruito, che potrebbero «liberare» oltre 100 miliardi di euro di disponibilità di credito da parte delle banche;
            a promuovere una vera conversione della politica economica, puntando in modo netto sulla valorizzazione dell'economia verde, attraverso un più adeguato finanziamento del Fondo Kyoto e l'avvio di politiche incentivanti delle «buone pratiche» ambientali;
            a prorogare e rendere strutturali le detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, con l'obiettivo di dare impulso in modo «virtuoso» al comparto edilizio, la cui funzione di traino per l'economia del paese non può più essere legata alla devastazione del territorio;
            a promuovere una politica di gestione del territorio che anteponga la tutela del paesaggio e la difesa del suolo alle scelte di tipo speculativo, impedendo nuovo consumo di suolo e avviando programmi di riqualificazione urbana e di messa in sicurezza del territorio, sismica e idrogeologica;
            a rivalutare il piano delle opere pubbliche, espungendone quelle più costose e più dannose per il territorio e per l'ambiente - come la tratta Alta velocità ferroviaria Torino-Lione -, che dovrà superare l'attuale impostazione priva di una visione strategica e affermare una nuova visione che tenga conto delle vere priorità del Paese in tema di infrastrutture di pubblica utilità: messa in sicurezza del territorio; riequilibrio modale del trasporto di merci e persone, attualmente eccessivamente sbilanciato a favore della gomma; sistemazione ed efficientamento delle reti idriche; valorizzazione e riqualificazione dei centri urbani; avvio di infrastrutture e programmi per lo sviluppo e la diffusione della mobilità sostenibile; potenziamento delle reti di trasporto pubblico, urbano ed extraurbano;
            a sviluppare una politica energetica che punti chiaramente alla riduzione del consumo di combustibili fossili, al rispetto degli accordi internazionali relativi al Protocollo di Kyoto, all'affrancamento dalla dipendenza energetica dall'estero, alla sostenibilità economica evitando incentivi economici a favore di lobbies, mirando alla riduzione dell'inquinamento e dei conseguenti danni alla salute e all'ambiente;
            ad affrontare le criticità preesistenti, in particolare per quanto attiene le bonifiche dei siti di interesse nazionale (SIN) a partire dalla straordinaria emergenza sanitaria ed ambientale dell'ILVA di Taranto, per la quale è auspicabile un intervento immediato per garantire la tutela della salute dei cittadini;
            a velocizzare i pagamenti dei debiti dello Stato con le imprese e i cittadini attraverso la cessione prosoluto verso le banche, o meglio, attraverso la Cassa depositi e prestiti, la quale liquiderà il dovuto alle imprese tramite gli sportelli di Poste italiane e comunque attraverso la compensazione con altre tasse dovute o girabili ad altre aziende (favorendo la rete impresa);
            ad attuare con gli strumenti della politica nazionale un'efficace lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio, in difesa dei consumatori e della produzione nazionale;
            ad avviare una riforma del lavoro che, come previsto dalle direttive europee, contempli quale prima tipologia di contratto quella a tempo indeterminato e solo per esigenze organizzative quella a tempo determinato;
            a riformare la legge n. 92 del 2012, la cosiddetta «riforma Fornero», prevedendo, in particolare, l'abrogazione delle norme previdenziali come punto di partenza per un riordino dell'intero ambito al fine di garantire il diritto alla pensione a tutti i lavoratori in un età dignitosa, in particolare per chi svolge lavori usuranti;
            a garantire la stabilizzazione del personale precario non dirigenziale nella Pubblica Amministrazione come disposto dal comma 560 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2000;
            ad incrementare il tasso di occupazione femminile, anche attraverso la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro;
            a realizzare un piano d'interventi, non a pioggia, che consenta al Mezzogiorno d'Italia di liberarsi, attuando una reale e dura lotta alla criminalità organizzata, contrastando la «mala politica» per attrarre investimenti stabili nel territorio e trasformare il Sud in motore per il rilancio dell'Italia verso uno sviluppo eco-sostenibile: punto di snodo di una nuova politica europea che riconsideri fra i suoi interessi d'intervento anche i popoli del Sud del mediterraneo e del mondo;
            in materia di agricoltura: a porre in essere tutte le misure necessarie affinché l'agricoltura, nel rispetto dell'ambiente e della salute umana, abbia l'obiettivo non solo di fare da traino per l'economia del Paese ma anche di migliorare la qualità della vita. A tal fine, si impegna il Governo:
                a) ad individuare, in considerazione della palese inefficacia della Politica agricola comune (PAC), strade alternative per incrementare la produzione agricola italiana senza intaccarne la qualità, salvaguardando i prodotti locali di specie autoctone, riducendo al massimo il ricorso a tecniche che prevedano il ricorso a molecole di sintesi e preservando il paesaggio nonché l'integrità e la fertilità del suolo;
                b) a riconsiderare la politica della Grande distribuzione organizzata (GDO) in direzione del sostegno dei piccoli produttori, valorizzando la filiera corta e la tutela del marchio Made in Italy;
                c) a disincentivare pratiche insostenibili in agricoltura quali l'allevamento intensivo nell'industria zootecnica e nell'acquacoltura, riducendo il consumo di carne e aumentando i controlli sul pescato;
                d) a procedere al riordino degli enti che fanno capo al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
(6-00007) n. 2 (06 maggio 2013)
Il Senato,
        esaminato il Documento di economia e finanza 2013,
        premesso che:
            nell'introduzione al DEF 2013 il Governo Monti afferma che è tenuto, per assolvere un obbligo di legge per il Paese e per assicurare il rispetto delle scadenze del «semestre europe», a presentare il Documento di economia e finanza, pur tra limiti oggettivi, come il prolungarsi delle procedure per la formazione di un nuovo esecutivo: «Coerentemente con la fase di prorogasti il Governo in carica non può formulare orientamenti per il futuro che presuppongano scelte d'indirizzo politico-legislativo o I'avvio di nuove politiche di vasto respiro che non siano già state condivise dal Parlamento.»;
            il DEF 2013 si limita a tracciare, con enfasi e sottolineature eccessivamente positive, i traguardi raggiunti dall'azione di governo fin qui svolta. Attraverso un'esposizione fin troppo dettagliata e ripetitiva dei risultati raggiunti e dell'azione da dispiegare nel triennio prossimo, ed indica come: «dal punto di vista economico-finanziario il DEF 2013 assum(a) l'obiettivo di mantenere nel periodo di riferimento il pareggio di bilancio in termini strutturali, come previsto dalle regole del Patto di Stabilita di Crescita dell'Unione europea, modificate nel novembre 2011, e confermate dal Fiscal Compact, e come sancito dalla nostra Costituzione. Sotto il profilo delle riforme strutturali esso fa il punto di quanto realizzato nei mesi precedenti e, dove appropriato, elenca le iniziative ancora necessarie per attuare Ie riforme già approvate dal Parlamento.»;
            il DEF al nostro esame rappresenta una fotografia dei risultati ottenuti negli ultimi 17 mesi dal Governo Monti, una fotografia dei risultati negativi di politiche sbagliate;
            pur considerando i limiti oggettivi rappresentati dalla presentazione del presente DEF, esso rimane comunque un passaggio ineludibile, seppur non definitivo, in quanto il nuovo Governo dovrà aggiornarlo, integrandolo con il programma di Governo di stabilità e crescita indicando gli obiettivi di politica economica;
            il Governo attuale si è impegnato a presentare al più presto una Nota di aggiornamento del DEF 2013; nel suo discorso alle Camere il Premier Enrico Letta, ha dichiarato che il suo Governo agirà con primi interventi per dare ossigeno alle famiglie, in particolare a quelle meno abbienti, e alle imprese tramite la riduzione fiscale suI lavoro, il superamento della tassazione sulla prima casa, l'alleggerimento dell'IVA, senza tuttavia indicare con quali misure tali riduzioni di entrate e maggiori spese saranno compensate;
            occorre infatti, finanziare Ie misure urgenti per il 2013 laciate scoperte dal Governo Monti che comportano una spesa di 7-8 miliardi (ne citiamo solo alcune: gli esodati, la cassa integrazione anche in deroga, la proroga delle agevolazioni fiscali al 50 ed al 55 per cento per Ie ristrutturazioni edilizie e per l'efficientamento energetico degli immobili, il rinnovo dei contratti a termine di lavoratori e lavoratrici nei servizi pubblici essenziali, i contratti di servizio di importanti aziende pubbliche, Ie missioni internazionali), mentre servirebbero altri 8 miliardi all'anno per cancellare l'IMU e l'aumento dell'IVA. In sostanza, ci vorrebbero circa 15 miliardi di tagli nella seconda parte del 2013, vale a dire 30 su base annua. Non e possibile pensare ad ulteriori ticket sulla sanità (dal 1º gennaio 2014, è già previsto un aumento dei ticket per circa 2 miliardi di euro), ulteriori tagli alla scuola pubblica e all'università, ulteriore deindicizzazione delle pensioni più basse;
            in ogni caso, il quadro complessivo delineato sembra dovere rimanere immutato rispetto al DEF al nostro esame;
            il programma del nuovo Governo non fa riferimento con il dovuto impegno agli obiettivi assunti dalla strategia definita dal documento «Europa 2020»: innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione, aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo ed innovazione al 3 per cento del PIL, riduzione delle emissioni di gas serra almeno del 20 per cento rispetto al 1990, 20 per cento del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili, aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica, riduzione degli abbandoni scolastici al di sotto del 10 per cento, aumento al 40 per cento dei 30-34enni con un'istruzione universitaria, drastica riduzione delle persone a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione;
        sottolineato come:
            l'analisi economica contenuta nel DEF evidenzia un quadro di recessione globale, nell'ambito del quale la zona Euro mostra particolari difficoltà e, in tale contesto, l'Italia risulta in particolare sofferenza;
            l'economia in recessione, la società in frantumi, la politica bloccata: questa e l'Italia del 2013, dopo cinque anni di crisi. Dopo 5 anni di Governi di Berlusconi e Monti il PIL del nostro Paese, in termini reali e ai livelli di 10 anni fa. Il reddito medio pro capite è sceso ai livelli dell'anno 2000. Ma il reddito «medio» è un'illusione statistica, Ie disuguaglianze sono aumentate e tutto l'aumento del reddito degli ultimi dieci anni e finito ad aumentare la ricchezza del 10 per cento più ricco degli italiani che possiede il 46 per cento di tutta la ricchezza del Paese. Nove italiani su dieci stanno ora peggio di 10 anni fa;
            il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti;
            il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi. Gli ultimi rilevamenti dell'Istat ci hanno restituito ancora una volta un'immagine drammatica: sono 2,8 milioni Ie lavoratrici e i lavoratori precari, la disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12 per cento, con punte che sfiorano il 40 per cento tra Ie donne e i più giovani, mentre i consumi delle famiglie si stanno notevolmente riducendo (meno 7 per cento nel biennio 2012-2013);
            oltre ai bassi salari sono state ridotte Ie pensioni e aumentata l'età per andarci; ci sono 390.000 lavoratori «esodati» che nel 2012 si sono trovati senza stipendio e senza pensione; i servizi di welfare vengono ridimensionati dai tagli di spesa e diventano più costosi;
            aumenta la povertà che coinvolge oramai oltre 8 milioni di persone; più dell'11 per cento delle famiglie vivevano nel 2011 con un reddito sotto la soglia di mille euro per una famiglia di due persone;
            accanto alla povertà, scoppia l'emergenza ambientale con le conseguenze disastrose del cambiamento climatico provocato dalle nostre emissioni che porta a situazioni meteorologiche estreme, mentre un uso dissennato del territorio ha contribuito alla rottura degli equilibri ecologici;
            i Governi Berlusconi e Monti non solo non hanno previsto la dimensione della recessione, ma in gran parte l'hanno causata. Nel quinquennio tra il 2008 e il 2012, per la prima volta dopo la Sconda Guerra mondiale, c'è stata una riduzione del 4,4 per cento della variazione della media del PIL pro capite rispetto al quinquennio precedente. Nel 2012, Ie manovre di tasse e tagli, infatti, hanno prodotto una riduzione del PIL di un punto percentuale. Lo certifica la stessa Banca d'Italia. La cura ha fatto molto più male della malattia;
            dopo i 145 miliardi recuperati con Ie due manovre estive «anti-crisi» di Tremonti, il Governo dei «tecnici» ha tagliato la spesa e tassato gli italiani per 63,2 miliardi (tra manovra «Salva Italia» e «Spending review»). Le manovre hanno complessivamente causato una riduzione del reddito del Paese di circa 16 miliardi. Rendendo così più difficili da raggiungere gli obiettivi per raggiungere i quali erano stati escogitati tagli e tasse;
            la liberalizzazione del mercato del lavoro che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posta di lavoro in più, e andata ad aggiungersi al taglio delle pensioni, all'aumento delle accise e dell'IVA (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari) e all'IMU sulla casa, peggiorando la grave situazione nella quale i Governi Berlusconi e Monti ci hanno portato;
            né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né Ie cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico Italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;
            sono stati sacrifici - a senso unico a carico dei ceti popolari - mentre il debito è notevolmente cresciuto (di dieci punti negli ultimi due anni), la disoccupazione è aumentata, Ie tasse sono state innalzate e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati, e il peggio potrebbe ancora arrivare. Si è, infatti, instaurata nel nostro paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta diminuisce Ie entrate dello Stato e ne aumenta Ie spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;
            il problema peggiorerà dopo il 2014 con l'applicazione del cosiddetto «fiscal compact», il quale prevede una riduzione del debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL di un ventesimo l'anno, per vent'anni. Una mannaia pesantissima, che per l'Italia potrebbe significare un obbligo a tagli netti del debito per 40-50 miliardi l'anno, che certo non si potranno attuare vendendo beni pubblici ogni anno per il valore di 15 miliardi;
        rilevato come:
            il Mezzogiorno contribuisce ad un quarto del PIL nazionale: non ci può essere una adeguata ripresa della crescita economica nel nostro Paese senza il contributo delle regioni meridionali. Eppure, secondo l'ultimo rapporto Svimez, la crisi ha prodotto nel Meridione il doppio dei danni sociali arrecati al resto del Paese, ed esiste il reale pericolo che il divario tra il nord ed il sud da incolmato divenga incolmabile;
            proprio nelle regioni del Sud si sono concentrate Ie riduzioni più significative di posti di lavoro legate soprattutto al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti, sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari. Soprattutto preoccupa quello che la Svimez ha definito «spreco generazionale inaccettabile», cioè il dato che vede in crescita nelle regioni meridionali la quota dei giovani Neet (not in education, employment or training) con alto livello di istruzione;
            la crisi spinge ulteriormente il processo di compenetrazione in corso tra criminalità organizzata e economie locali, diversamente il Sud potrebbe diventare la base di un'economia criminale tesa ad estendersi alle regioni settentrionali. Anche per questa via il nodo del Mezzogiorno, rischia di condizionare pesantemente lo sviluppo di tutto il Paese;
            per il Mezzogiorno occorre dunque abbandonare Ie politiche assistenzialistiche del passato, la cui inefficacia è sotto gli occhi di tutti, e porre al centro la valorizzazione delle risorse economiche, umane e paesaggistiche locali per superare Ie arretratezze strutturali e creare condizioni più favorevoli allo sviluppo delle tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno;
            la crisi economica e sociale sta aggravando in maniera insostenibile l'emergenza abitativa: oltre 430.000 famiglie in difficoltà con il pagamento dei mutui; 65 mila sentenze di sfratto solo in un anno, di cui circa l'85 per cento sono per morosità. Con l'attuale trend di crescita, se ne prevedono 200 mila nei prossimi tre anni. Una situazione di vero allarme sociale che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per Ie grandi aree urbane;
            sono necessarie serie politiche abitative pubbliche e risorse da destinare all'«housing sociale». A ciò aggiungiamo il gravissimo sostanziale azzeramento del «Fondo nazionale per il sostegno all'accesso aIle abitazioni in locazione», previsto dall'articolo 11, comma 1, dell a legge n. 431 del 1998, il quale rappresentava uno strumento fondamentale in mano agli enti locali per una politica delIa casa attenta alle esigenze delle famiglie più bisognose;
            pur essendo strategica per l'economia italiana e Ia crescita del PIL, nessun intervento organico e di sistema viene proposto per la cultura, i beni culturali e paesaggistici. Come certificato da Eurostat, nel 2011 l'Italia ha continuato ad essere all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alIa cultura (1,1 per cento a fronte del 2,2 per cento dell'Unione europea a 27) e al penultimo posto per percentuale di spesa in istruzione (l'8,5 per cento a fronte dello 0,9 per cento dell'Unione europea a 27);
            una recente indagine svolta da Unioncamere e Symbola ha dato una stima piuttosto precisa dell'importanza del comparto culturale suI PIL italiano: il 5,4 per cento se si considera il sistema delle industrie culturali e creative in senso stretto; il 15 per cento se invece si da una definizione estensiva del sistema delle filiere culturali e creative;
        considerato che:
            il quadro delle misure delineato dal DEF non contempla altre misure di rilievo rispetto alIa retrocessione dei debiti della Pubblica Amministrazione;
            l'impostazione del DEF e della politica economica dello stesso Primo Ministro Letta parte dal presupposto che il graduale miglioramento della situazione dei mercati finanziari non si è ancora trasmesso all'economia reale. In realtà, Ie misure di contenimento delIa spesa pubblica adottate nel 2011 e nel 2012 sembrano essere andate oltre Ie previsioni iniziali: si è tagliato di più di quello che si era preventivato. Queste stesse misure hanno concorso all'effetto demoltiplicatore del PIL, con una caduta del PIL cumulata (2012-2013) del 3,7 per cento, unitamente ad una caduta degli investimenti del 10,6 per cento;
            le previsioni dell'OCSE confermano la contrazione del PIL del 2013 (meno 1,5 per cento), mentre per il 2014 si stima una maggiore crescita dello 0,5 per cento). Stime generose, che sottovalutano l'effetto negativo delle misure di contenimento della spesa pubblica, unitamente all'aumento delIa pressione fiscale. II FMI, mediamente più credibile dell'OCSE, è molto meno ottimista;
            l'indebitamento netto passa, secondo il DEF, dal 3,9 per cento del 2011, al 2,9 per cento del 2013, in ragione della spesa destinata al pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione. Infatti, l'indebitamento del 2013 era previsto al 2,4 per cento. Per il 2014 si prevede un indebitamento netto dell'1,8 per cento, sempre che le risorse dell'IMU sperimentale non siano modificate. La puntualizzazione è rilevante per la contabilità pubblica. Se fosse modificata la base imponibile dell'IMU, Ie minori entrate dovrebbero essere compensate da una manovra correttiva aggiuntiva, così come per l'aumento dell'IVA di un punto, già contabilizzato tra Ie entrate fiscali. Modificare una di queste imposte, significa ampliare o meno la manovra correttiva dello 0,7 per cento del PIL nel 2015, così come per il 2014;
            secondo l'OCSE l'indebitamento per il 2013 raggiungerà il 3,3 per cento contro il 2,9 per cento previsto dal DEF, un indebitamento che cresce anche nel 2014 al 3,8 per cento (il DEF prevede l'1,8 per cento): il che significherebbe restare nella procedura UE per deficit eccessivo; secondo il Ministro Saccomanni il Rapporto Ocse non considera l'impatto del decreto-legge sui pagamenti della Pubblica Amministrazione;
            diversamente dall'indebitamento netto, il rapporto debito/PIL continua a crescere, nonostante la spesa per interessi sia sostanzialmente stabile in rapporto al PIL (5,6 per cento per il 2013 e 5,8 per cento per il 2014). Le stime sono pari al 130,4 per cento del PIL per il 2013, al 129 per cento per il 2014 (per l'Ocse il debito 2014 sarà pari al 134,2 per cento) e al 125 per cento per il 2015. Un effetto del tutto ovvio: se il denominatore diminuisce con la velocità di questi ultimi anni, il rapporto è destinato a crescere, indipendentemente dalle misure di contenimento della spesa pubblica adottate. Non si deve mai dimenticare che dal 2008 al 2013, il PIL dell'Italia si è contratto di quasi 10 punti percentuali;
            le stime economiche rese note il 3 maggio scorso dalla Commissione europea prevedono che il deficit italiano per il 2013 si fermi al 2,9 per cento, e nel 2014 scende al 2,5 per cento. Nelle stime della Commissione Ue si conferma come l'Italia stia sulla strada per chiudere la procedura per disavanzo eccessivo. Ma comunque per l'Italia - secondo la Commissione UE - «non ci sono segni di ripresa a breve» e il PIL «continua a contrarsi», portandosi a -1,3per cento per il 2013 e 0,7 per cento nel 2014. Il debito italiano sale a 131,4 per cento nel 2013 e a 132,2 per cento nel 2014; la Commissione Ue rivede quindi al rialzo Ie stime di febbraio che lo davano al 128 per cento per il 2013 e 127 per cento nel 2014. Solo la Grecia ha un debito più alto (175,2 per cento per il 2013). La fiducia di imprese e consumatori è ancora negativa. E il PIL continua a contrarsi (-1,3 per cento per il 2013), «sulla base di persistente incertezza e continua difficoltà di accesso al credito». Anche la disoccupazione continua resta sotto il segno negativo: raggiungerà quota 11,8 per cento nel 2013 e sfonderà la soglia del 12 per cento, arrivando al 12,2 per cento nel 2014, contro rispettivamente l'11,6 per cento e il 12 per cento stimati a febbraio. Ma è prevista una «stabilizzazione» il prossimo anno. Secondo Ie stime della Commissione, «la ripresa dell'attività economica è troppo lenta per ridurre la disoccupazione» che per il 2013 e il 2014 nell'eurozona resta invariata rispetto alle vecchie stime, rispettivamente al 12,2 per cento e 12,1 per cento. «Senza riforme - avverte la Commissione UE - l'alta disoccupazione potrebbe mettere a rischio la coesione sociale»;
            uno dei comparti della spesa pubblica che più di altri ha sofferto dei tagli della spesa pubblica è, indiscutibilmente, quello del lavoro pubblico, dovuto al mancato rinnovo contrattuale e al blocco del turn over. Complessivamente la spesa per lavoro dipendente della Pubblica Amministrazione ha subito una contrazione del 5,4 per cento tra il 2011 e il 2014, che in termini di PIL significa passare dal 10,7 per cento del PIL del 2011 al 10 per cento del PIL del 2014;
            relativamente alle spese, la costanza del rapporto tra la spesa sociale e previdenziale con il PIL, nasconde una verità pericolosa. Infatti, la costanza di rapporto della presente spesa rispetto al PIL, quando il PIL diminuisce di quasi 4 punti percentuali, significa una contrazione equivalente delle prestazioni. II problema della spesa sociale rimane uno dei nodi della crisi, che deve essere valutato in termini di livello adeguato e di efficacia;
            il Governo prevede un andamento delle entrate difficile da condividere. Le maggiori entrate sono interamente imputabili alla crescita delle imposte indirette, ma dato l'andamento dei consumi e degli investimenti è realmente difficile crederlo soprattutto se consideriamo l'andamento dell'IVA nel 2012;
            nell'esercizio contro fattuale sull'impatto macroeconomico delle riforme, si stima una maggiore crescita dell'1,6 per cento nel 2015, del 3,9 per cento nel 2020, mentre nel lungo periodo, l'effetto macroeconomico sarebbe del 6,9 per cento. Sono soprattutto le privatizzazioni-liberalizzazioni a fornire il maggior contributo nel lungo periodo di 4,8 punti percentuali. La riforma del mercato del lavoro invece ha un impatto significativamente più contenuto: nel lungo periodo è di 1,4, mentre per il 2015 è dello 0,4 per cento. A dimostrazione che la riforma Fornero del mercato del lavoro non era così indispensabile;
            infatti, il problema del mercato del lavoro non è l'offerta, ma la domanda contenuta e dequalificata delle imprese, soprattutto se consideriamo il profilo formativo dei giovani; il Presidente Letta ha parlato di riforma dei contratti a termine, evitando accuratamente di sottolineare che la qualità dell'offerta dei giovani è troppo alta rispetto alla domanda. Un problema che riflette la specializzazione produttiva delle imprese italiane, che dal 1996 crescono meno di quelle medie europee perché producono beni e servizi a bassissimo contenuto tecnico; la maggior parte dell'innovazione è importata dall'estero. Il caso più eclatante è quello dei pannelli solari e delle energie rinnovabili: su 100 pannelli installati nel nostro Paese, 98 sono importati, 1 è costruito da una impresa straniera con stabilimento in Italia e l è realizzato da un'impresa italiana;
            la riduzione del costo del lavoro italiano, già tra i più bassi a livello europeo e con gli orari di lavoro più lunghi non potrà dare grandi risultati, anche considerando che il nostro Paese ha già perso il 25 per cento della propria base produttiva. Il punto fondamentale è creare nuove imprese per realizzare beni e servizi coerenti con il mercato internazionale e con la formazione dei nostri studenti;
            un importante contributo a questo proposito è rappresentato dal Piano del Lavoro elaborato dalla Cgil che prevede interventi a favore della domanda effettiva, sostenendo investimenti e redditi da lavoro, consumi e beni collettivi;
        premesso inoltre che:
            la filosofia sotto stante al DEF 2013 e che ha ispirato le politiche dei Governi Berlusconi e Monti, fa capo ad alcune premesse teoriche che ispirano le politiche di austerità e che cominciano a mostrare anche agli occhi di osservatori, non certo sospettabili di «progressismo», come il FMI, tutti i loro limiti;
            l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;
            la recente messa in dubbio dei dati alla base delle tesi di Reinhart e Rogoff sul nesso tra stock del debito e mancata crescita, appare tanto più rilevante in quanto esse costituivano una delle basi teoriche più importanti su cui venivano sostenute in sede di Unione europea le politiche di austerità in atto. Non si tratta peraltro del primo colpo teorico all'edificio, dal momento che già mesi fa l'Fmi aveva messo in rilievo, quantificandole, le rilevanti conseguenze negative che una diminuzione della spesa pubblica di un paese ha sul PIL. Infatti, la sostenibilità del debito pubblico dipende nei fatti da molti possibili fattori, e non da uno solo: entrano in gioco i tassi di interesse, il tasso di crescita dell'economia, la percentuale del debito detenuta da operatori esteri, il regime dei cambi, le caratteristiche specifiche dell'economia, la disponibilità di asset con valore di mercato, e così via;
            è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media dell'eurozona. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati - a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila - meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
            non si risolverà certo la crisi con le politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (vedi Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo, e l'austerità porterà quindi ad un calo del PIL maggiore del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/PIL;
            ma neanche le classiche politiche keynesiane che erano tarate su uno Stato nazionale ancora in gran parte in possesso delle principali leve della politica economica possono da sole rappresentare una via d'uscita dalla crisi: occorre anche fare riferimento ai vincoli ed alle opportunità indotti dalla crisi ambientale. Non ha molto più senso ragionare su meri aggregati monetari, senza tenere conto che nessuna politica economica è più praticabile senza una contestuale politica industriale che orienti e condizioni l'oggetto delle produzioni e le modalità (individuali o collettive) del consumo di molti beni e servizi. La grande sfida di oggi è pensare ad un New Deal verde volto alla riconversione ecologica del sistema produttivo,
        impegna il Governo:
        A livello europeo
            a) a proporre misure e provvedimenti che delineano una vera unione politica del continente con un ruolo maggiore del Parlamento europeo;
            b) a modificare il trattato sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto «Fiscal compact», concordando con i partner europei misure sostanziali a favore della crescita, e prevedere una parziale europeizzazione del debito sovrano per la quota che supera il 60 per cento del PIL, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani; chiedere - per lo meno - lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e per l'avvio della riduzione dello stock del debito e/o l'esclusione di alcune spese per investimento dai saldi del Patto di stabilità; la riforma del fiscal compact deve innanzitutto prevedere, come è stato oggi deciso in favore della Spagna, la possibilità di un rientro più morbido e dilazionato nel tempo del debito sovrano, in particolare appare irrealistico per l'Italia il rientro dal 2015 di oltre 15 miliardi all'anno attraverso dismissioni immobiliari;
            c) a concordare con gli organismi dell'Unione europea l'applicazione della golden rule che escluda dalle regole di spesa, introdotte dal Patto di stabilità e crescita rivisto nel 2011, gli investimenti degli enti territoriali nei seguenti campi:
                riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
                interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
                messa in sicurezza degli edifici scolastici;
                recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
                interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
                potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo ragionale e al trasporto su ferro;
                interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili.
            d) ad utilizzare a livello europeo una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond, per finanziare e promuovere l'occupazione giovanile e la riconversione ecologica del sistema produttivo;
            e) a ridefinire il ruolo della BCE come prestatrice di ultima istanza;
            f) a promuovere nell'ambito della Difesa comune europea i Corpi civili di pace e la costituzione di un esercito unico che permetta la riduzione delle Forze Armate nazionali con la conseguente drastica riduzione delle spese militari italiane;
            g) a promuovere insieme agli altri partner continentali azioni concrete per promuovere uno sviluppo sostenibile, maggiore competitività e coesione sociale, indicando in tutte le sedi europee la chiara esigenza di un programma europeo:
                1) che abbia chiare priorità di investimenti nella economia reale e nel rilancio, in particolare nei paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, del mercato interno tramite una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda;
                2) che avvii in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal settore energetico e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
                3) che promuova un'iniziativa europea per combattere la disoccupazione giovanile;
        Sul terreno nazionale
            anche se non si ottenesse una dilazione degli impegni per il rispetto del fiscal compact, ad intervenire comunque, in considerazione della pesante crisi in cui è immerso il nostro Paese, con le seguenti misure nazionali per uscire dalla recessione e promuovere un modello di politica economica che faccia leva prioritariamente sullo sviluppo della domanda interna e rilanci l'occupazione:
                - una spesa pubblica aggiuntiva di 20-30 miliardi di euro (oltre ai già previsti 40 miliardi di rimborsi alle imprese) per i prossimi due-tre anni, in particolare per promuovere un Piano straordinario per il lavoro, con entrate da fonti che non riducono il reddito del Paese;
                - la redistribuzione del peso fiscale dai redditi bassi alle rendite ed ai patrimoni che avrebbe un benefico effetto espansivo;
                - l'utilizzo dei fondi della CDP che potrebbero finanziare un programma di «piccole opere» di investimenti degli enti locali, restando fuori dal bilancio consolidato delle pp.aa. valido per il calcolo dell'indebitamento netto;
                - la revisione del Patto di stabilità interno per consentire gli investimenti degli enti territoriali;
                - il superamento, con l'introduzione di nuovi parametri, dell'utilizzo di modelli e indicatori economici inadeguati nella valutazione reale della congiuntura economico-sociale e di sostenibilità ambientale del Paese;
                - interventi sulle emergenze sociali quali la proroga delle CIG e delle mobilità in deroga almeno fino alla fine del 2013, garanzie reddituali per tutti gli esodati, il rinnovo dei contratti per i precari della PA impiegati in servizi, il non passaggio dell'aliquota standard dell'IVA dal 21 al 22 per cento, il rinnovo dei contratti di servizio con alcune aziende pubbliche, la riorganizzazione della Tares, anche rinviando l'entrata in esercizio del tributo e favorendo pratiche virtuose nella gestione dei rifiuti;
                - a sospendere l'entrata in vigore del DPR concernente il regolamento recante la disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS) in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, nei cementifici e alla contestuale abrogazione del Decreto 14 febbraio 2013, n. 22;
                - a favorire il raggiungimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 sulla quota del 20 per cento di fonti rinnovabili e sull'efficienza energetica attraverso:
                la riduscussione della SEN;
                la proroga, di almeno un anno, fino al 30 giugno 2014, delle detrazioni fiscali delle spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio (articolo 16-bis del TUIR introdotto dall'articolo 4 del decreto legge 201 del 2011), nello specifico gli interventi compresi nella lettera h) relativi alla realizzazione di opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici con particolare riguardo all'installazione di impianti basati sull'impiego delle fonti rinnovabili che utilizzano componentistica made in UE nonché estensione delle detrazioni ai detentori di partita iva, alle aziende artigiane e commerciali che utilizzano comunque componentistica principale di provenienza UE;
                prevedere un nuovo conto energia per impianti residenziali di taglia domestica con utilizzo componentistica principale UE, autoalimentato dai risparmi sui costi di dispacciamento, di non programmabilità e di sbilanciamento, generati tramite la promozione dell'utilizzo dei dispositivi di accumulo (grid parity). Un intervento dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas in questa direzione consentirebbe di utilizzare i risparmi di accumulo come risorsa per promuovere nuovi impianti di piccola taglia. Si stima un risparmio complessico intorno a 100 milioni di euro annui che consentirebbe l'installazione di oltre 300.000 impianti all'anno di taglia residenziale (3kw);
                modificare le regole che attualmente limitano le SEU (sistemi efficienti di utenza) e le Reti Private, consentendo di accedere ad esse anche a più impianti associati di produzione entro un limite di distanza e potenza non punitivo (10 MW ed a valle di un nodo di trasformazione BT/MT). In questo modo, senza alcuna incentivazione diretta, gli impianti più efficienti potranno accedere a condizioni di vendita diretta che li renderanno competitivi;
                eliminare il rimborso del rischio petrolifero previsto per le trivellazioni;
                puntare sui terminali di importazione di metano liquido per i rigassificatori;
                prevedere per tutti gli enti della PA l'obbligo di interventi per l'efficienza energetica da finanziare attraverso fondi di garanzia finalizzati esclusivamente al risparmio energetico con rate di ammortamento inferiori al risparmio raggiunto;
                prevedere un cronoprogramma per la dismissione di centrali ad olio combustibile e centrali a carbone partendo da quelle più vecchie per risolvere l'over capacity;
                incentivare la geotermia a ciclo interamente chiuso e prevedere lo stesso quantitativo di conto energia ma spostare il termine da 3 a 6 anni.
            Attuare un Piano straordinario per il lavoro che preveda misure per creare da subito centinaia di migliaia di posti di lavoro veri, qualificati, utili. L'asse di un Piano per il lavoro, deve consistere innanzitutto nella messa in sicurezza del nostro territorio e degli edifici scolastici, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, il rilancio di un'agricoltura multifunzionale, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, alla riforma e al rinnovamento della PA e del welfare, all'innovazione e alla sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese, ...).
        Il Piano si dovrà articolare nei seguenti interventi:
            a) un piano straordinario pluriennale per la difesa del suolo e la bonifica del territorio quale vera e prioritaria opera infrastrutturale in: grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale, anche attraverso l'affidamento dei lavori di manutenzione agli agricoltori. Solo nell'ultimo triennio lo Stato ha stanziato circa un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici Regioni. Per la prevenzione invece, sono stati stanziati solo 2 miliardi di euro in 10 anni, laddove il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro. Considerando che la messa in sicurezza del territorio comporta delle spese iniziali che saranno poi più che ampiamente compensate dai benefici anche economici in termini di minori spese post-calamità, il Governo dovrà negoziare con la UE una disposizione transitoria (ad esempio di 5 anni) per mettere questi investimenti fuori dal Patto di stabilità. In parallelo, lo stesso criterio deve essere seguito per il Patto di stabilità interno nei confronti delle spese analoghe degli enti territoriali;
            b) l'avvio di un piano occupazionale e di ripopolamento delle campagne, delle aree montane e collinari abbandonate che preveda una franchigia fiscale totale per i giovani agricoltori che si insediano nelle aree demaniali in stato di abbandono; immediato sblocco del bando di affidamento, sia in affitto che in comodato, delle aree pubbliche e demani ali ai giovani; incentivi per la promozione dell'agricoltura sociale quale aspetto della multifunzionalità delle attività agricole, allo scopo di facilitare l'accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire ai soggetti svantaggiati, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e, in particolare, nelle zone rurali; aumento del 10 per cento, entro cinque anni, della copertura del fabbisogno alimentare nazionale, anche con politiche di salvaguardia del suolo agricolo e delle risorse naturali; interventi straordinari a sostegno delle fasce di popolazione a rischio povertà per garantire che ciascuno in Italia abbia sempre cibo a sufficienza; dimezzamento della burocrazia a carico delle imprese agricole attuando misure per un rapido processo di digitalizzazione della PA, per il coordinamento delle competenze nazionali e regionali e per l'unificazione di tutti gli adempimenti nel fascicolo aziendale; creazione di un marchio «100 per cento Italia» da promuovere e tutelare in tutto il mondo; incentivare filiere agroalimentari gestite dagli agricoltori e sostenere una vera internazionalizzazione che premi il lavoro, le imprese e il territorio italiani, disincentivando tutte le forme di delocalizzazione;
            c) un concorso straordinario (che preveda anche l'accesso degli attuali precari) per l'assunzione di giovani nelle pubbliche amministrazioni che erogano e gestiscono servizi;
            d) la riunificazione e l'incremento dei fondi per i crediti d'imposta per l'assunzione di giovani e donne, nonché il rifinanziamento del Fondo per l'occupazione giovanile (tramite il rifinanziamento del Fondo Kyoto) nella green economy scaduto il 26 aprile 2013;
            e) la messa in opera di un piano straordinario per l'occupazione giovanile con l'impiego o l'intervento pubblico per produrre beni e servizi collettivi e pubblici;
            f) la definizione di interventi prioritari di politica industriale (tra i quali la proroga delle detrazioni fiscali per l'efficientamento energetico degli edifici);
            g) l'incentivazione della riduzione dell'orario con i contratti di solidarietà;
            h) la previsione di un reddito minimo garantito per i soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione;
        oltre ai risparmi detti ed ai proventi di alcune imposte (tasse ambientali, incrementi dei canoni di concessione, TTF, ...) ad ottenere altre risorse per il Piano per il lavoro da:
            - il riordino e la riduzione dell'ammontare delle agevolazioni e dei trasferimenti alle imprese a fronte della loro incerta efficacia;
            - l'utilizzo di una parte delle risorse delle fondazioni bancarie, in particolare per quanto concerne il welfare;
            - l'utilizzo programmato dei Fondi europei;
            - l'utilizzo dei Fondi pensione attraverso progetti per favorire la canalizzazione dei flussi di risparmio verso il finanziamento degli investimenti di lungo periodo, garantendone i rendimenti previdenziali;
            - un nuovo ruolo per la Cassa Depositi e Prestiti, sull'esempio francese, che deve consolidare la missione di utilizzare le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i capitali, su investimenti strategici e di lungo periodo, modificando il ruolo del Fondo strategico italiano. Si dovrà prevedere l'istituzione di una banca d'investimento d'interesse pubblico, di una «banca verde», sull'esempio della Green Investment Bank inglese;
            - finanziamenti per circa 25-27 miliardi si dovranno ottenere da una variante nazionale del programma cosiddetto «Bankoro» illustrato da Alberto Quadrio Curzio: se Bankitalia trasferisse il proprio oro (valore al 31 marzo 2013 pari a 98 miliardi di euro) ad un'entità controllata, le riserve da rivalutazione auree sarebbero realizzate e quindi assoggettate ad imposta (Ires, aliquota del 27,5 per cento). Il Mef potrebbe utilizzare tali proventi fiscali per nazionalizzare la proprietà della Banca d'Italia, per ricapitalizzare la CDP che potrebbe, a sua volta, contribuire a finanziare adeguatamente le misure del Piano per il lavoro ed a creare anche un Fondo per il credito alle PMI;
        ridurre le spese con le seguenti misure:
            a) revisione delle priorità della legge obiettivo (ossia le grandi opere pubbliche): investire le limitate risorse pubbliche disponibili in opere infrastrutturali che siano realizzabili in tempi certi e con modalità sostenibili, sia in termini di vincoli di bilancio, che, soprattutto, dal punto di vista ambientale e sociale, procedendo innanzitutto a riequilibrare le risorse di provenienza pubblica tra quelle destinate alla costruzione di grandi opere e quelle devolute ad un programma di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, con particolare riferimento ad interventi di manutenzione in ambito stradale e ferroviario;
            b) riduzione delle spese militari a partire delle spese per sistemi d'arma (Fregate FREMM e F35); fine della missione militare in Afghanistan;
            c) chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione (CIE);
            d) uso di software open source per le pubbliche amministrazioni;
            e) riduzione dei costi della politica riducendo i livelli di governo (a partire dall'abolizione costituzionale delle province, aggregazione dei piccoli comuni), le auto blu, decurtando le società partecipate dallo Stato e dagli enti decentrati, riducendo il numero dei membri dei relativi CdA e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo drasticamente le consulenze, provvedendo altresì alla revisione dei compensi per i rappresentanti politici, nonché riformando radicalmente le attuali norme per i rimborsi elettorali ai partiti, nonché la progressiva eliminazione del ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni, eccetera;
        sul terreno fiscale:
            a) a riprendere quanto prima la discussione del disegno di legge sulla delega fiscale, interrottasi prematuramente nel corso della scorsa legislatura, per arrivare alla promulgazione di un nuovo Testo Unico che metta ordine nel confuso panorama normativo, e che consentirebbe di migliorare il rapporto tra contribuente e amministrazione fiscale, e, soprattutto, di operare scelte che vadano nella direzione di una maggiore equità nella distribuzione del carico fiscale;
            b) a rafforzare le misure di contrasto all'evasione mediante il reinserimento del reato di falso in bilancio, di disposizioni relative all'abuso del diritto tributario ed il ripristino di una serie di efficaci norme di lotta all'evasione e all'elusione fiscale abrogate nelle ultime legislature; introdurre l'obbligo di procedere annualmente al controllo informatico dei codici fiscali sulla base dei saldi tra redditi dichiarati e spese e investimenti reali e finanziari a qualsiasi titolo effettuati, anche in relazione ad indici noti e trasparenti di «incoerenza» tra indicatori di consumi, investimenti e risparmi rispetto ai redditi dichiarati, anche a livello di nucleo familiare; impiegare ciò che si dovesse stabilmente recuperare dalla lotta all'evasione fiscale per ridurre il carico fiscale soprattutto in favore del lavoro dipendente e delle PMI, in modo alleggerire l'imposizione diretta sul lavoro ed abbassare una pressione fiscale certamente nemica della crescita di un tessuto produttivo tra i più trainanti del nostro Paese;
            c) a prevedere una sanatoria fiscale e contributiva degli immigrati non in regola;
            d) ad impedire che da provvedimenti futuri derivi un aumento della pressione fiscale complessiva oltre il tetto, già tristemente raggiunto a fine 2012, del 44 per cento del PIL;
            e) a prevedere una redistribuzione del carico fiscale dai redditi da lavoro, dal costo del lavoro per le imprese e dalla prima casa alle rendite ed ai patrimoni mediante le seguenti misure:
            - la riforma del catasto e il superamento dell'arretratezza del sistema di attribuzione delle rendite catastali;
            - la rimodulazione dell'Imu favorendo i proprietari della loro casa di abitazione meno abbienti e compensando la relativa perdita di gettito fiscale introducendo una graduale progressività aggiuntiva per la fascia dei cespiti immobiliari di valore catastale superiore;
            - la revisione della tassazione IMU sugli immobili degli enti ecclesiastici e degli enti non commerciali, preservando quelli strumentali alle attività di tipo istituzionale (es. culturale, ambientale, ricreativa, sociale, assistenziale, di solidarietà, ecc.), e la restituzione immediata dell'IMU versata in eccesso dalle imprese agricole, come previsto dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, e non ancora attuato;
            - l'aumento della progressività dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) prevedendo un'ulteriore aliquota per i redditi complessivi lordi che superano i 100 mila euro annui;
            - l'incremento delle detrazioni per lavoro dipendente e carichi familiari e la quota di assegni familiari, compensando il relativo onere anche con l'aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sui proventi da attività finanziarie;
            - l'alleggerimento graduale a favore delle piccole e medie imprese del carico fiscale sui fattori di produzione consentendo loro di dedurre dalla base imponibile IRAP la quota corrispondente al costo del lavoro;
            f) a provvedere ad una revisione del sistema fiscale che finalmente adegui il nostro Paese agli obiettivi di tutela ambientale che l'Europa ci chiede da tempo, spostando progressivamente il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese al consumo di risorse energetiche e naturali (cosiddetto «riciclaggio del gettito»), con l'obiettivo di promuovere crescita, competitività e occupazione, riducendo l'impatto ambientale delle attività produttive, attraverso l'adozione di una normativa in materia di fiscalità ambientale che favorisca pratiche virtuose di gestione del territorio e di uso delle risorse naturali, e preservi e salvaguardi l'equilibrio ambientale;
            g) a stabilire per quei contribuenti che realizzano un volume d'affari non superiore - per esempio - ad un milione di euro, che il pagamento dell'Iva debba essere effettuato al momento della effettiva riscossione del corrispettivo;
            h) a calmierare il continuo aumento del prezzo dei carburanti introducendo nel nostro ordinamento l'accisa mobile, meccanismo già introdotto con la legge Finanziaria del 2008 ma rimasto finora inapplicato, che sterilizza i perversi effetti moltiplicatori degli aumenti del prezzo industriale dei carburanti sull'IVA, al fine di sostenere il potere d'acquisto dei consumatori;
            i) a prevedere maggiori oneri per l'utilizzo di risorse pubbliche (concessioni);
            j) a stabilire l'inclusione nell'imponibile della Tassa sulle Transazioni Finanziarie di tutti i derivati;
            k) a sopprimere molte delle agevolazioni fiscali generiche ed inutili alle imprese;
        oltre al Piano del lavoro e all'istituzione di un Fondo per l'erogazione del credito alle PMI, che dovranno privilegiare le regioni ad obiettivo convergenza, a prevedere:
            a) la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
            b) lo sfruttamento del potenziale che ha il Sud per la produzione di energie tramite fonti rinnovabili attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come attualmente previsto dal V conto energia, ma limitata ai parchi solari su terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche, per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
            c) l'estensione dell'incremento della capacità di spesa dei Fondi comunitari delle Regioni obiettivo convergenza, oggetto del DEF e del decreto legge sui pagamenti della PA, anche alle quote statali e regionali; non ci si può, infatti, limitarsi ai 1800 milioni di «nettizzazione» della quota di cofinanziamento europeo;
            d) l'avvio di un'innovativa riprogrammazione del Fondi strutturali europei, sulla scia di quanto inaugurato dal precedente Ministro per la coesione territoriale non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, con la concentrazione su alcuni obiettivi prioritari che non dovrà comunque prescindere dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici Nord-Sud e EstOvest;
            e) un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
        ad attuare, infine, nel corso della legislatura, le seguenti indispensabili riforme:
            a) promuovere e sostenere una rapida approvazione di una legge efficace per contrastare i conflitti di interessi;
            b) ripristinare e rafforzare il controllo di legalità in tutto il ciclo economico pubblico e privato in cui tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti siano assunti come punti di forza nella lotta alle mafie (norme più incisive in tema di anticorruzione, riforma del codice degli appalti per contrastare l'infiltrazione mafiosa, maggior trasparenza nel finanziamento della politica, reintroduzione del reato di falso in bilancio), abrogando le leggi che premiano i comportamenti non virtuosi, quali i condoni e l'elusione fiscale, nonché la legge cosiddetta «ex-Cirielli» che, tra gli effetti negativi introdotti nel sistema, ha anche accorciato i tempi di prescrizione per gravi reati, dimezzandoli per la corruzione; limitare le condotte penalmente rilevanti ai fatti realmente gravi e punire con adeguate sanzioni amministrative le condotte illecite che non creano danni o allarme sociale; abrogare altresì l'articolo 10-bis del Testo Unico sull'immigrazione (il cosiddetto «reato di clandestinità») e la legge n. 49 del 2006 (legge Fini-Giovanardi sulle droghe) che prevedono una risposta penale, ovvero il carcere, per questioni che, invece, richiedono una risposta sociale; rinforzare gli strumenti di prevenzione, controllo, incentivare la celerità dei processi, nonché le misure alternative alla detenzione; promuovere concrete misure a tutela e sostegno delle vittime dei reati; procedere ad interventi incisivi sulla struttura e i tempi del processo civile, rinforzando inoltre gli strumenti di mediazione non obbligatoria e di risoluzione stragiudiziale delle controversie;
            c) promuovere una legge sulla rappresentanza sindacale; abolire l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 e ripristinare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; modificare la riforma del lavoro di cui legge n. 92/2012; modificare la contrarieranno delle pensioni Fornero; ripristinare la legge 17 ottobre 2007, n. 188, di contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco;
            d) innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, contrasto alla dispersione scolastica specie nel Mezzogiorno; politica del diritto allo studio; incrementare, nell'ambito del piano nazionale della ricerca, l'indicazione di misure volte al raggiungimento degli obiettivi europei relativamente alla percentuale di PIL, che dovrebbe raggiungere il 3 per cento entro il 2020, da investire nella ricerca e nello sviluppo;
            e) ripublicizzazione del servizio idrico, riorganizzazione dei servizi pubblici locali per bacini di utenza;
            f) adozione di ogni iniziativa utile affinché venga assicurato che gli istituti di credito, che beneficiano della garanzia di cui all'articolo 8 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, provvedano alla concessione del credito alle PMI ed alle famiglie, ingombrandone l'attività; rafforzare il Fondo centrale di garanzia per consentire maggiori finanziamenti alle PMI; stabilire limiti alla distribuzione dei dividendi e dei bonus a manager ed amministratori; introdurre il divieto delle vendite allo scoperto, regolamentare l'utilizzo dei derivati; adottare ogni iniziativa utile alla netta separazione tra le banche d'affari (che si occupano di trading, investimenti ad alto rischio, speculazioni, acquisizioni e scalate) e le banche commerciali (che ovviamente pensavano ai depositi dei clienti, a concedere prestiti e a far fruttare i depositi attraverso investimenti conservativi); rivedere il quadro degli accordi cosiddetti di «Basilea 3» in materia di requisiti patrimoni ali delle banche, distinguendo le banche d'affari, per le quali il rafforzamento patrimoniale è necessario, dalle banche commerciali, che potrebbero rinforzare il loro patrimonio più lentamente, concentrandosi invece sul credito ai privati;
            g) sviluppo di un vero programma di edilizia abitativa che ponga al centro l'offerta di alloggi di edilizia residenziale da destinare alle categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione; provvedere a un congruo rifinanziamento della legge 431/1998 per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per le fasce sociali più disagiate;
            h) rifinanziamento dei Fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto;
            i) rifinanziamento su base triennale del Fondo per la non autosufficienza, incrementando le risorse ad esso assegnate, attualmente del tutto inadeguate, ed incrementare le risorse assegnate al Fondo per le politiche sociali, e più in generale, reintegrare i tagli alle risorse per le politiche socioassistenziali e di sostegno alla famiglia;
            j) sostenere una rapida approvazione del disegno di legge delega elaborato dalla Commissione Rodotà per la riforma delle norme del codice civile relative ai beni comuni e pubblici;
            l) sospendere l'attuazione della delega per la riforma dello strumento militare per consentire al Parlamento di ridiscuterne i termini in relazione alla definizione di un nuovo modello di difesa;
            m) sostenere l'approvazione della riforma della legge sul Servizio Civile Nazionale per dare, ad almeno 50.000 giovani ogni anno, la possibilità di servire il Paese nel campo dell'assistenza, nella tutela del patrimonio artistico, ambientale e culturale, della protezione civile e della cooperazione;
            n) rimettere al centro la cultura e i beni culturali e paesaggistici per favorire la crescita sociale ed economica del Paese. Gli interventi devono riguardare politiche efficaci ed efficienti di tutela, promozione, fruizione e gestione sostenibile del patrimonio culturale italiano; ma anche l'investimento nella produzione culturale e creativa attraverso una progettazione strategica che coinvolga Stato, enti locali, operatori del settore e imprese
.
Allegato B
Congedi e missioni
Sono in congedo i senatori: Bubbico, Ciampi, Guerra, Malan, Pizzetti e Stucchi.
Gruppi parlamentari, variazioni nella composizione
Con lettera in data 30 aprile 2013 il Presidente del Gruppo Movimento 5 Stelle ha comunicato che il senatore Mastrangeli ha cessato di far parte del Gruppo medesimo. Pertanto il senatore Mastrangeli è componente del Gruppo Misto.
Gruppi parlamentari, Ufficio di Presidenza
Il Presidente del Gruppo parlamentare Grandi Autonomie e Libertà ha comunicato che il Gruppo stesso ha deliberato i seguenti incarichi per l'Ufficio di Presidenza:
Vicepresidente vicario: senatore Antonio Fabio Scavone;
Vicepresidente: senatore Giovanni Emanuele Bilardi;
Segretario: senatore Giovanni Mauro;
Tesoriere: senatore Giuseppe Compagnone.
Disegni di legge, annunzio di presentazione
Ministro affari europei
(Governo Monti-I)
Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2013 (587)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
Ministro affari europei
(Governo Monti-I)
Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013 (588)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
Ministro affari esteri
Ministro infrastrutture
Ministro lavoro
Presidente del Consiglio dei ministri
(Governo Monti-I)
Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 186 sul lavoro marittimo, con Allegati, adottata a Ginevra il 23 febbraio 2006 nel corso della 94ma sessione della Conferenza Generale dell'OIL, nonché norme di adeguamento interno (589)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
Ministro affari esteri
Presidente del Consiglio dei ministri
(Governo Monti-I)
Ratifica ed esecuzione del Protocollo d'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura relativo al funzionamento in Italia, a Perugia, dell'UNESCO Programme Office on Global Water Assessment, che ospita il Segretariato del World Water Assessment Programme, fatto a Parigi il 12 settembre 2012 (590)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
senatrice Vicari Simona
Modifica all'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in materia di sospensione dell'esecuzione forzata (591)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatrice Vicari Simona
Delega al Governo in materia di interventi a favore di donne ed altri soggetti vittime di violenza o abuso (592)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatrice Vicari Simona
Autorizzazione alla sepoltura delle salme dei Re d'Italia Vittorio Emanuele III e Umberto II nel Pantheon in Roma (593)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Vicari Simona, Caliendo Giacomo
Modifica al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di deducibilità e detraibilità delle spese relative al nucleo familiare (594)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Cardiello Franco, Villari Riccardo, Mussolini Alessandra, Fasano Enzo, Longo Eva, De Siano Domenico, D'Anna Vincenzo, Milo Antonio, Compagna Luigi, Amoruso Francesco Maria, Gentile Antonio, Viceconte Guido, Fazzone Claudio, Caliendo Giacomo, Aiello Piero, Razzi Antonio, Chiavaroli Federica
Disposizioni in materia di soppressione dei tribunali per i minorenni, nonché disposizioni in materia di istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori presso i tribunali e le corti d'appello e di uffici specializzati delle procure della Repubblica presso i tribunali (595)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Cardiello Franco, Villari Riccardo, Mussolini Alessandra, Fasano Enzo, Longo Eva, De Siano Domenico, D'Anna Vincenzo, Milo Antonio, Razzi Antonio, Compagna Luigi, Amoruso Francesco Maria, Gentile Antonio, Viceconte Guido, Fazzone Claudio, Caliendo Giacomo, Chiavaroli Federica, Floris Emilio, Aiello Piero, Mandelli Andrea, Esposito Giuseppe, Minzolini Augusto
Modifica all'articolo 348 del codice penale in materia di inasprimento della pena per l'esercizio abusivo della professione (596)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatori Cardiello Franco, Villari Riccardo, Mussolini Alessandra, Fasano Enzo, Longo Eva, De Siano Domenico, D'Anna Vincenzo, Milo Antonio, Razzi Antonio, Compagna Luigi, Amoruso Francesco Maria, Gentile Antonio, Viceconte Guido, Fazzone Claudio, Caliendo Giacomo, Aiello Piero, Esposito Giuseppe, Chiavaroli Federica
Disposizioni in materia di personale addetto ai centri di prima accoglienza ed alle comunità per i minorenni (597)
(presentato in data 30/4/2013 ) ;
senatore Colucci Francesco
Modifiche al codice civile in materia di cognome dei figli (598)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
senatore Colucci Francesco
Disposizioni concernenti la raccolta e l'utilizzo delle cellule staminali da cordoni ombelicali a fini terapeutici e di ricerca (599)
(presentato in data 02/5/2013 ) ;
senatore Stefano Dario
Norme in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo (600)
(presentato in data 03/5/2013 ) ;
senatrice Bertuzzi Maria Teresa
Introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale in materia di tortura (601)
(presentato in data 03/5/2013 ) ;
senatrice Pezzopane Stefania
Modifica al decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, in materia di riconversione del comparto bieticolo saccarifero (602)
(presentato in data 06/5/2013 ) ;
senatori Alberti Casellati Maria Elisabetta, D'Ambrosio Lettieri Luigi, Cassano Massimo, Bruno Donato, Bonfrisco Anna Cinzia, Rizzotti Maria, Esposito Giuseppe, Iurlaro Pietro, Dalla Tor Mario, Bernini Anna Maria, Caliendo Giacomo, Liuzzi Pietro
Modifica all'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni, in materia di innalzamento del limite all'uso del contante (603)
(presentato in data 06/5/2013 ) .
Documenti, presentazione di relazioni
A nome della Commissione speciale per l'esame dei disegni di legge di conversione di decreti-legge e di altri provvedimenti urgenti presentati dal Governo, sono state presentate:
dalla senatrice Rita Ghedini, la relazione sul "Documento di economia e finanza 2013" (Doc. LVII, n. 1-A);
dal senatore Molinari, la relazione di minoranza sul "Documento di economia e finanza 2013" (Doc. LVII, n. 1-A/bis).
Governo, trasmissione di atti
Il Ministro della difesa, con lettera in data 10 aprile 2013, ha inviato, ai sensi dell'articolo 536, comma 1, del codice dell'Ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, come modificato dalla legge 31 dicembre 2012, n. 244, il Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015 (Atto n. 23).
Governo, nomina di Sottosegretari di Stato
Il Presidente del Consiglio dei ministri, in data 3 maggio 2013, ha inviato la seguente lettera:
"Onorevole Presidente,
informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei Ministri, ha nominato i seguenti Sottosegretari di Stato:
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri:
on. dott.ssa Maria Teresa AMICI;
on. Michaela BIANCOFIORE;
dott.ssa Sabrina DE CAMILLIS;
ing. Walter FERRAZZA;
on. avv. Giovanni LEGNINI;
sig. Gianfranco MICCICHE';
agli Affari esteri:
on. dott. Bruno ARCHI;
dott.ssa Marta DASSU';
sig. Mario GIRO;
on. dott. Lapo PISTELLI;
all'Interno:
on. dott. Gianpiero BOCCI;
sen. dott. Filippo BUBBICO;
dott. Domenico MANZIONE;
alla Giustizia:
on. avv. Giuseppe BERRETTA;
dott. Cosimo Maria FERRI;
alla Difesa:
on. dott. Gioacchino ALFANO;
sen. prof.ssa Roberta PINOTTI;
all'Economia e alle finanze:
on. Pier Paolo BARETTA;
on. dott. Luigi CASERO;
on. dott. Stefano FASSINA;
on. dott. Alberto GIORGETTI;
allo Sviluppo economico:
dott. Carlo CALENDA;
prof. Antonio CATRICALA';
prof. Claudio DE VINCENTI;
sen. dott. Simona VICARI;
alle Politiche agricole alimentari e forestali:
on. Giuseppe CASTIGLIONE;
dott. Maurizio MARTINA;
all'Ambiente e alla tutela del territorio e del mare:
sig. Marco Flavio CIRILLO;
alle Infrastrutture e ai trasporti:
dott. Erasmo DE ANGELIS;
dott. Vincenzo DE LUCA;
sig. Rocco GIRLANDA;
al Lavoro e alle politiche sociali:
on. dott. Carlo DELL'ARINGA;
sen. prof.ssa Maria Cecilia GUERRA;
on. dott.ssa Jole SANTELLI;
all'Istruzione, all'università e alla ricerca:
dott. Gianluca GALLETTI;
dott. Marco ROSSI-DORIA;
dott. Gabriele TOCCAFONDI;
ai Beni e alle attività culturali:
on. dott.ssa Ilaria Carla Maria BORLETTI DELL'ACQUA;
dott.ssa Simonetta GIORDANI;
alla Salute:
sig. Paolo FADDA;
F.to Enrico Letta".
Interrogazioni, apposizione di nuove firme
I senatori Micheloni e Granaiola hanno aggiunto la propria firma all'interrogazione 3-00043 della senatrice Fabbri ed altri.
Il senatore Martini ha aggiunto la propria firma all'interrogazione 3-00040 della senatrice Fedeli ed altri.
Interrogazioni
FRAVEZZI - Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, in attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, all'articolo 15, istituisce un sistema di qualificazione degli installatori di impianti che operano nel settore dell'energia da fonti rinnovabili: fotovoltaico, a biomasse, solare termico, pompe di calore e geotermia, che impedisce a larga parte degli stessi di potersi qualificare;
il richiamato art. 15 precisa che la qualifica professionale necessaria è conseguita col possesso dei requisiti tecnico professionali di cui, in alternativa, alle lettere a), b) o c) del comma 1 dell'articolo 4 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37;
tale normativa esclude senza motivazione gli installatori che hanno ottenuto i requisiti di cui alla lettera d) dell'art. 4 dello stesso decreto ministeriale (prestazione lavorativa svolta, alle dirette dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la prestazione dell'operaio installatore per un periodo non inferiore a 3 anni, escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato);
considerato che:
la norma è lacunosa in quanto nulla dispone in merito alle posizioni giuridiche dei suddetti responsabili tecnici (titolari o dipendenti), qualificati in base all'art. 4, lettera d), del decreto ministeriale n. 37 del 2008, esistenti precedentemente e contemporaneamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 28 del 2011;
la disposizione, inoltre, non fa alcun riferimento all'abilitazione che la normativa vigente riconosce in capo ai responsabili tecnici, che abbiano lavorato per almeno 3 anni in qualità di operaio specializzato, maturando un'esperienza professionale abitualmente non inferiore a 10 anni di attività nel settore;
a quanto risulta all'interrogante l'effetto della normativa sarebbe dunque l'implicito impedimento ai soggetti che hanno svolto esclusivamente un'esperienza professionale, ai sensi dell'art. 4, lettera d), del predetto decreto ministeriale, viene impedito, a far data dal 1° agosto 2013, di continuare a svolgere la loro consueta attività di installazione di pannelli solari o fotovoltaici, a biomasse, solari termici, pompe di calore e geotermici, perché esclusi dal campo di applicazione dell'art. 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011;
la normativa appare in palese contrasto non soltanto con altre normative vigenti, ma anche con il diritto comunitario, poiché tale esclusione non solo non trova alcun fondamento nella direttiva 2009/28/CE ma si pone in palese violazione del principio comunitario di libera concorrenza e di quello costituzionale di uguaglianza sostanziale;
considerato altresì che:
per effetto della normativa ad un responsabile tecnico di un'impresa (titolare o dipendente), che installa da anni impianti del settore FER, attualmente qualificato in base al predetto criterio, verrebbe di diritto impedito di proseguire l'attività svolta da prima dell'entrata in vigore dei nuovi requisiti;
nell'attuale fase di crisi economica, si avrebbe il paradossale ed immotivato risultato di negare ad oltre 80.000 imprese attualmente in attività la possibilità di qualificarsi e di continuare ad operare in uno dei pochi settori di mercato che mostra ancora potenzialità di crescita, pur attraversando un momento di appannamento rispetto alle performance degli ultimi anni,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda attivarsi al fine di effettuare con urgenza una modifica legislativa che consenta ai responsabili tecnici (titolari o dipendenti) già abilitati ai sensi dell'art. 4, lettera d), del decreto ministeriale n. 37 del 2008, di poter continuare a svolgere la loro attività anche successivamente al 1° agosto 2013, data di entrata in vigore dei nuovi requisiti previsti dall'art. 15, del decreto legislativo n. 28 del 2011;
se ritenga di prevedere per gli stessi, a far data dal 1° agosto 2013, esclusivamente l'obbligo di frequenza al corso di aggiornamento obbligatorio a norma dell'allegato 4 al decreto legislativo n. 28 del 2011, punto 1, lettera f).
(3-00045)
Interrogazioni orali con carattere d'urgenza ai sensi dell'articolo 151 del Regolamento
ORELLANA, CIOFFI, TAVERNA, ENDRIZZI, BOTTICI, SERRA, BENCINI, MOLINARI, PETROCELLI - Al Ministro dell'interno - Premesso che:
sono convocati per i giorni di domenica 26 maggio e lunedì 27 maggio 2013 i comizi elettorali per lo svolgimento dell'elezione diretta del sindaco e del Consiglio comunale di Alagna Lomellina (Pavia);
come risulta dall'albo pretorio del medesimo Comune, alla competizione elettorale locale si sono presentate due liste, politicamente riconducibili alla estrema destra denominate: «Movimento Fascismo e libertà» e «Movimento Nazionalista e Socialista dei Lavoratori»;
a giudizio degli interroganti, al netto dei programmi politici ed elettorali delle suddette liste, ascrivibili a tematiche di marcata valenza territoriale ed amministrativa, le dizioni letterali si pongono apertamente in contrasto con la disciplina costituzionale ed ordinaria;
considerato che:
la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione dispone che «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»;
con sentenza del 6 marzo 2013, n. 1354, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che «il diritto di associarsi in un partito politico, sancito dall'art. 49 Costituzione, e quello di accesso alle cariche elettive, ex art. 51 Costituzione, trovano un limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione». Tenendo presente che: a) «detto precetto costituzionale, fissando un'impossibilità giuridica assoluta e incondizionata, impedisce che un movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche»; b) «l'attuazione di tale precetto, sul piano letterale come sul versante teleologico, non può essere limitata alla repressione penale delle condotte finalizzate alla ricostituzione di un'associazione vietata ma deve essere estesa ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista»;
premesso altresì che, a giudizio degli interroganti, sotto il profilo dei possibili impatti pratico-operativi, gli artt. 30 e 33 del testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, nel fissare i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni e delle liste elettorali, presuppongono implicitamente la legittimazione costituzionale del movimento o partito politico alla stregua della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, tenendo conto che le disposizioni in parola si riferiscono a situazioni in astratto assentibili sul piano della superiore normativa costituzionale, senza fungere da garanzia per situazioni già vietate, in via preliminare e preventiva, dall'ordinamento costituzionale; pertanto, l'impossibilità che il movimento o l'associazione a cui si riferisce il simbolo o la lista partecipi alla vita politica postula, in via implicita ma necessaria, il potere della Commissione elettorale mandamentale di cui al citato testo unico di ricusare la lista o i simboli attraverso i quali si persegue il fine non conforme alla Costituzione. Non a caso, infatti, sono state dichiarate legittime la ricusazione del contrassegno e l'esclusione della lista in ragione del richiamo del partito fascista nel simbolo e nella dizione letterale,
si chiede di sapere:
se al Ministro in indirizzo risulti che le liste di cui in premessa siano state ammesse e, in caso positivo, quali risultino essere state le ragioni che hanno determinato, entro il giorno successivo a quello della presentazione delle candidature, la mancata ricusazione delle liste menzionate;
quali interventi urgenti il Ministro in indirizzo intenda porre in essere, anche attraverso l'Ufficio territoriale del Governo, al fine di impedire il perfezionamento del procedimento elettorale in itinere, riferito alla eventuale elezione di candidati appartenenti a liste presentate, a giudizio degli interroganti, in aperto contrasto con la Carta costituzionale e con la normativa vigente, come ribadito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato;
se non ritenga opportuno, ove dovesse risultare eletto un candidato delle liste suddette, promuovere ogni congrua iniziativa di propria competenza volta allo scioglimento del Consiglio comunale di Alagna Lomellina, in forza di atti contrari alla Costituzione e per gravi e persistenti violazioni di legge.
(3-00046)
D'AMBROSIO LETTIERI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze e per gli affari regionali e le autonomie - Premesso che:
l'Ente autonomo Fiera del Levante - ente pubblico economico avente rilievo internazionale - fondato nel 1929 dal Comune, dall'Amministrazione provinciale e dalla Camera di commercio di Bari, che opera principalmente al servizio del grande mercato centromeridionale, ma allarga il suo campo operativo anche al Sud-Est europeo ed all'area mediterranea, potrebbe e dovrebbe rappresentare un volano per l'economia dell'intera regione Puglia e di tutto il Centro-Sud del Paese;
l'Ente autonomo Fiera del Levante, la cui sede è Bari, ha come obiettivo, sancito nello statuto così come modificato dal Consiglio generale del 12 dicembre 2011, la gestione del proprio quartiere fieristico al fine di promuovere lo sviluppo economico della regione Puglia e più in generale dell'intera Italia;
la promozione delle iniziative fieristiche, rinnovate e specializzate di anno in anno, dovrebbe, quindi, nell'attività dell'Ente stesso, avere un ruolo strategico sul piano economico e favorire la promozione commerciale degli imprenditori in Italia e all'estero;
nelle more della piena attuazione della legge regionale 9 marzo 2009, n. 2, l'Ente autonomo Fiera del Levante organizza e gestisce eventi fieristici e/o congressuali sia nel proprio quartiere che altrove;
premesso, inoltre, che, a quanto risulta all'interrogante:
il bilancio per l'esercizio sociale 2011, approvato dal consiglio di amministrazione dell'ente in data 30 luglio 2012, evidenzia una perdita pari a 2.346.350 euro;
dall'analisi dei bilanci dell'ultimo triennio il Collegio dei revisori dei conti ha rilevato che vi sono state perdite rispettivamente pari a euro 4.116.232,51 per l'esercizio 2010, a euro 4.745.640,29 per l'esercizio 2009 ed a euro 867.050,43 per l'esercizio 2008;
per dette perdite, a far data dal 2008, è stato disposto il riporto a nuovo quale modalità di ripianamento dei disavanzi di gestione;
il Collegio dei revisori pro tempore, nella relazione annuale al bilancio consuntivo 2011, ha, inoltre, rilevato che l'Ente aveva licenziato il bilancio di previsione con il risultato a pareggio, ma che le risultanze del bilancio consuntivo si erano rivelate non in linea con le previsioni iniziali, chiudendo l'esercizio con una perdita pari ad euro 2.346.350;
i medesimi revisori, inoltre, per due esercizi consecutivi, hanno altresì rilevato nelle proprie relazioni al bilancio, che i risultati di gestione non consentivano di affermare che vi era continuità aziendale, per cui necessitavano interventi urgenti e concreti orientati al ripristino delle condizioni di bilancio utili per la continuità d'esercizio;
anche nelle relazioni della Società di revisione incaricata di certificare gli ultimi due bilanci dell'Ente, posta la particolare situazione economico finanziaria in cui l'ente versava, viene richiamata la valutazione della continuità aziendale;
l'esame della situazione contabile provvisoria al 31 dicembre 2012 evidenzia un rilevante peggioramento delle risultanze contabili, fatte salve eventuali variazioni di chiusura;
anche il bilancio di previsione 2013 non è stato presentato nei termini previsti;
il Collegio dei revisori ha quindi maturato il convincimento che sia venuta meno la sostenibilità del principio di continuità dell'ente;
nel piano triennale 2012-2014 della Fiera del Levante è evidenziato che la Fiera dovrà affrontare profondi cambiamenti e discontinuità;
premesso, infine, che:
il comma 4 dell'articolo 1 del citato statuto prevede che l'Ente non ha scopo di lucro nel rispetto del principio del pareggio di bilancio; il comma 2 dell'articolo 5 dello statuto rimarca che l'Ente è tenuto al pareggio d'esercizio;
l'esercizio finanziario dell'Ente, a norma dell'articolo 16 dello statuto, comincia il 1° gennaio e ha termine il 31 dicembre; il Consiglio generale approva entro il 31 maggio il bilancio dell'esercizio precedente ed entro il 15 dicembre il bilancio preventivo nonché la relazione previsionale e programmatica;
le disposizioni statutarie, quindi, nell'ottica del principio della continuità aziendale, richiederebbero, una serie di interventi aventi natura strutturale in grado di assicurare la stessa continuità aziendale;
la trasformazione dell'Ente Fiera in una prospettiva diversa dalle precedenti impostazioni, espressione di una nuova visione sociale e strutturale, non ha, ad avviso dei collegio dei revisori, prodotto i risultati programmati sul piano economico e finanziario;
rilevato che:
lo scorso aprile, il presidente dell'Ente autonomo Fiera del Levante, nominato con deliberazione del Consiglio regionale del 1° marzo 2011, si è dimesso dopo che il consiglio di amministrazione dell'ente medesimo gli aveva revocato le deleghe in sede di riunione per l'approvazione dei documenti contabili,
l'interrogante chiede di sapere:
se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto riportato e in particolare: se risulti l'esistenza di un piano di azione per l'Ente Fiera del Levante e se lo stesso sia adeguato a garantire la continuità aziendale dell'Ente stesso; se risulti la predisposizione del bilancio 2013; se risulti che la regione Puglia ha posto in essere tutte le attività di vigilanza a norma della legge regionale n. 2 del 2009 e, in caso negativo, se risultino i motivi per i quali non ha accertato eventuali violazioni in tema di organizzazione di manifestazioni non locali; quale risulti essere l'attuale situazione debitoria dell'Ente autonomo Fiera del Levante; se risulti che il Consiglio regionale intenda riunirsi per procedere alla nomina del nuovo presidente dell'Ente autonomo Fiera del Levante, in quali tempi e in base a quali criteri; se risultino irregolarità nella gestione dell'Ente autonomo Fiera del Levante e, in caso affermativo, a carico di chi e per quali fatti;
se ritengano, ove risultino accertate gravi irregolarità gestionali, di doverne dare comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti al fine di acquisirne le relative valutazioni di ordine economico-finanziario;
se e quali iniziative intendano porre in essere con urgenza al fine di concorrere al rilancio dell'Ente autonomo Fiera del Levante e, in conseguenza, dell'economia e dello sviluppo delle aree di interesse economico e finanziario.
(3-00047)
Interrogazioni con richiesta di risposta scritta
DE PIN - Al Ministro della giustizia - Premesso che Luigi Preiti, padre di un bambino di 11 anni, è il responsabile della sparatoria avvenuta davanti a Palazzo Chigi il 28 aprile 2013, che ha provocato il ferimento di due carabinieri e di una passante;
considerato che alcune reti televisive hanno realizzato un'intervista al figlio, al momento, presumibilmente, in uno stato psicofisico particolare, intervista a parere dell'interrogante inopportuna e che squalifica un certo modo di fare giornalismo;
rilevato che esistono regole elementari della professione, nonché obblighi deontologici e prescrizioni: in particolare si ricorda la Carta di Treviso, che regola diritti e doveri dei professionisti dell'informazione nei confronti dell'infanzia;
ritenuto che, a giudizio dell'interrogante:
l'undicenne, che al momento avrebbe bisogno di calore e silenzio e non certamente di pubblicità, ha invece subito un grave sopruso alla sua immagine, alla sua persona, alla sua intimità, per puro desiderio di sensazionalismo, senza alcuna remora morale, senza alcun rispetto della deontologia professionale;
sia necessario ritrovare sensibilità ed umanità per consentire ad un ragazzo di 11 anni, pure lui vittima inconsapevole ed innocente dell'agguato davanti a palazzo Chigi, di non subire danni aggiuntivi,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non intenda assumere iniziative al fine di esprimere, nel modo in cui riterrà opportuno, e comunque fermamente, contrarietà e condanna per il comportamento descritto, a giudizio dell'interrogante avverso a qualsiasi sentimento umano di considerazione ed empatia, nell'ottica di garantire il pieno rispetto della disciplina sulla privacy, del Codice dei giornalisti e della Carta di Treviso.
(4-00131)
BOTTICI - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali - Premesso che, a giudizio dell'interrogante::
la condizione lavorativa in cui versa il Paese è forse la più tragica dal dopoguerra ad oggi;
la recente riforma pensionistica introdotta con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, cosiddetto decreto salva-Italia, varata dal Governo Monti, ha proseguito nell'opera di disinteressamento nei confronti di alcune categorie di lavoratori, cui appartengono però milioni di persone (professionisti, lavoratori precari subordinati, dottori di ricerca, collaboratori a progetto, addetti alle vendite porta a porta) per le quali, per il periodo o i periodi lavorativi nei quali risultano assunte secondo queste tipologie di contratto, i contributi previdenziali sono stati versati presso l'Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) nella gestione separata istituita con legge n. 335 del 1995;
premesso altresì che:
il conseguimento del diritto all'accesso al trattamento pensionistico è subordinato alla maturazione da parte del lavoratore di un'anzianità contributiva minima, stabilita in trentacinque anni dalla legge n. 247 del 2007;
il lavoratore, che per tipologia di contratto lavorativo risulti contribuente della gestione separata presso l'Inps, e che termini la propria attività prima di aver maturato l'anzianità contributiva prescritta, non potrà quindi accedere al trattamento pensionistico corrispondente ai contributi previdenziali versati, che, definiti in questo caso "silenti", risulteranno dal lavoratore versati a fondo perduto;
ciò è quanto avviene per tutti quei lavoratori che, per esempio, dopo un periodo di lavoro precario o autonomo, riescono ad accedere ad un impiego a tempo indeterminato, come per tutte quelle donne che scelgono di interrompere un'attività lavorativa precaria per dedicarsi alla famiglia;
tali contributi silenti interessano oggi un'ampia fetta di cittadini, in gran parte i più svantaggiati per condizioni economiche, i precari, quelli di giovane età, quelli ignari del meccanismo della gestione separata, che non percepiranno in futuro le pensioni che spetterebbero loro per i periodi di lavoro trascorsi con contratti precari e atipici;
l'Ente previdenziale utilizza inoltre tali contributi versati negli anni per la gestione separata, ma non percepibili dal lavoratore che abbia mutato tipologia di impiego, per corrispondere i trattamenti ai contribuenti della gestione ordinaria che hanno maturato i termini per accedere al trattamento pensionistico;
rilevato che il direttore generale dell'Inps, dottor Mauro Nori, ha recentemente dichiarato (28 gennaio 2013) in una intervista rilasciata al quotidiano economico "Italia Oggi", che sono "diversi milioni" i lavoratori interessati da questo problema, e che, se l'Inps dovesse restituire i contributi silenti, "rischierebbe il default". Il quotidiano stima in circa 10 miliardi di euro la cifra oggetto di una tale ipotesi,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga necessario adottare gli opportuni atti normativi, e quali, relativamente alla questione descritta in premessa riguardante i cosiddetti contributi silenti, in modo tale che i medesimi siano finalizzati a garantire il riconoscimento ai fini previdenziali di ogni periodo di attività e di ogni tipologia di impiego per i quali il lavoratore abbia versato i contributi;
quale risulti essere l'ammontare totale dei cosiddetti contributi silenti, ovvero quei contributi previdenziali versati senza che gli stessi abbiano dato luogo alla maturazione di un corrispondente trattamento pensionistico, allo stato attuale e nella previsione dei prossimi anni.
(4-00132)
DE POLI - Al Ministro della giustizia - Premesso che:
l'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, stabilisce il riordino delle circoscrizioni giudiziarie e la revisione della struttura giudiziaria, prevedendo la chiusura di oltre 600 uffici di giudici di pace o, in alcuni casi, il loro accorpamento a quelli della principale città più vicina;
il 10 agosto 2012, il Consiglio dei ministri ha dato via libera definitivo ai decreti legislativi di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, prevedendo la soppressione di tutte le 220 sedi distaccate di tribunale, tra cui anche quella di Adria (Rovigo), la riduzione e l'accorpamento di 31 tribunali e disponendo la soppressione di 667 uffici di giudici di pace;
la definizione delle sedi che dovrebbero essere interessate dalla disposizione governativa non tiene in adeguata considerazione alcuni importanti aspetti, quali il numero degli abitanti del bacino di utenza, il carico di lavoro e l'estensione del territorio;
con riferimento alla sezione distaccata di Adria, si evidenzia chiaramente come la decisione del Governo abbia determinato estrema preoccupazione negli abitanti del territorio, tra gli amministratori locali e tra la cittadinanza. La soppressione determinerebbe infatti grande disagio ai cittadini della città e di tutte le città limitrofe che si trovano nell'area dei comuni del delta del Po che dovrebbero recarsi così al presidio di giustizia più vicino, anche solo per assolvere adempimenti, e ciò nonostante l'elevata distanza dal tribunale più vicino, ovvero Rovigo, difficilmente raggiungibile a causa della scarsità dei servizi di collegamento tra le due città;
organi di stampa locale ("Corriere del Veneto" del 19, 20 e 26 aprile 2013) riportano come i Comuni del delta, a causa dei numerosi tagli ai bilanci, non riescono a trovare un'intesa economica per il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Adria;
la sede del tribunale di Rovigo soffre per la carenza di giudici e non dispone di locali adeguati per svolgere la funzione di amministrazione della giustizia, e nell'ipotesi di accorpamento delle sedi distaccate si rischierebbe la paralisi giudiziaria,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno disporre la proroga della soppressione della sezione staccata di Adria, valutando altresì, qualora emergano le condizioni, la possibilità di rivedere l'attuale provvedimento.
(4-00133)
SCILIPOTI, AIELLO, CARIDI, GENTILE - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:
il progetto della "strada Mare-Monti" della Provincia di Reggio Calabria ha l'obiettivo di rinaturalizzare e riqualificare i tratti in dismissione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, tra le città di Bagnara e Scilla, attraverso il riutilizzo in parte delle due carreggiate esistenti;
i lavori diretti dall'Anas non riguardano semplicemente l'ampliamento della A3 preesistente, ma la realizzazione di un'autostrada moderna e sicura, integralmente distaccata da quella vecchia, sulla quale incombe una proposta di demolizione a giudizio dell'interrogante inutile;
la dismissione del tratto autostradale non solo sarebbe un inutile spreco, visto che l'opera è già stata realizzata, ma significherebbe anche privare la Calabria di un collegamento essenziale tra mare e monti e penalizzare pesantemente la viabilità interna tra i comuni coinvolti in quel tratto,
si chiede di sapere se, alla luce dell'imminente tavolo di confronto tecnico tra la Provincia di Reggio Calabria, la Prefettura e l'Anas per discutere della realizzazione della strada di sicurezza "Mare-Monti", il Ministro in indirizzo non ritenga di sospendere la demolizione del vecchio tratto della A3 che collega le città di Bagnara e Scilla, in attesa di verificare la fattibilità di tale progetto.
(4-00134)
PEPE - Al Ministro della salute - Premesso che:
in data 31 marzo 2013, grazie alla trasmissione di Rai 3 "Presa diretta", l'intera Italia ha preso coscienza del gravissimo pericolo per la salute pubblica rappresentato dall'inquinamento da policlorobifenili (Pcb), sostanze simili alla diossina di cui la rivista internazionale "Lancet Oncology", in data 14 marzo 2013, ha pubblicato la riclassificazione della IARC (International agency for research on cancer), che li indica come cancerogeni certi di classe I;
il Ministro della salute pro tempore, attraverso il confronto con i medici dell'ambiente della Regione Campania, ha preso coscienza e conoscenza che, in modo assolutamente differente da quanto riportato dalle autorità sanitarie locali, nelle province di Napoli e Caserta si registra da anni lo sversamento illegale, attraverso tir della camorra provenienti dal nord e non tracciati, di una moltitudine di pericolosissimi veleni industriali: tra gli altri risultano sversati nelle campagne quantitativi eccezionali di sostanze tipo policlorobifenili, riscontrate in abnormi concentrazioni nei terreni della Campania e in particolare a Giugliano, Acerra e Caivano sin dal 1992 (studi Sogin), e di cui nel febbraio 2013 si è riscontrata la presenza 70 volte oltre la media nei cavoli attualmente coltivati e diffusi nelle campagne di Caivano, che sono stati sequestrati e analizzati dalla guardia forestale regionale;
la conseguenza è un gravissimo inquinamento delle matrici organiche anche umane dei cittadini campani, e l'interrogante ha effettuato analisi tossicologiche individuali che mostrano valori di diossine e policlorobifenili superiori a quelli che, secondo quanto denunciato dalla trasmissione "Presa diretta", risultano dalle analisi dei cittadini bresciani: infatti a Brescia risultano sversati i residui di produzione non venduti dall'azienda Caffaro, mentre in Campania, come dimostrato da numerose indagini della magistratura (buone ultime quelle del processo cosiddetto "Carosello" appena terminato presso la procura di Napoli), sono invece stati raccolti e sversati tutti i Pcb prodotti e venduti in Italia dalla Caffaro, a seguito del dimostrato comportamento criminale della malavita locale, riscontrato grazie alle confessioni del pentito Vassallo;
l'interrogante non solo ha dovuto riscontrare nel proprio sangue valori eccezionalmente alti di Pcb, ma è anche affetto da patologie correlabili a tale inquinamento come cancro (linfoma non Hodgkin), diabete e sindrome dismetabolica. I cittadini della Campania ormai sono, con evidenza, colpiti più di quelli delle altre regioni da patologie quali diabete e cancro, dunque palesemente correlabili ad un rarissimo inquinamento ambientale con danno alla salute pubblica ancora in atto. Tali patologie non sono quindi, a parere dell'interrogante, attribuibili ai soli stili di vita individuali, come invece si è tentato di far credere;
sin dal 16 gennaio 2008 il tossicologo dottor Antonio Marfella, in audizione presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale del Senato, relazionava di tale eccezionale concentrazione di policlorobifenili e diossina, riscontrata sia nel proprio sangue sia in quello dei pastori di Acerra della famiglia Cannavacciuolo, ma sin dal 2008 la risposta dello Stato e della Regione Campania è stata pressoché nulla, sia in termini di accertamento del danno reale che di tutela della salute pubblica. Nella regione, a partire dal 2008, sono state effettuate soltanto 86 analisi di diossina e Pcb, per una popolazione esposta di circa 3 milioni di abitanti, a fronte del fatto che per i non più di 25.000 cittadini bresciani sono state effettuate non meno di 1.200 analisi individuali. Inoltre nessun cittadino campano può disporre presso le locali strutture sanitarie di analisi di diossina e PCB a carico dello Stato: è possibile rivolgersi soltanto, a proprie spese, a centri prelievi per l'esecuzione in laboratori certificati extra regionali, come ha dovuto verificare di persona l'interrogante,
si chiede di sapere:
se al Ministro in indirizzo risulti l'esistenza in Campania di strutture sanitarie accreditate, dove ai malati di cancro, la cui patologia possa essere riferita a inquinamento da policlorobifenili, sia possibile effettuare le necessarie analisi tossicologiche individuali;
se risulti che siano state approntate indagini epidemiologiche e tossicologiche individuali, eventualmente concordate con gli esperti dei medici per l'ambiente della Regione Campania, come il tossicologo Antonio Marfella;
che cosa sia stato fatto per inibire la coltivazione di campi inquinati da Pcb, come i terreni recentemente identificati a Caivano e coltivati a cavolfiori, ma come da anni accertato nei comuni limitrofi di Acerra e Giugliano;
se intenda attivarsi, d'intesa con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'interno, per assicurare la tracciabilità satellitare dei tir che ogni giorno, da nord verso sud, arrivano in Campania per sversare rifiuti tossici.
(4-00135)
STUCCHI - Ai Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali - Premesso che:
l'azienda tedesca Novem Car interior design SpA è fra i leader mondiali specializzati nella produzione di interni in legno per automobili d'alta gamma;
l'amministratore delegato Kumpf ha presentato il 22 febbraio 2012 il piano di riorganizzazione dello stabilimento di Bagnatica (Bergamo), a seguito dell'uscita dalla produzione di alcuni modelli di auto;
entro il corrente mese di maggio 2013 l'azienda procederà al licenziamento di circa 100 dipendenti, quasi la metà degli attuali lavoratori impiegati nella sede bergamasca;
le gravi conseguenze sull'occupazione, con le inevitabili ripercussioni sociali sul territorio orobico, si aggiungono alla pesante situazione di congiuntura economica negativa che ha fortemente colpito il tessuto produttivo della provincia di Bergamo,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo intendano convocare con urgenza un tavolo istituzionale con il gruppo Novem e i rappresentanti dei lavoratori, al fine di ogni utile soluzione che possa permettere ai dipendenti interessati di ottenere garanzie circa il loro futuro occupazionale;
quali iniziative intendano intraprendere affinché la proprietà Novem Car interior design SpA fornisca elementi utili per una corretta valutazione del proseguimento dell'attività di produzione nel territorio bergamasco, a seguito della presentazione del piano di ristrutturazione aziendale;
quali iniziative intendano promuovere per fare fronte alla crisi industriale e produttiva che da diversi anni investe pesantemente il comparto manifatturiero lombardo coinvolgendo migliaia di lavoratori.
(4-00136)
STEFANO - Al Ministro della giustizia - Premesso che:
la legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, recante "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", all'art. 1, commi da 2 a 5, prevede la delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi finalizzati alla riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari con obiettivi di risparmi di spesa e di incremento di efficienza e con l'osservanza - tra gli altri - dei seguenti principi e criteri direttivi: "a) ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011" e "d) procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi";
il decreto legislativo n. 155 del 2012, in attuazione del citato art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, ha stabilito che "sono soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al presente decreto". In sostanza, il provvedimento ha decretato la cancellazione (oltre che di 667 uffici dei giudici di pace) di 31 tribunali (non coincidenti con capoluoghi di provincia) e di 220 sezioni distaccate;
nella citata tabella A è ricompresa anche la sezione di tribunale che ha sede in Tricase, per la quale è stato previsto l'accorpamento al tribunale di Lecce;
il citato decreto legislativo ha previsto in via esplicita che le sezioni distaccate di tribunale destinate alla soppressione continueranno ad operare sino al 13 settembre 2013. Ha previsto altresì (art. 8) la possibilità di mantenere a disposizione del Ministero della giustizia per ulteriori cinque anni le strutture di proprietà comunale adibite a servizio degli uffici giudiziari soppressi, che siano state interessate da interventi edilizi finanziati ai sensi dell'art. 19 della legge n. 119 del 1981;
premesso altresì che, a quanto risulta all'interrogante:
il Comune di Tricase, con delibera del Consiglio comunale n. 28 del 25 ottobre 2012, ha manifestato piena e totale disponibilità a mantenere a disposizione dell'Amministrazione della giustizia le strutture del tribunale di Tricase, accollandosi i relativi costi di gestione;
in data 21 febbraio 2013 il Presidente del tribunale di Lecce ha adottato un provvedimento, prot. n. 307, in cui si asserirebbe che, ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo n. 155 del 2012, le udienze fissate dinanzi ad una delle sezioni distaccate tra il 13 settembre 2012 (data di entrata in vigore del decreto legislativo) e la data di efficacia di cui all'art. 11, comma 2 (12 mesi dall'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo) sarebbero state tenute presso le sezioni distaccate, mentre le udienze fissate per una data successiva sarebbero state tenute presso la sede centrale dell'ufficio;
tale disposizione comporterebbe che, per i processi già incardinati o fissati presso la sezione distaccata per una data anteriore al 13 settembre 2013, le relative udienze, fino a tale data, dovranno essere tenute presso la sezione distaccata, mentre quelle successive (dal 13 settembre 2013 in poi) dovranno essere tenute presso la sede centrale; comporterebbe altresì che i processi, che devono essere fissati presso la sezione distaccata per una prima udienza futura anteriore al 13 settembre 2013, siano trattati presso la sede centrale: ciò presuppone il coinvolgimento dell'ufficio di Procura e del giudice dell'udienza preliminare; alla fissazione delle modalità applicative di tale direttiva, anche per ciò che riguarda i rapporti con l'ufficio della Procura e del giudice dell'udienza preliminare, dovrebbero provvedere i presidenti delle due sezioni penali;
il giorno successivo (22 febbraio 2013), il Presidente del tribunale di Lecce ha adottato un altro provvedimento, prot. n. 320/13, in cui si asserirebbe che, al fine di dare graduale attuazione alle disposizioni di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, riguardante la soppressione delle sezioni distaccate, la presidenza avrebbe ritenuto di operare, per il momento, il trasferimento, presso la sede centrale dell'ufficio, della trattazione dei procedimenti del settore civile della sezione di Campi Salentina ai sensi dell'art. 48-quinquies, comma secondo, dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto n. 12 del 1941. Per quanto concerne la sezione distaccata di Tricase - settore penale - il trasferimento della trattazione dei relativi affari presso la sede centrale di Lecce, che pure si sarebbe ritenuto di operare, sarebbe stato conseguenza, oltre che del disegno di dare graduale attuazione alla normativa in materia di soppressione delle sezioni distaccate, anche della valutazione conseguente all'assenza dall'ufficio - prevista per un lungo periodo di tempo - del giudice togato, dottoressa Pia Verderosa. Con il provvedimento con il quale sarebbero state stabilite le modalità del trasferimento presso la sede centrale degli affari come sopra indicati sarebbero state dettate, altresì, disposizioni riguardanti i procedimenti futuri. Ciò sarebbe stato comunicato per gli effetti di cui al comma 2 dell'art. 48-quinquies del citato ordinamento giudiziario;
gli atti richiamati sarebbero stati gravati di impugnativa innanzi al TAR di Lecce da un folto gruppo di avvocati operanti sul territorio e dallo stesso Ente comunale di Tricase, siccome ritenuti pregiudizievoli dei rispettivi interessi diretti ed indiretti;
la stessa Amministrazione comunale di Tricase avrebbe lamentato detta lesione, avendo adottato: lo specifico atto consiliare n. 28 del 25 ottobre 2012, dinanzi richiamato, con il quale ha deliberato piena e totale disponibilità a mantenere a disposizione dell'Amministrazione della giustizia le strutture del tribunale di Tricase, accollandosi i relativi costi di gestione; lo specifico atto giuntale n. 85 del 5 aprile 2013, con il quale - vista la nota del 4 aprile 2013, pervenuta dalla Presidenza del tribunale di Lecce, con la quale, paventando la sussistenza di oggettive ragioni organizzative e funzionali tali da rendere impossibile tale accorpamento, nella possibilità che il Ministero della giustizia possa disporre in via eccezionale, ai sensi dell'art. 8 del decreto-legislativo n. 155 del 2012, che gli attuali immobili di proprietà comunale continuino ad essere adibiti a servizio delle sezioni distaccate soppresse anche dopo il 13 settembre 2013, invita il Comune a comunicare la sua posizione rispetto all'impegno di assumere le relative spese di gestione e manutenzione - ha deliberato con voti favorevoli ed unanimi di comunicare al tribunale di Lecce la piena e totale disponibilità del Comune a mantenere a disposizione dell'Amministrazione della giustizia l'immobile sede della sezione distaccata del tribunale e, altresì, comunicare la piena e totale disponibilità dello stesso Comune ad accollarsi i relativi costi di gestione e manutenzione. Ciò a tutela, per legge - art. 13 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 -, degli interessi della propria cittadinanza e del proprio territorio;
considerato che:
la programmata riforma della "geografia giudiziaria", che entrerà in vigore il 13 settembre 2013 (fatti salvi i provvedimenti anticipatori di cui innanzi), sta provocando un terremoto sul sistema giustizia e su tutti gli operatori del diritto (dai dipendenti degli uffici, passando per gli avvocati, fino a giungere agli stessi magistrati);
i numeri più eclatanti riguardano, oltre alle giornate di sciopero già proclamate dall'OUA (Organismo unitario Avvocatura), le quattordici (destinate ad aumentare notevolmente) ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni innanzi richiamate. La discussione delle prime due questioni è stata anticipata in questi giorni dalla Consulta al 2 luglio 2013;
da ogni parte si è evidenziato come la disciplina della "geografia giudiziaria" non possa rientrare in una manovra che si prefigge la stabilizzazione finanziaria ed il contenimento della spesa pubblica, che, peraltro, pare non ottenere alcun risparmio dalla soppressione di sedi giudiziarie (soprattutto se indiscriminata) e, al contrario, sembra generare nuovi costi per traslochi, indennità per il trasferimento dei magistrati, nuova edilizia giudiziaria, nonché incrementare disagi e costi per i cittadini;
per restare al caso di Lecce, è stato previsto che l'avveramento del nuovo assetto giudiziario comporterà un aumento dell'800 per cento per i soli costi relativi alle notifiche ed ai pignoramenti calcolati in base alla distanza chilometrica (fonte: "Italia Oggi", 15 aprile 2013);
a conferma dell'oggettiva impossibilità, per il tribunale di Lecce, di farsi carico, in una situazione già di collasso ed inadeguatezza degli spazi in godimento, dell'accorpamento di altre sezioni distaccate, depone il grido d'allarme lanciato dallo stesso Presidente del tribunale, il quale non ha esitato a certificare detto stato di emergenza e ad attivare la procedura di deroga ex art. 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012;
tale situazione preoccupa anche le istituzioni sovranazionali, posto che lo stesso Vice Presidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella, ha denunciato in una nota come con l'accorpamento delle sedi distaccate i Tribunali siano costretti a rinviare a lungo le cause pendenti peggiorando la posizione dell'Italia, già "in cima alla lista nera della giustizia negata in Europa" (Asca del 9 gennaio 2013);
considerato inoltre che:
il Ministero della giustizia ha, nei giorni scorsi, emanato delle stringenti linee guida sulla dismissione degli immobili con il fine dichiarato di procedere "nel più breve tempo possibile alla totale dismissione delle strutture ove sono attualmente allocati tutti gli uffici soppressi";
la soppressione delle sedi giudiziarie periferiche (rispetto ai capoluoghi di provincia) si tradurrà, a parere dell'interrogante, in un notevole depauperamento di quella che si potrebbe chiamare "infrastrutturazione civile" della comunità regionale, determinando la congestione e la paralisi delle strutture del centro maggiore e la desertificazione delle cittadine intermedie, con un processo che va esattamente nella direzione contraria a quella desiderabile e promessa dall'art. 5 della Costituzione (si ricordi il ricorso per questione di legittimità costituzionale promosso dalla Regione Friuli Venezia Giulia e pubblicato nella Gazzetta Ufficialen. 3 del 16 gennaio 2013);
è evidente come la concentrazione nel solo capoluogo di provincia porti inevitabilmente alla produzione di fenomeni di grave disagio per i cittadini, con conseguente rischio anche eteroindotto di "denegata giustizia", considerato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l'oggettiva difficoltà di esercizio del diritto equivale a negazione del medesimo;
a tale proposito basti pensare - sempre in termini di ricadute negative in relazione ai costi - a quanto sarà costretto a sborsare lo Stato per i risarcimenti - già consistenti - a causa dell'irragionevole durata dei processi,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo, al fine di scongiurare i paventati e a parere dell'interrogante quantomai verosimili rischi di paralisi del sistema giustizia, intenda sospendere le già emanate Linee guida ed avviare una pausa di riflessione, che ripari alla cancellazione di oltre mille sedi giudiziarie, prevista a giudizio dell'interrogante in modo estemporaneo e poco meditato, anche attraverso la proroga del termine di operatività delle sede sopprimende;
se non intenda, nel frattempo, istituire un tavolo di concertazione, rappresentativo di tutte le categorie coinvolte (Ministero, magistrati, avvocati, personale dell'Amministrazione della giustizia, Associazione nazionale comuni italiani, Unione delle province d'Italia, Regioni), che, attesa la delicatezza della materia in questione, riesca, in tempi rapidi, ad individuare ed eliminare le reali sacche di inefficienza e sprechi sulla base di criteri oggettivi predeterminati, peraltro già individuati dall'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto n. 12 del 1941, così evitando cancellazioni che all'interrogante appaiono insensate e generalizzate.
(4-00137)
DE PIN - Ai Ministri della giustizia e delle politiche agricole alimentari e forestali - Premesso che il Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia, approvato il 6 marzo 2012 dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, rivela lo stato di emergenza nelle carceri italiane. Lo studio tratta la situazione delle carceri e le condizioni dei detenuti in Italia, affrontando l'argomento dal punto di vista del rispetto della dignità e dei diritti della persona;
premesso altresì che, a giudizio dell'interrogante, è improcrastinabile attivare interventi finalizzati a migliorare la condizione dei detenuti, soprattutto creando una prospettiva meno afflittiva per persone soggette alla restrizione della libertà, anziché applicare misure esclusivamente repressive;
rilevato che:
molti sono i problemi che affliggono gli istituti penitenziari italiani, tra cui, per citarne alcuni, quelli che riguardano l'assistenza sanitaria dei detenuti (passata di recente al Servizio sanitario nazionale), la condizione di omosessuali e transessuali, le morti in carcere;
nel 2008 il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha sottoposto il nostro Paese alla Universal Periodical Review, la procedura di revisione periodica riguardante i diritti umani: per l'Italia sono state emanate ben novantadue raccomandazioni, e diverse riguardano lo stato delle carceri;
il nostro Paese è stato più volte condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per la situazione carceraria e il sovraffollamento (caso Scoppola nel 2006 e caso Sulejmanovic nel 2009);
ritenuto che:
le attività agricole e di tecnologia alimentare, quali l'orticoltura biologica, la produzione in serra, l'allevamento di conigli, la floricoltura, l'itticoltura, l'apicoltura, siano importanti per la responsabilizzazione e la rieducazione dei detenuti: l'attività agricola, infatti, si svolge all'aperto, offre l'opportunità di lavorare a contatto con l'ambiente e di seguire i cicli biologici, assumendo una valenza educativa, professionalizzante e di reinserimento sociale e lavorativo;
a giudizio dell'interrogante, sarebbe opportuno verificare l'entità del patrimonio agricolo degli istituti penitenziari, al fine di favorire attività agricole interne alle strutture, con il supporto di professionisti eventualmente dipendenti dell'amministrazione penitenziaria, e di creare cooperative sociali e colonie agricole, con l'eventuale apporto di esperti esterni, avviando così anche un innovativo rapporto culturale tra produzione agricola, uso della terra e legalità,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo non ritengano opportuno verificare l'entità del patrimonio agricolo degli istituti penitenziari, al fine di utilizzarlo maggiormente quale strumento di responsabilizzazione, rieducazione ed inclusione sociale dei detenuti;
se non si ritenga di rivalutare e potenziare il ruolo sociale ed etico che può essere svolto dall'attività agricola nelle aziende, nelle cooperative sociali o nelle colonie agricole, per favorire l'introduzione di una prospettiva meno afflittiva per le persone soggette alla restrizione della libertà.
(4-00138)
ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le cariche di Governo di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 20 luglio 2004, n. 215 (Presidente del Consiglio dei ministri, Ministri, Vice Ministri, Sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo) sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti;
l'art. 68 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) stabilisce che le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della elezione sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle predette cariche. Il medesimo articolo 68, al comma 4, fissa il breve termine di dieci giorni tra il momento in cui si concretizza la causa di incompatibilità e la cessazione dalle funzioni dell'amministratore che in tale condizione si sia venuto a trovare, quale strumento atto a rimuovere le cause di ineleggibilità sopravvenute alle elezioni ovvero le cause di incompatibilità;
stante l'assenza della puntuale previsione di un iter procedurale nell'articolo 13, comma 3, del citato decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, una nota redatta dall'Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI) nel gennaio 2013 sulle problematiche della nuova previsione relativa all'incompatibilità del sindaco ritiene applicabili altri articoli del TUEL per garantire l'effettiva cessazione delle funzioni incompatibili. In particolare essa conferma l'utilizzabilità del procedimento di contestazione della causa di incompatibilità prevista dagli articoli 69 e 70 del TUEL medesimo;
la procedura di contestazione delle cause di incompatibilità - al cui esito consegue, mediante decadenza del soggetto incompatibile, la cessazione dalle funzioni dell'amministratore - è regolata in particolare dall'art. 69 del TUEL, il quale assegna il compito di contestare tale condizione al consiglio di cui l'interessato fa parte e ne fissa le modalità e i tempi. Ai sensi del comma 5 del medesimo articolo spetta allo stesso consiglio, qualora l'amministratore non provveda a rimuovere la causa di incompatibilità nei tempi previsti, dichiararlo decaduto con propria deliberazione;
l'art. 70 del TUEL, peraltro, identifica come altri possibili soggetti atti a promuovere la decadenza dalla carica sia il prefetto (comma 2) sia qualsiasi cittadino elettore (comma 1);
considerato che:
i ministri Graziano Delrio e Flavio Zanonato, rispettivamente sindaci di Reggio Emilia e Padova, si trovano nelle condizioni di incompatibilità richiamate in seguito alla nomina a Ministro, accettata prestando giuramento in data 28 aprile 2013;
il vice ministro Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, si trova nelle condizioni di incompatibilità richiamate in seguito alla nomina a Vice Ministro in data 2 maggio 2013;
non risulta agli interroganti che, ad oggi, i rispettivi consigli comunali, cui il TUEL assegna il compito di contestare l'incompatibilità, abbiano dato avvio alle procedure di contestazione, né che i medesimi sindaci abbiano spontaneamente provveduto a rimuovere l'incompatibilità mediante dimissioni volontarie;
pur in presenza di una normativa non perfettamente formulata nella parte applicativa, appare evidente, a giudizio degli interroganti, come l'evoluzione legislativa in materia indichi, con sempre maggior chiarezza e rigore, la netta tendenza in direzione del divieto di cumulo di cariche, ancor più che di retribuzioni, e ciò al fine di prevenire ogni potenziale conflitto di interessi tra le cariche ricoperte. Agli interroganti appare pertanto irragionevole, oltre che censurabile sotto il profilo della opportunità, qualunque lettura della disposizione atta a rendere meno stringente, per via interpretativa, la legislazione sopravvenuta nel 2011;
la necessità di una rigorosa lettura e applicazione del principio di incompatibilità appare confermata dalla stessa previsione normativa in base alla quale i rispettivi prefetti possono comunque autonomamente promuovere la risoluzione delle cause di incompatibilità tramite azione per la dichiarazione della decadenza dalla carica di sindaco e anche qualsiasi cittadino elettore può promuovere la decadenza dalla carica davanti al tribunale civile in prima istanza,
si chiede di sapere quali azioni il Ministro in indirizzo intenda intraprendere al fine di garantire, anche tramite i suoi uffici territoriali, il rispetto del principio di incompatibilità tra le cariche di Governo e qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di Governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, assumendo altresì le opportune iniziative, per quanto di competenza, volte ad assicurare che ciò avvenga nei tempi rapidi previsti dalla legge nell'interesse del buon andamento degli enti locali e della efficienza dell'azione amministrativa.
(4-00139)
Interrogazioni, da svolgere in Commissione
A norma dell'articolo 147 del Regolamento, la seguente interrogazione sarà svolta presso la Commissione permanente:
10ª Commissione permanente(Industria, commercio, turismo):
3-00045, del senatore Fravezzi, sulla normativa relativa alla qualificazione degli installatori di impianti energetici da fonti rinnovabili.
Avviso di rettifica
Nel Resoconto stenografico della 17a seduta pubblica del 30 aprile 2013, a pagina 41, nell'intervento della senatrice Bonfrisco, all'ultima riga del primo capoverso, sostituire la parola: "imbrogliare" con la seguente: "imbrigliare".

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