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domenica 11 marzo 2018

TAR febbraio 2018: condotte di mobbing poste in essere dal datore di lavoro in persona del Ministro dell’Interno e del Prefetto di xxx con condanna al risarcimento dei danni patiti. Pubblicato il 12/02/2018 N. 01636/2018 REG.PROV.COLL. N. 02129/2007 REG.RIC.




TAR febbraio 2018: condotte di mobbing poste in essere dal datore di lavoro in persona del Ministro dell’Interno e del Prefetto di xxx con condanna al risarcimento dei danni patiti.

Pubblicato il 12/02/2018
N. 01636/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02129/2007 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2129 del 2007, proposto da:
xxx xxx, rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico D'xxx e xxx Vitale, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Cola di Rienzo, 111;
contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di xxx non costituito in giudizio;
per l’accertamento

delle condotte di mobbing poste in essere dal datore di lavoro in persona del Ministro dell’Interno e del Prefetto di xxx con condanna al risarcimento dei danni patiti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato l’8 febbraio 2007 e depositato il 9 marzo 2007, la dott.ssa xxx xxx ha adito questo Tribunale al fine di accertare la condotta di mobbing posta in essere dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di xxx, in persona del Ministro e del Prefetto p.t., nei propri confronti a partire dal 2000, con conseguente condanna al risarcimento di tutti i danni patiti.

2. La ricorrente è Vice Prefetto presso la Prefettura di xxx, dirigente dell’Area II nonché rappresentante sindacale del personale della carriera prefettizia.

La dott.ssa xxx lamenta di aver subito una serie di comportamenti vessatori da parte dei due Prefetti di xxx avvicendatisi nell’incarico, il Prefetto xxx (dal 2000 al 2005) ed il Prefetto xxx (in carica dal gennaio 2006).

Più in particolare, con riguardo alle condotte del Prefetto xxx, la ricorrente riferisce che:

a) nominata Presidente della sottocommissione elettorale, con decreto della Corte d’Appello di Rima del 5 luglio 2001, n. 710, è stata poi sostituita, con nota del 29 novembre 2001 (poi recepita con decreto del Presidente della Corte d’Appello di Roma n. 719/2001), dal Prefetto xxx con la dott.ssa xxx che, in quanto Vice Prefetto Aggiunto, rivestiva una qualifica inferiore;

b) nel 2003, in occasione dell’avvio del procedimento per la rotazione degli incarichi di funzione, il Prefetto xxx ha conferito l’Area I alla stessa dott.ssa xxx in qualità di supplente, affidando alla ricorrente il posto funzione di Dirigente dell’Area II, nonostante la superiore qualifica dalla stessa rivestita;

c) inoltre, sarebbero state altresì precluse alla ricorrente le cd. gestioni commissariali, tant’è che l’unica gestione ad essa affidata è stata quella del Comune di xxx nel 2005.

Con l’arrivo del nuovo Prefetto xxx, nel 2006, la ricorrente denuncia un aggravamento degli episodi di mobbing:

a) in data 14 aprile 2006, in occasione dello scioglimento del Consiglio comunale di xxx a causa delle contestuali dimissioni di dodici consiglieri comunali, la dott.ssa xxx è stata richiamata dalle ferie per l’improcrastinabile esigenza di predisporre il decreto di sospensione che, tuttavia, è stato poi sottoscritto dal Prefetto solo il 21 aprile 2016, apponendovi numerose correzioni;

b) in seguito, tutti i provvedimenti redatti dalla dott.ssa xxx sono stati puntualmente corretti e riformulati dal Prefetto;

c) in particolare, in data 15 maggio 2006 la ricorrente è stata incaricata di redigere, con urgenza, un quesito da sottoporre al Ministero in relazione all’avvenuto scioglimento del Consiglio comunale di xxx; predisposta la nota il giorno seguente, è stata convocata dal Prefetto che in presenza del Capo di Gabinetto la redarguiva per l’imprecisione della nota che egli stesso aveva dovuto redigere ex novo. In conseguenza del suddetto episodio, la ricorrente ha accusato uno stato di malessere con diagnosi “stato ansioso reattivo” (come da verbale Pronto Soccorso, Ospedale di xxx, del 16 maggio 2006). In seguito, si è sottoposta ad altre visite mediche specialistiche che hanno confermato il perdurare della patologia ansiosa depressiva che l’ha costretta a periodi di assenza dal lavoro per malattia (come da certificati in atti);

d) nonostante varie missive (del 20.9.2006, del 24.11.2006 e del 3.1.2007) con cui la ricorrente lamentava la carenza di personale all’ufficio di Stato Civile, il Prefetto non ha mai posto rimedio a tale deficit di organico;

e) infine, l’episodio culmine, è stato occasionato dal parere richiesto dal Prefetto alla ricorrente per la costituzione della società partecipata per la gestione del servizio idrico del Comune di xxx: con lettera riservata amministrativa del 12 gennaio 2007 il Prefetto le chiedeva di approfondire la questione dal punto di vista giuridico in modo adeguato alla professionalità rivestita, in quanto la stessa si sarebbe limitata a riferire, in seno al parere, il mero contenuto della conversazione telefonica tenuta col Segretario comunale.

Con successiva nota del 25 gennaio 2007, non essendo ancora considerati sufficienti i chiarimenti forniti dalla ricorrente, il Prefetto le rivolgeva, infine, un richiamo scritto per aver dovuto svolgere egli stesso gli approfondimenti richiesti.

I fatti sopra esposti avrebbero cagionato alla ricorrente i danni di cui chiede a questo collegio la liquidazione, in particolare:

- il danno patrimoniale “sia per la lesione del know how acquisito, sia per l’inibizione dell’accrescimento e del perfezionamento professionale”;

- il danno economico per il mancato conferimento di incarichi che le sarebbero spettati;

- il danno morale per i patemi d’animo sofferti a causa dei comportamenti vessatori subiti;

- il danno biologico ed esistenziale “per la lesione della propria dignità personale e per la violenza morale che la ricorrente ha dovuto subire”,

danni tutti genericamente quantificati nella somma di € 500.000.

3. Si è costituito in giudizio, con memoria di mera forma, il resistente Ministero dall’Interno.

4. Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2017, nessuno presente per le parti, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

La dott.ssa xxx lamenta una serie di danni, patrimoniale, morale, biologico ed esistenziale, conseguenti alle condotte poste in essere nei suoi confronti dai due Prefetti succedutisi nell’arco temporale che va dall’anno 2000 al 2007, come in fatto esposte, e che, secondo la sua prospettazione, configurerebbero una fattispecie di mobbing.

Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, il costante orientamento del giudice della legittimità, al quale si è uniformato l’indirizzo uniforme della stessa giurisprudenza amministrativa, richiede che debbano ricorrere:

“a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;

b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico- fisica e/o nella propria dignità;

d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. (conformi 17 gennaio 2014, n. 898 e 17 febbraio 2009, n. 3785).

Ne consegue che il fenomeno del mobbing, per assumere giuridica rilevanza, implica l'esistenza di plurimi elementi, la cui prova compete al prestatore di lavoro, di natura sia oggettiva che soggettiva e, fra questi, l'emergere di un intento di persecuzione, che non solo deve assistere le singole condotte poste in essere in pregiudizio del dipendente, ma anche comprenderle in un disegno comune e unitario, quale tratto che qualifica la peculiarità del fenomeno sociale e giustifica la tutela della vittima” (così, ex multis, Cass Civ., sez. lavoro, 15 febbraio 2016, n. 2920).

Alla stessa stregua, ribadendo i medesimi principi anche per il mobbing nel pubblico impiego, il Consiglio di Stato ha affermato che:

- la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2015 n. 2412).

- conseguentemente un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16 aprile 2015 n. 1945).

2. Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di specie, è sufficiente osservare che il comportamento mobbizzante ascrivibile all'ente datoriale non può essere ravvisato nel conferimento di un’area dirigenziale anziché di un’altra ovvero nel mancato conferimento di gestioni commissariali, né ancor di più nella correzione di provvedimenti da parte dell’organo competente, infine, ad emanarli.

Le vicende indicate dalla ricorrente appaiono riflettere, infatti, ordinarie dinamiche lavorative e sembrano correlarsi a problematiche organizzative nonché all’esercizio dei legittimi poteri discrezionali da parte dell’Autorità.

E ciò vale sia per il conferimento di uffici ed incarichi sia soprattutto per la correzione di provvedimenti per i quali è stata richiesta una previa istruttoria e redazione da parte del Vice Prefetto e che il Prefetto, ove non reputati sufficientemente istruiti, del tutto legittimamente era in potere di revisionare e correggere, trattandosi di atti che egli stesso avrebbe poi dovuto emanare apponendovi la propria firma.

La domanda risarcitoria, spiegata nel presente giudizio, risulta dunque del tutto infondata per mancanza di prova, da parte della ricorrente, dell’intento persecutorio che dovrebbe avvincere, in un complessivo ed unitario disegno, le condotte poste in essere da due diversi Prefetti che si sono avvicendati nell’incarico presso la sede di xxx, di tal che, anche a prescindere dalla effettiva rilevanza, sotto il profilo del danno biologico, della lamentata patologia e del nesso eziologico con i riferiti comportamenti, manca nella specie la stessa condotta illecita ascrivibile all'ente datoriale.

Del tutto generica, infine, è la prospettazione, al di fuori dell’allegazione delle certificazioni mediche relative al periodo da maggio 2006 a settembre 2006 attestanti uno stato ansioso depressivo, dei danni patrimoniale, economico, morale ed esistenziale lamentati.

3. In conclusione, per le motivazioni svolte, il ricorso deve essere respinto perché infondato.

4. Si ravvisano, anche in considerazione della difesa meramente formale della resistente amministrazione, giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Rita Tricarico, Consigliere

Francesca Romano, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesca Romano Germana Panzironi
IL SEGRETARIO

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