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lunedì 27 ottobre 2014

Cassazione: Bollette telefoniche: perché è legittimo far pagare all'utente le spese di spedizione In base alle legge Iva sono solo i meri costi di emissione della fattura a non poter essere oggetto di addebito. Se l'accordo prevede l'invio postale, il cliente deve rimborsare il gestore per la somma anticipata



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(Sezione terza, sentenza n. 3532/09; depositata il 13 febbraio)
IVA   -   TELEFONI
Cass. civ. Sez. III, 13-02-2009, n. 3532
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

1. - V.D. ha convenuto davanti al giudice di pace di Paola la società Telecom Italia s.p.a..
Ne ha domandato la condanna a restituirgli le somme, che nel tempo gli erano state addebitate come spese di spedizione postale della fattura dei costi del servizio telefonico.
Ha sostenuto che l'addebito di quelle spese era in contrasto con quanto disposto dal D.P.R. 26 agosto 1972, n. 633, art. 21, comma 8, la legge sull'ìva, oltre che con gli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c. e con la L. 30 luglio 1998, n. 281, art. 1, comma 2, lett. e), sulla disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti.
La Telecom ha chiesto il rigetto delle domande.
Il giudice di pace l'ha accolta, con sentenza 17.5.2004, che è è stata confermata dal tribunale di Paola.
2. - La sentenza 29.8.2005 del tribunale è stata notificata il 4.11.2005 e la Telecom ne ha chiesto la cassazione con ricorso, la cui notifica, domandata il 30.11.2005, è stata eseguita a mezzo del servizio postale il 5.1.2006, con consegna a mani di M. E., procuratore domiciliatario dell'attore nel giudizio di appello.
V.D. non ha svolto attività di difesa.
La Telecom ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

1. - Il tribunale ha deciso applicando la disposizione contenuta dell'art. 21, u.c., della legge sull'iva.
La disposizione, insieme ad altre integrative e correttive del Decreto n. 633 del 1973, vi è stata introdotta dal D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687 e vi si è stabilito che "Le spese d'emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto d'addebito a qualsiasi titolo".
Il tribunale ha ritenuto che le spese di spedizione rientrano tra quelle di emissione della fattura, espressamente considerate dall'art. 21 e che la norma ha impedito siano addebitate a chi fruisce della prestazione ed è soggetto alla rivalsa.
Ha osservato che la disciplina della fatturazione è tesa a tutelare il corretto andamento del procedimento di esazione del tributo e così a garantire il controllo incrociato del suo integrale adempimento. Per farlo la norma ha voluto evitare che i relativi costi ricadano sul consumatore finale.
Contrasterebbe con questa funzione della norma concludere che la disposizione dettata dell'art. 21, u.c., non includa nel suo ambito d'applicazione le spese di spedizione della fattura, perchè, se il consumatore finale, per la spedizione della fattura, dovesse sopportare un costo aggiuntivo, potrebbe rinunciarvi e questo renderebbe più agevole all'emittente alterare o sopprimere il documento, così inibendo all'amministrazione finanziaria il controllo sul regolare adempimento dell'imposta.
Da qui, la conseguenza della natura imperativa della norma e della nullità delle clausole negoziali invocate dalla Telecom, in particolare all'art. 28 del contratto di abbonamento ed all'art. 14 delle condizioni generali di abbonamento, secondo il quale le spese postali di spedizione delle bollette telefoniche sono addebitate al cliente.
Ha, infine, osservato il tribunale che, non essendo previsto dall'art. 21 delle legge iva un diverso meccanismo per realizzare ugualmente gli scopi della norma, non potrebbe valere ad escludere la nullità della clausola contrattuale contraria, il limite alla sanzione di nullità che, nell'art. 1418 c.c., comma 1, è espresso attraverso la locuzione salvo che la legge disponga altrimenti.
2. - La cassazione della sentenza è chiesta in base a quattro motivi.
3.1. - Il primo è un motivo di violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 8, artt. 1196, 1245 e 1475 c.c., nonchè al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, comma 1, n. 3).
Vi è svolta nel suo insieme questa tesi.
Nel riferimento che dell'art. 21, comma 8, fa alle spese di emissione della fattura non si possono comprendere quelle di spedizione.
Emettere una fattura, infatti, non vuoi dire spedirla, perchè la spedizione è un'attività che segue e si aggiunge alla emissione:
ciò è dimostrato dal fatto che l'attività di spedizione è solo eventuale, perchè sostituisce la consegna a mano e può a sua volta essere sostituita dalla trasmissione via e mali.
Emissione e spedizione della fattura si debbono distinguere anche sotto il profilo dell'onere economico: le spese di emissione si correlano - in termini di impiego di tempo e di materiali - alla redazione per iscritto in duplice esemplare; alla particolare composizione tipografica; al collegamento con altri documenti.
Anche i conseguenti adempimenti e formalità, cui pure allude la norma, si prestano ad essere identificati e lo sono nel dovere di conservare la fattura per dieci anni e di annotarle su apposito registro; nel collegamento al dovere dell'emittente di redigere le dichiarazioni mensili, trimestrali ed annuali per il competente ufficio I.V.A.; in quello di trascrivere il contenuto contabile della fattura nel libro giornale ed in altri adempimenti, tutti sanzionati dallo stesso decreto.
Diverso è invece il caso delle spese per l'uso del servizio postale, che sono del tutto eventuali, sicchè la spedizione non può essere nemmeno ricondotta alla formula conseguenti adempimenti e formalità:
solo questi ultimi sono infatti tipici ed obbligatori ed hanno una finalità contabile e fiscale e per tale ragione la loro inosservanza è sanzionata.
Secondo la tesi svolta nel motivo questa esegesi è avvalorata da altri argomenti di ordine sistematico.
Essi sono:
a) il principio espresso dall'art. 1196 c.c., secondo cui le spese collegate al pagamento sono a carico del debitore;
b) il principio che emerge dall'art. 1245 c.c. per cui si debbono computare le spese del trasporto al luogo del pagamento e, con riferimento al contratto di compravendita dall'art. 1475 c.c., là dove precisa che le spese accessorie sono a carico del compratore, se non diversamente pattuito;
c) la considerazione che, per converso, le spese di emissione, cui l'art. 21 ha inteso riferirsi, non sono omologhe a quelle precedenti, perchè sono collegate non all'obbligo di pagamento del prezzo da parte di chi fruisce della prestazione, ma al compimento di operazioni disposte dalle norme fiscali. Lo conferma il D.P.R., art. 15, comma 1, n. 3, che ha escluso dalla base imponibile le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, se regolarmente documentate.
E' a queste che vanno ricondotte le spese postali di invio della fattura, in quanto anticipate dall'emittente.
3.2. - Una premessa deve precedere la discussione del motivo.
La Telecom ha sostenuto di ritrarre il suo diritto ad ottenere il rimborso delle spese postali di spedizione della fattura, perchè v'è nelle condizioni generali di abbonamento una clausola che obbliga l'utente a sostenerle.
L'esame del motivo prima riassunto non è diretto a riscontrare se questa clausola è sotto ogni aspetto valida, ma se è conforme a diritto la decisione del tribunale, che l'ha dichiarata nulla per contrasto con la norma contenuta nell'art. 21, comma 8, della legge iva.
3.3. - Il motivo è fondato.
Il comma 8 aggiunto all'art. 21 dispone - come si è già visto - che "Le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo".
Scopo della norma è di segnare la distinzione tra ciò che fa capo all'operazione commerciale ed è valutabile come sua base imponibile per l'applicazione dell'imposta e della rivalsa e ciò che pertiene alla fatturazione dell'operazione, che il legislatore ha voluto restasse estraneo sia all'applicazione dell'imposta sia alla rivalsa.
Ciò posto, è giustificato chiedersi se la spedizione della fattura - che può esserci come non esserci - per l'ipotesi in cui c'è, sia stata presa in considerazione dal legislatore come aspetto della fatturazione, il cui costo si è voluto come gli altri lasciare a carico di chi cede il bene o presta il servizio, o se, non potendo però essere considerata la spedizione della fattura una componente degli obblighi contrattuali di chi cede il bene o presta il servizio, il legislatore tributario non si sia solo limitato a non comprenderlo nella base imponibile.
Sicchè è rimasta al diritto civile ed alla volontà delle parti la disciplina della sopportazione del suo onere.
Orbene, l'interpretazione letterale delle disposizioni dettate nell'art. 21 della Legge Iva a disciplina della fatturazione delle operazioni non somministra dati univoci a favore della prima conclusione, che è l'esito al quale è pervenuto il tribunale.
La spedizione della fattura non si presta ad essere ricondotta all'operazione di emissione per il fatto che dell'art. 21, comma 1, u.p., reciti, che "La fattura si ha per emessa all'atto della sua consegna o spedizione all'altra parte ...".
Posto che in base all'art. 21, comma 4, e art. 6 della legge la fattura va emessa nel momento in cui l'operazione commerciale è o si considera eseguita, scopo della disposizione è individuare in quale momento la fatturazione si ha per effettuata: consegna o spedizione della fattura non costituiscono un segmento della fatturazione, ma il momento fino al quale e prima del quale non si può considerare compiuta.
Nè si riesce a cogliere per quale ragione, una volta avvertita dal legislatore l'esigenza di apportare una correzione al testo originario dell'art. 21 e di apportarla proprio perchè la pretesa di trasferire sui clienti i costi della operazione di fatturazione manifestava d'essere d'ostacolo all'applicazione dell'imposta non si sarebbe scelta la via del parlare chiaro (id est: Le spese di emissione, consegna o spedizione della fattura e dei conseguenti adempimenti ...) e si sarebbe scelta la criptica via di affidare l'espressione della volontà normativa ad una disposizione capace di prestarsi ad una diversa interpretazione e questo proprio nel momento in cui il legislatore avrebbe mostrato di voler in particolare soffermarsi sul ruolo della consegna della fattura e su quello succedaneo della consegna nel quadro della fatturazione.
E per le stesse ragioni, non appare condivisibile l'operazione ermeneutica per cui consegna o spedizione - alla ricerca di una collocazione purchessia - andrebbero allora ricondotte almeno ai conseguenti adempimenti e formalità di cui si parla nel seguito della disposizione.
Per converso, le norme che nella legge iva determinano la base imponibile e le esclusioni del computo della base imponibile permettono di ritenere che, se le parti prevedono come forma di consegna della fattura la sua spedizione ed il costo ne è anticipato da chi la emette, il relativo rimborso non fa parte della base imponibile (art. 15, n. 3 della Legge Iva).
A questo riguardo, si deve considerare che, in rapporto all'art. 1182 c.c., l'obbligazione di pagamento del costo del servizio telefonico va adempiuta al domicilio del creditore nè importa che non sia già conosciuta dal debitore, bastando ai fini della applicazione dell'art. 1182 c.c., comma 3, che la somma dovuta alla scadenza sia determinabile in base ai criteri stabiliti nel contratto.
E perciò se le parti si accordano invece nel senso che il pagamento possa essere fatto dall'utente dietro ricevimento della fattura che a spese dell'utente e mediante spedizione per posta gli è inviata dal gestore, questa spesa che per contratto deve essere sopportata dall'utente è anticipata dal gestore e così rientra tra quelle cui si applica l'art. 15, n. 3 della Legge Iva.
4. - Fondato è di conseguenza anche il terzo motivo, con il quale la Telecom torna a denunziare la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 8, mentre resta assorbito il quarto con cui è denunziato un motivo di falsa applicazione dell'art. 21, comma 8, che, nella interpretazione accolta dal tribunale, è considerato viziato da violazione degli artt. 41 e 76 Cost., per eccesso rispetto alla Legge di Delega, la L. 9 ottobre 1971, n. 825. 5. - Resta da esaminare il secondo motivo.
La cassazione vi è chiesta per il vizio di violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 8; del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, D.P.R. 13 agosto 1984, n. 523 e D.M. 8 marzo 1997, n. 197, con particolare riguardo all'art. 53).
La ricorrente osserva che, dopo l'entrata in vigore della Legge Iva, è stato emanato il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 186 - il T.U. delle disposizioni in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni - che, all'art. 2 stabilisce che "quando la legge non dispone diversamente, i provvedimenti in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni nella Repubblica rientrano nella competenza del Ministero delle poste e delle Telecomunicazioni".
Il successivo art. 194 T.U. (condizioni, limiti, diritti ed obblighi del concessionario) prevede che "le condizioni, amministrative e tecniche, i limiti, i diritti, e gli obblighi del Concessionario, ove non previsti nel presente decreto sono stabiliti nel regolamento e negli atti di concessione".
In attuazione di tale disposizione del T.U. sono stati emanati il D.P.R. 13 agosto 1984, n. 523, relativo all'approvazione ed esecuzione delle convenzioni per la concessione dei servizi di telecomunicazione ad uso pubblico delle società SIP, Italcable e Telespazio e il D.M. 8 marzo 1997 n. 197, concernente il regolamento di servizio e le condizioni di abbonamento al servizio telefonico.
L'art. 53 di detta convenzione - prosegue ancora la ricorrente - dispone che "la società ... provvede alla riscossione dei corrispettivi dei servizi fruiti dagli abbonati e di quant'altro dovuto dagli stessi ... mediante bollette periodiche che provvede a spedire al domicilio degli abbonati addebitando le sole spese postali ... salvo la facoltà degli abbonati di provvedere senza addebito di spese al ritiro delle bollette presso gli uffici della società".
Osserva al riguardo la Corte, che, escluso, in accoglimento del primo e terzo motivo, che la questione oggetto della causa, trovi la sua soluzione nell'art. 21, comma 8, della Legge Iva, non spetta alla Corte e sarà compito del giudice di rinvio saggiare, in rapporto all'art. 53 della convenzione, la efficacia della clausola contenuta nelle condizioni generali di abbonamento, secondo la quale - come è notorio, ma è incontroverso - le spese postali di spedizione della fattura sono addebitate al cliente.
E ciò in relazione al fatto che, formulando la clausola delle condizioni generali di contratto in modo da collegare l'obbligo dell'utente di pagare le spese di spedizione postale alla sola condizione di riceverla, la Telecom mostra di non aver trasfuso nel suo contenuto la salvezza di quella facoltà - che l'utente ha ed alla quale la Telecom si è invece più volte richiamata nei suoi scritti difensivi - di scegliere modalità alternative di ricezione ed in particolare quella del ritiro presso gli uffici della stessa Telecom, cui si è ora venuta ad aggiungere la trasmissione telematica (sulle possibili conseguenze della mancata osservanza, nella conclusione del contratto, di norme di comportamento poste a tutela di diritti dell'altra cfr. Cass. Sez. Un., 19 dicembre 2007 n. 26724).
Sicchè anche il secondo motivo resta assorbito.
6. - La sentenza è cassata.
La causa è rinviata al tribunale di Paola, che ne giudicherà in persona di diverso magistrato.
7. - I diversi orientamenti maturati dai giudici di primo grado in questo vasto contenzioso giustificano che le spese del giudizio di cassazione siano dichiarate compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte:
Accoglie il primo e terzo motivo, dichiarati assorbiti gli altri, cassa e rinvia al tribunale di Paola in persona di diverso magistrato; dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2009

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